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12/01/2018

Il problema non è Trump in sé, ma ciò che rivela di rappresentare

“Perchè gli Stati Uniti dovrebbero accogliere gente che arriva da questo cesso di paesi”? Sul fatto che Donald Trump dica quasi tutto quello che gli passa in mente, ormai ci sono pochi dubbi.

Far parte del suo staff di comunicazione non deve essere semplice: tra quello che dice e quello che pubblica su Twitter – che per stile e modi parrebbe essere decisamente vergato di suo pugno – “The Donald” rischia di finire sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo ogni tre giorni, per la qualità e la quantità dei suoi strafalcioni.

Questa infatti è l’immagine che spesso viene associata al presidente degli Stati Uniti: un personaggio diretto, umorale, inesperto delle regole della diplomazia (delle quali se ne frega), rozzo, privo della capacità di gestione della propria immagine che, più o meno da sempre, caratterizza i protagonisti dell’alta politica internazionale.

“Tutte le gaffe di Trump” è uno dei titoli più utilizzati dalla stampa internazionale in questo ultimo anno. Ma è corretto, giornalisticamente e soprattutto politicamente, derubricare le espressioni pubbliche del presidente degli Stati Uniti a strafalcioni ed espressioni “poco harvardiane”?

No, non è corretto. Quello che afferma Trump esprime una visione del mondo ben precisa, esattamente quella per cui è stato votato nel suo paese, esattamente quella che è condivisa intimamente da un elevato numero di uomini e donne che ritengono di avere la fortuna di vivere nel cosiddetto “primo mondo”, quello definito dal Fondo Monetario Internazionale “ad economia avanzata” e che dentro di esso riaffermano il loro riconoscersi e voler mantenere “l’America first”, a tutti i costi.

“Perchè gli Stati Uniti dovrebbero accogliere gente che arriva da questo cesso di paesi?” ha dichiarato ieri Trump, rispondendo ad alcuni membri del Congresso che gli chiedevano di riconsiderare la decisione di togliere lo status di protezione temporanea a decine di migliaia di immigrati provenienti da Haiti, El Salvador ed alcuni paesi africani. “Shithole countries”, letteralmente. “Gli Usa dovrebbero invece incentivare l’immigrazione da paesi come la Norvegia”, ha aggiunto il presidente.

La Casa Bianca al momento non ha smentito. Il portavoce delle Nazioni Unite ha parlato esplicitamente di razzismo, e a lui si accoderanno sicuramente altri importanti rappresentanti di organizzazioni internazionali, se non qualche leader mondiale.

La stampa Usa ha deciso di pubblicare le espressioni letterali utilizzate dal presidente, senza mediarle in alcun modo, senza omissioni ed asterischi. ”Ci è stato subito chiaro che dovevamo pubblicare il linguaggio direttamente, senza parafrasarlo. Abbiamo voluto essere sicuri che i lettori capissero esattamente la portata della notizia” ha dichiarato un giornalista del New York Times: scelta che va ad interrompere la prassi di evitare l’utilizzo di termini volgari.

Un approccio politically correct che fa quasi sorridere, a fronte della chiarezza di intenti e di visione che le parole di Trump esprimono. Perché il nostro dubbio – quasi una certezza – è che la maggioranza della popolazione statunitense sia d’accordo con questo pensiero, che statisticamente è condiviso – appunto – da un sacco di gente in tutto il mondo a capitalismo avanzato. Gente che magari si scandalizza per la forma, ma condivide la sostanza. Gente che quando Trump dice che è meglio un immigrato (mediamente non povero, bianco e biondo) dalla Norvegia che un ispanico (mediamente scuro povero in canna) dal Centro America o peggio ancora un africano (mediamente poverissimo), beh, nel profondo della sua anima, al netto di una più o meno presenza di compassione un po’ radical chic, è d’accordo.

Ce lo immaginiamo quasi come se fosse qui davanti a noi, il cittadino medio statunitense: privo o quasi di assistenza sanitaria pubblica, privo di welfare, gettato senza reti di protezione in un mercato del lavoro privo di regole e caratterizzato dalla ferocia tipica del neo liberismo, alla mercé di un apparato repressivo tra i più aggressivi al mondo, a rischio di essere condannato a morte se per caso finisce nei guai pure per sbaglio ed il suo avvocato non è abbastanza bravo, e che gode intimamente del fatto che finalmente qualcuno dica le cose che vuole sentirsi dire.

Che ce ne facciamo di gentaglia proveniente da quei cesso di paesi?

Che ce ne facciamo di 15.000 haitiani che sono pure tutti malati di Aids? O dei nigeriani, che non torneranno più nelle loro capanne? (altre “gaffe” di Trump – ndr –).

Diciamolo, allora. Trump è utile. Utilissimo. Perché, grazie alle sue caratteristiche personali, espressive ed intellettuali, svela senza ipocrisie quello che è il pensiero delle classi dominanti di questo pianeta, impegnate prima di tutto a salvaguardare quello che è loro e che non vogliono condividere con altri. Per fare questo bisogna convincere una collettività impoverita, impaurita, ripiegata su se stessa che il problema è chi sta peggio di te, non chi sta meglio e si approfitta quotidianamente di te per migliorare costantemente la propria condizione.

Il “pensiero svelato” di Trump potrebbe essere una sorta di “falla nel sistema” che permette di comprendere quale sia il reale obbiettivo di chi comanda e vuole continuare a farlo. Il problema, a questo punto, è capire che la condizione materiale di moltissimi individui che hanno la fortuna di vivere nel “primo mondo”, è paradossalmente più simile a quella di chi arriva dai paesi-cesso, piuttosto che a quella di chi, a seconda dell’opportunità, si mostra più o meno accogliente o più o meno democratico, ma che alla fine continua a perpetuare condizioni generali di sfruttamento.

Questa potrebbe essere la madre di tutte le battaglie: far comprendere che il nemico è chi ti sfrutta, non chi vorrebbe gli stessi diritti che hai tu (e che sono sempre di meno).

Altrimenti, inutile scandalizzarsi – o fingere di farlo – per quel che dice Trump, perchè c’è il forte rischio che in fondo sia esattamente quello che pensano molti tra la nostra gente e qualche volta anche qualcuno di noi.

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