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15/12/2017

“Potere al Popolo” e il ruolo dei comunisti nel prossimo passaggio elettorale

Nei prossimi mesi, probabilmente a Marzo, i cittadini italiani saranno chiamati a votare il nuovo parlamento dopo 5 anni targati PD che hanno perseverato ostinatamente nella realizzazione di programmi “lacrime e sangue” con i quali il grande capitale industriale del nostro paese e i mercati finanziari dell’UE hanno risposto all’acutizzarsi della crisi di produttività e crescita a partire dal 2008.

Le misure di austerity iniziate dal governo tecnico di Monti, su spinta del capitale finanziario transnazionale e dei gruppi di potere coalizzati nell’UE nel tentativo di rafforzare il proprio ruolo nell’assetto dei mercati internazionali in questa nuova fase della crisi generale del capitalismo, sono state adottate senza eccezione dai governi guidati dal PD e sono diventate prassi istituzionale formalizzata da misure quali il Fiscal Compact, lo smantellamento progressivo del welfare, la precarizzazione del mercato del lavoro e l’introduzione del pareggio di bilancio come principio costituzionale. Lo stato come un’azienda che non può investire più di quanto guadagni, la riduzione dei diritti sociali che va sotto il nome di “aumento della flessibilità” – valga come esempio l’abolizione dell’articolo 18, obiettivo principale del Jobs Act di Renzi – hanno continuato ad essere le direttive delle classi dirigenti italiane nell’affrontare la crisi, che però continua a mostrare la dura realtà se si guarda ai livelli di disoccupazione (generale e soprattutto giovanile) e all’ininterrotta emigrazione di giovani dal nostro paese con numeri che, al di là delle semplicistiche retoriche xenofobe, superano ormai quelli dell’immigrazione.

Tuttavia, nonostante la propaganda promossa dalle forze politiche neoliberali e dai media mainstream sulla presunta uscita dalla crisi, nonostante i decreti Minniti che mirano a nascondere le disuguaglianze e la povertà dilaganti nelle “città-vetrina”, nonostante una guerra tra poveri ampiamente favorita dalle misure di austerity e dai populismi di destra – da Salvini al M5S – le masse popolari non hanno piegato la testa. Quando ha avuto l’occasione di mostrarlo sul piano istituzionale, il popolo italiano non ha esitato a mandare a casa il governo Renzi, esprimendosi in opposizione alla contro-riforma della Costituzione durante il referendum del 4 dicembre 2016.

Il malessere sociale continua a covare tra le classi popolari del nostro paese, e pur non esprimendosi in grandi movimenti di massa come accaduto in Grecia, Catalogna e Francia negli ultimi anni, si sedimenta in una negazione silenziosa del sistema politico esistente, dimostrata dall’astensionismo senza precedenti raggiunto nel nostro paese e, in misura certamente marginale ma non trascurabile, alimenta focolai di resistenza, le lotte territoriali e sindacali, in difesa dell’ambiente e dei posti di lavoro, sparse per la penisola.

L’assenza di importanti cicli di lotte sociali indubbiamente si riflette anche sulle forze in campo per le elezioni, che a questo giro probabilmente andranno a formalizzare la marginalità politica del nostro campo e la “normalizzazione” di quelle forze come il M5S che hanno assorbito il malessere popolare nelle precedenti fasi elettorali.

Di fronte a questo contesto riteniamo che, oggi più che mai, non bisogna farsi illusioni: nessun cambiamento sostanziale delle condizioni di vita dei lavoratori e delle masse popolari può avvenire attraverso le elezioni, e nessuna delle attuali forze politiche in campo è disposta a fare ciò che va fatto per rompere con la dittatura del grande capitale industriale e della finanza transnazionale, per mettere fine alle guerre promosse dall’imperialismo a guida USA-UE, per frenare e invertire i processi di privatizzazione, precarizzazione del lavoro e ristrutturazione economica e politica degli stati dell’Unione Europea.

A tal proposito, riteniamo fermamente che nessuna concessione va fatta a chi oggi, a “sinistra” del PD e sotto nuovi nomi, tra i nostri avversari o presunti alleati, intende rifarsi una faccia come difensore dei lavoratori, mentre si adagia opportunisticamente nell’assunzione di un elettoralismo di fatto, di un europeismo timidamente critico, o si adegua all’accettazione di un sistema di potere ritenuto “troppo forte” da sconfiggere.

Il progetto in cui ci siamo impegnati da quando abbiamo voluto creare il Laboratorio Comunista Casamatta è quello della ricostruzione di un’organizzazione comunista adeguata ai nostri tempi, ai compiti e alle contraddizioni del XXI secolo. Abbiamo sempre affermato che il rapporto con il soggetto reale, il blocco sociale di riferimento, precede quello con il ceto politico, e deve precedere, almeno in questa fase, qualsiasi tattica di fronte con forze residuali della sinistra del secolo scorso che non hanno fatto bilancio dei fallimenti e della quantità di forze disperse nelle loro precedenti esperienze. Per giunta, la rinascita della sinistra, la riconquista del consenso tra la popolazione, può avvenire in questa fase soltanto attraverso il radicamento dei suoi militanti nei settori sociali di riferimento: tra i lavoratori, i giovani precari della metropoli, il nuovo proletariato delle periferie; attraverso l’organizzazione delle lotte sociali e del conflitto; infine, nella costruzione di un orizzonte simbolico e politico nuovo, capace di rappresentare i bisogni, i valori, gli interessi delle nuove generazioni e degli strati proletari della metropoli moderna.

