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12/01/2018

Promesse elettorali per mascherare la servitù alla Ue

A cosa servono queste elezioni? La risposta varia a seconda se chi partecipa si muove all’interno degli schemi imposti, oppure completamente al di fuori (soltanto Potere al Popolo, non è difficile…).

Per tutti quelli che concorrono con qualche ambizione a conquistare una poltrona ministeriale il problema è uno solo: ottenere il benestare delle “istanze superiori”. Lo si capisce perfettamente leggendo i giornali di stamattina, soprattutto Repubblica e Corriere.

Entrambe le corazzate – molto ridimensionate – del giornalismo italiano convergono nel bastonate spietatamente la massa di promesse irrealizzabili dei vari protagonisti della campagna elettorale. La mette giù dura l’editoriale di Mario Calabresi, Incapaci di immaginare il futuro: “Ascoltiamo soltanto una grottesce cantilena di abolizioni. Via l’obbligo di vaccini via il canone Rai, via il bollo auto, via lo spesometro, via le tasse universitarie, via il redditometro, via la legge Fornero, via il Jobs Act, fino alla mirabolante promessa finale di cancellare migrazioni e migranti”

Sullo stesso tono gli immarcescibili Alesina e Giavazzi, duo di economisti che non ne ha mai imbroccata una ma che si ripropone ogni volta come se fosse la prima volta: Le favole da evitare sul debito pubblico. Ma il bersaglio sono i Cinque Stelle, a cominciare da Di Maio, che sfarfalleggia da settimane per accreditarsi presso le “autorità superiori” (pellegrinaggi a Cernobbio e negli Usa, niente più uscita dall’euro, pronti a fare governi anche con altri partiti purché non lo si dica prima, ecc). Il piano grillino per ridurre il debito è effettivamente un castello di carte, ma i due teorici dell’austerità espansiva (“se tagli la spesa pubblica il paese riprende a crescere”, anche se non è mai avvenuto) lo usano come pretesto per ripetere sempre la stessa giaculatoria: o si riducono le spese o si aumentano le tasse, ma la seconda cosa non si può fare.

Sul fronte politico, Repubblica spinge in campo Veltroni e Prodi per “l’unità a sinistra” (Pd e bersaniani) nell’antichissimo schema del “fermare le destre”. Ma guardando più da vicino – sempre grazie a Repubblica – emerge che ci sono solo due movimenti considerati inaffidabili nelle “alte sfere”: grillini e Lega. Tutti gli altri vanno naturalmente benissimo.

Chi e perché? Tutti quelli che hanno da sempre accettato l’Unione Europea come amministratore unico delle faccende economico-finanziarie anche italiane, da cui dipende qualsiasi programma di gestione del paese. Banalmente, se non puoi disporre liberamente delle risorse che vai producendo, non puoi fare nessun altra politica se non quella prevista dai trattati europei e dalle indicazioni in tempo reale della Commissione Europea (tramite il Six Pack e il Two Pack).

A questo ampio club si è iscritto da tempo anche Berlusconi, e lo ha dimostrato ieri promettendo – la mattina – di abolire il Jobs Act e garantendo (la sera) di mantenerlo così com’è. E dire che il Jobs Act è un peso per la spesa pubblica (la decontribuzione garantita alle imprese riduce le entrate statali), ma la centralità degli interessi delle aziende è un dogma intoccabile per la Ue. Dunque su questo fronte si può continuare a spendere...

Restano ai margini leghisti e pentastellati, peraltro pesantemente “lavorati ai fianchi”. La rinuncia di Roberto Maroni a un altro mandato da presidente della Lombardia, a prima vista incomprensibile (“per ragioni personali”), comincia a rivelarsi un legnata a Salvini (“Con me si è comportato da stalinista”) e a una candidatura a una poltrona di rilevo nell’unico governo a questo punto possibile.

Quale? Beh, se si escludono M5S e (parte della) Lega, non restano molte alternative: un bel “governo del Presidente” con dentro Pd, Forza Italia, Liberi e uguali e frattagline varie (Lorenzin, democristiani di varia osservanza, singoli parlamentari che cambiano casacca).

Cosa li terrà insieme? Il bastone dell’Unione Europea, che quest’anno trasformerà il Fiscal Compact da semplice “trattato intergovernativo” a “legge comunitaria”. Ossia da oggetto di flessibilità contrattata volta per volta a dispositivo automatico affidato a organismi tecnici.

Come si fa a non augurarsi che il potere ritorni al popolo?

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