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20/12/2017

Usa: ‘Cina e Russia nemici’. La superpotenza debole rilancia la competizione globale

Gli Stati Uniti di Trump non solo praticano e rilanciano la competizione globale con le potenze concorrenti, ma la rivendicano attraverso quella che suona come una vera e propria cornice di legittimazione ideologica.

E’ ciò che emerge dalla presentazione della cosiddetta “National Security Strategy”, un documento di settanta pagine redatto da Nadia Schadlow che il presidente degli Stati Uniti ha definito “realismo basato sui principi”. Il realismo sta nel riconoscere che il mondo, da tempo, non è più il cortile di casa di Washington e che quella che è stata la potenza leader del mondo occidentale durante tutta la guerra fredda e per qualche anno, dopo la caduta del campo socialista, la dominatrice indiscussa dell’intero globo, fatica oggi ad affermare i suoi interessi e i suoi obiettivi, contrastata dall’emergere e dal rafforzarsi di altre potenze con proiezione globale.

Per la prima volta un documento ufficiale tanto rilevante e strategico cita esplicitamente i principali avversari di Washington che avvisa: “Siamo entrati in una nuova era di competizione”. Spiega il “National Security Strategy”: “La competizione tra le grandi potenze è tornata, dopo essere stata a lungo liquidata come un fenomeno del secolo passato”. E i due grandi nemici delle mire statunitensi vengono individuati, senza giri di parole, nella Russia e nella Cina, definite “competitrici strategiche”.

Il documento si basa su quattro diversi pilastri. Il primo, intitolato “Proteggere la patria, il popolo americano e il nostro modello di vita” è dedicato di fatto alla guerra, al riarmo, al warfare (il welfare militare) e alla lotta contro l’immigrazione, con elementi strategici di tipo materiale legittimati dalla presunta necessità di salvaguardare gli States dalla “invasione degli immigrati”. In questo capitolo si parla del necessario aumento delle spese militari, già portate a 700 miliardi di dollari l’anno; delle pressioni continue sugli alleati della Nato affinché aumentino le proprie spese militari portandole almeno al 2% del Pil; alla necessità di riportare all’ordine la Corea del Nord e alla cosiddetta lotta contro il terrorismo e al contrasto all’immigrazione clandestina.

Il secondo capitolo e pilastro del nuovo documento strategico della Casa Bianca è dedicato a “Promuovere la prosperità americana” in nome del fatto che “la nostra forza internazionale si costruisce a casa”: si parla dei tagli alle tasse per le classi medie e le imprese; del ritiro di Washington dall’accordo di Parigi sul clima e da altre convenzioni internazionali che penalizzano un’economia Usa in affanno; delle politiche protezionistiche e della guerra commerciale da implementare per contrastare la concorrenza e la penetrazione economica soprattutto cinese. La competitività economica è definita dal NSS una “questione di sicurezza nazionale”.

Il terzo pilastro – “Preservare la pace con la forza” – parla nuovamente di guerra. D’altronde da tempo gli Stati Uniti, sempre più deboli dal punto di vista economico e politico sul piano globale, rintuzzati o a volte sostituiti da altre potenze, stanno facendo ricorso alla minaccia o all’intervento militare per evitare un declino che preoccupa le amministrazioni Usa da ormai qualche decennio. In questo capitolo si parla quindi di “potenziare le difese” e di investire nell’industria e nei sistemi militari ed in quelli della sicurezza cibernetica, perché una eventuale debolezza in questi campi da parte di Washington potrebbe essere considerata dai concorrenti un incentivo all’aggressione. L’amministrazione Trump enfatizza l’importanza di ammodernare e accrescere il proprio arsenale nucleare, definito garanzia di pace e prosperità.

Il quarto pilastro ha un carattere prettamente ideologico e propagandistico, diretto sia all’interno che all’esterno dei confini statunitensi. Il capitolo – “Aumentare l’influenza americana” – costituisce una versione riveduta e corretta della visione interventista che caratterizzò sia le ultime amministrazioni repubblicane sia quella Obama. Secondo questa dottrina gli Usa non hanno intenzione di imporre i loro valori o di esportare la democrazia a suon di bombe, ma rivendicano il diritto a difendere, con un ruolo attivo in tutto il mondo, lo “stile di vita americano e la democrazia”. Trump lancia un esplicito avvertimento a Cina e Russia, definite “potenze avversarie” che cercano di “disegnare un mondo in antitesi ai valori e agli interessi americani”. Mosca e Pechino, etichettate anche come “potenze revisioniste” perché tentano di rompere lo status quo, vengono accusate di voler “rendere le economie meno libere e giuste, aumentare la forza militare e controllare informazioni e dati per reprimere le libertà nelle proprie società ed espandere la propria influenza». Di nuovo, senza giri di parole e senza troppi eufemismi, il documento denuncia: “Russia e Cina sfidano il potere, l’influenza e gli interessi americani tentando di erodere la sicurezza e la prosperità degli Stati Uniti”.

Insomma Trump – per meglio dire le lobby e gli ambienti militari ed economici che lo hanno in parte anche boicottato ma che ora di fatto condizionano fortemente l’ex outsider vittorioso nei confronti di Hillary Clinton – si candida a frenare e invertire un trend che ha visto Washington perdere capacità di direzione ed appeal nel resto del mondo, dall’Africa al Medio Oriente all’Asia, stretta tra le crescenti difficoltà interne e le mire di nuove potenze globali che sfidano gli Stati Uniti e vogliono mettere fine ad una già corrosa supremazia a stelle e strisce. Mosca ha inferto un duro colpo all’egemonia statunitense in Medio Oriente, ma è soprattutto la Cina a preoccupare Washington con la sua sfida economica, ma anche scientifica e militare a tutto campo. L’espansione di Pechino spaventa molto Washington con le sue pratiche commerciali definite scorrette e i suoi massicci investimenti in settori chiave dell’economia.

Dopo aver destabilizzato Ucraina e Siria, il documento chiarisce che per l’amministrazione Trump la penisola coreana e l’Iran sono i due target sui quali esercitare pressione per tentare di imporre a Russia e Cina uno scontro su un terreno congeniale a Washington, quello militare. Di Unione Europea non si parla in maniera esplicita, ma non sono mancati in questi ultimi anni i segnali di insofferenza da parte di Washington per l’accelerazione di un processo di integrazione continentale che di fatto mira a costituire un polo politico, economico e geopolitico indipendente e svincolato dalla tradizionale subalternità agli Usa. Un polo imperialista caratterizzato da mire e interessi omologhi ma contrapposti a quelli dell’ex superpotenza egemone e che ora la costituzione dell’Esercito Europeo allontana ancora di più dall’altra sponda dell’Atlantico e dalla pretesa di supremazia esercitata da Washington attraverso una Nato da tempo immobilizzata dalla competizione globale.

Le strategie dell’amministrazione Trump, se ce ne fosse bisogno, evidenziano l’estrema debolezza e non certo la forza degli Stati Uniti sul piano delle relazioni internazionali. Ma alla debolezza gli Usa cercano di rimediare accrescendo provocazioni e interventismo, guerra commerciale e riarmo convenzionale e nucleare. Non necessariamente una bestia ferita è meno pericolosa, anzi.

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