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17/02/2018

Egitto - Sisi imprigiona anche Aboul Fotouh

E’ costata cara l’intervista fuori dai denti che Aboul Fotouh, politico dell’opposizione egiziana (la poca tuttora resistente ed esistente) ha concesso giorni addietro all’emittente qatarina Al Jezeera. La sua accusa sulle prossime presidenziali, considerate falsate e oppressive come e peggio dell’epoca Mubarak, è stata giudicata dalla magistratura un attacco alla nazione. Così all’ex politico della Fratellanza Musulmana viene comminata una pena di quindici giorni d’arresto, passibile d’un aggravio. Fotouh fu candidato alla presidenza nel 2012 come indipendente, dopo aver subìto un misterioso pestaggio per strada, che venne inquadrato come lotta intestina in seno alla Confraternita fra i leader islamici in corsa per la sfida elettorale. Da quel momento il suo percorso e quello della Fratellanza si divisero. Il politico e intellettuale, accusato di moderatismo all’interno della Brotherhood, successivamente diede vita allo ‘Egypt Strong Party’, che come la formazione ‘Corrente Popolare’ di Sabbahi, il regime di Sisi non sciolse d’autorità come aveva fatto con altri organismi dell’opposizione, islamica e laica.

Era la tattica prescelta dal generale golpista in occasione delle presidenziali del 2014. Lo stesso apparato militare che lo sostiene, il Consiglio Supremo delle Forze Armate, all’epoca proponeva il doppio binario di una feroce repressione contro le forze islamiste (ma non i salafiti) e contro il movimentismo laico di Tahrir (6 Aprile e simili), e dell’agibilità politica concessa al candidato Sabbahi, che fungeva da maschera per l’illegalità che il regime, mese dopo mese, istillava nella vita pubblica del Paese. Un’illegalità coperta anche dai governi occidentali, compresi quelli succedutisi a palazzo Chigi che, interessati ai propri affari di import-export energetico e bellico, nulla hanno dichiarato riguardo ad assassini, arresti, mancanza di diritti nel grande Paese arabo. Fino a registrare lo strazio di Giulio Regeni, punta di un iceberg, che vede centinaia di sparizioni autoctone. Il caso Regeni stabilisce un confine per tutto ciò che l’omertà degli apparati (poliziesco, politico, giuridico) ha messo in atto. Un regime, già feroce repressore di libera stampa e veri oppositori, che non tollera intromissioni su nulla.

Qualunque esposizione d’idee contrarie alle sue derive viene bollata come “terrorista e pericolosa per la sicurezza degli interessi della nazione” che continuano a essere gli ‘affari di Stato’ della lobby militare e di chi con essa allarga le sue fortune di potere e di arricchimento economico. Tanto ché, un sopraffino conoscitore di questo sistema che in epoca Mubarak se ne è avvantaggiato (Shafiq, già generale dell’aeronautica e fedele dell’ex raìs) ripropostosi per la corsa alla presidenza di marzo, ne è stato fermamente dissuaso e giocoforza ha accettato la reprimenda. Sorte peggiore è toccata a un altro militare, il generale Anan, cui è contestato d’aver usato per la corsa presidenziale documenti falsi perciò è finito in prigione dal 23 gennaio. Verso Fotouh l’accusa è peggiore: terrorismo. Poiché l’apparato di comando, che fa quadrato attorno al suo sistema forcaiolo, ormai considera un pericolo per la Patria non solo chiunque la pensi diversamente, ma chiunque pensi.

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