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10/01/2018

Tunisia - Proteste anti austerità, un morto

Un 55enne tunisino è morto ieri durante una protesta contro l’austerità avvenuta a Tebourba, 40 km dalla capitale Tunisi. Cinque i feriti. Arrestate 44 persone per possesso di armi (coltelli per lo più), per aver dato fuoco ad alcuni edifici governativi e aver rubato nei negozi.
 
A confermare il decesso dell’uomo (di cui non sono ancora note le generalità) è stato il ministero degli interni che, in una dichiarazione, ha spiegato che l’uomo è morto in ospedale dove era ricoverato. Secondo la versione ufficiale che cita il parere di un medico legale, la vittima avrebbe sofferto di “mancanza cronica di respiro” e il suo corpo non avrebbe mostrato “alcun segno di violenza o di essere stato investito”. Per Tunisi, il cinquantenne è molto probabilmente morto per aver inalato i gas lacrimogeni. Diverso il parere degli attivisti che sui social media affermano che l’uomo è morto dopo essere stato investito da un veicolo delle forze di sicurezza. La polizia – scrive l’agenzia statale Tap – avrebbe sparato gas lacrimogeni e si sarebbe scontrata con i dimostranti dopo che alcuni giovani avevano dato fuoco ad un edificio governativo.

Le proteste hanno avuto luogo ieri anche in altre 10 città tunisine. A Thala (nel centro della Tunisia) gli attivisti hanno incendiato dei pneumatici e lanciato pietre contro la polizia. Scontri si sono registrati anche a Kassrine, città povera nel centro del Paese, dove centinaia di persone sono scese in piazza contro disoccupazione e l’innalzamento dei prezzi. Hanno sfilato per il secondo giorno di fila, invece, in 300 per le strade di Sidi Bouzid (il luogo simbolo delle proteste arabe del 2011) denunciando il caro vita. Le manifestazioni, promettono gli attivisti, dovrebbero continuare nei prossimi giorni indifferentemente dalla risposta dura data dalle autorità locali.

Dietro la rabbia popolare c’è la decisione del governo di alzare le tasse a partire dallo scorso 1 gennaio in base a quanto prevede la Finanziaria del 2018 concordata con i principali organismi internazionali. Ciò si è tradotto nella pratica in un aumento dei costi del carburante, delle tasse su macchine, cellulari, servizi internet, hotel e oggetti, ma anche nell’introduzione di nuove misure per l’acquisto delle case. L’obiettivo di questi provvedimenti – sostiene il governo – è quello di ridurre il deficit dello stato al momento in continua crescita.

Nonostante sia spesso considerata dagli analisti come l’unico esempio riuscito delle rivolte arabe, la Tunisia vive infatti dal 2011 una grave crisi economica con il dinaro che ieri ha registrato un nuovo record negativo. A peggiorare il quadro è il calo del settore turistico (corrisponde a circa l’8% del Pil) che non è riuscito ancora a riprendersi del tutto dai due gravi attacchi terroristici del 2015. E’ vero che la deposizione nel 2011 del presidente-padrone Zine el-Abidine Ben Ali non ha prodotto lo stesso bagno di sangue e instabilità come nelle altre nazioni arabe, tuttavia i governi che si sono succeduti non sono riusciti a migliorare le condizioni economiche e sociali di molti tunisini che, soprattutto nelle aree periferiche e storicamente marginalizzate del Paese, continuano a portare avanti quelle stesse istanze socio-economiche alla base della sollevazione del 2011.

In questo clima di tensione, oggi il premier tunisino Yousef Chahed ha provato a calmare gli animi. “Le persone devono capire che la situazione è straordinaria e che il loro paese ha sì difficoltà, ma riteniamo che il 2018 sia l’ultimo anno difficile per i tunisini”. Chahed è poi tornato sui fatti di ieri. “Quanto accaduto – ha dichiarato – non ha nulla a che fare con la democrazia o con le proteste contro il caro vita. I manifestanti hanno dato fuoco a due stazioni della polizia, saccheggiato negozi, banche e danneggiato proprietà pubbliche in molte città”.

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