Di fronte alla difficoltà e alla temporalità di lungo periodo di questo processo di reale recupero di consenso tra la popolazione, la contingenza di una tornata elettorale non ci seduce affatto: non ci contraddistingue la grave impazienza di chi s’illude di poter giocare un ruolo nella storia di questo paese affrettandosi a conquistare qualche seggio in parlamento, né nessuna ansia di affermazione, nessuna volontà di esistere a ogni costo, a prescindere dal radicamento reale nella società.

D’altra parte, siamo perfettamente consapevoli dell’impossibilità di conquistare le ampie masse astensioniste in qualche mese di campagna politica nella presente tornata elettorale. Certo, non possono bastare i buoni propositi, l’onestà intellettuale e morale, le virtù politiche della “nostra sinistra” a far cambiare idea a milioni di potenziali (idealmente) elettori di sinistra, da decenni astensionisti di fatto!

Del resto, premesso che siamo soltanto un piccolo collettivo metropolitano senza possibilità di aspirazioni egemoniche, seppure fossimo un’organizzazione nazionale, non ci interesserebbe partecipare al banchetto della competizione tra le forze politiche residuali o minoritarie dell’attuale sinistra di classe. Di più ci interessa, e sempre ci ha interessato, la coerenza e la costanza del metodo politico, il rigore delle posizioni assunte, la chiarezza inequivocabile delle intenzioni e degli obiettivi.

Con questi propositi ci siamo impegnati sin da subito nel progetto della Piattaforma Sociale Eurostop, che per noi rappresenta, tra gli altri, un contesto di sperimentazione politica, il cui potenziale sta proprio nella possibilità di rompere con i triti schemi della politica elettorale, a favore della costruzione di un movimento politico-sociale, un campo di definizione chiara e inequivocabile degli interessi e dell’identità politica delle classi subalterne contro le classi dominanti rappresentate univocamente dal progetto neoliberista ed unionista-europeo.

Con queste considerazioni, e malgrado esse, come compagni del Laboratorio Comunista Casamatta abbiamo guardato con attenzione ad una proposta gravida di novità nel panorama politico italiano, e ci riferiamo alla campagna politica di “Potere al Popolo” promossa dall’ex OPG – Je so Pazz di Napoli. Abbiamo detto “proposta gravida di novità” non a caso: riteniamo che la rottura di questa proposta con tutto ciò che oggi esiste sul piano elettorale sia un processo da costruire, appena aperto dalla campagna di “Potere al popolo”, potenzialmente iscritto in essa a prescindere dalla contingenza elettorale, e non qualcosa di già dato. In tal senso, partecipando all’assemblea nazionale di Eurostop del 2 dicembre, abbiamo accolto con favore l’orientamento emerso di lavorare attivamente alla costruzione della lista senza rinunciare ai contenuti politici discriminanti della Piattaforma.

Siamo consapevoli che “Potere al Popolo” non è lo strumento attraverso cui il proletariato conquisterà egemonia dopo decenni di completa subalternità, e che la parola d’ordine di applicare la Costituzione non è di per sé rivoluzionaria; né condividiamo l’ambiguità su questioni strategicamente fondanti per un movimento anticapitalista di massa come quella della rottura dell’UE, che non vuol dire semplicemente la contrarietà ai suoi trattati, ma va conseguentemente portata fino in fondo aprendo le porte all’uscita dell’Italia dall’UE.

Del resto, non riteniamo affatto che si tratti di questioni “troppo lontane” dalle masse: la lotta al sistema di potere neoliberale e unionista-europeo non consiste nella rivendicazione di astratte parole d’ordine (No Euro, No Ue, No Nato), ma vive oggi in qualsiasi lotta reale, come condizioni di rottura dell’impasse politico-economica delle istituzioni e come premessa di avanzamento nel miglioramento delle condizioni di vita, di lavoro e di lotta delle classi subalterne.

Prendiamo ad esempio la lotta dei lavoratori ANM contro la privatizzazione del trasporto pubblico locale di Napoli: essa deve fare i conti con i vincoli di bilancio imposti alle amministrazioni locali dall’UE e dai governi europeisti (e qui anche il “ribelle” De Magistris mostra il suo vero volto, basta guardare alle sue recenti dichiarazioni sul voler ricorrere al comitato per l’ordine pubblico contro i lavoratori ANM che hanno rifiutato le ore di lavoro straordinarie). Ci rendiamo conto, inoltre, che la presenza in questo movimento di chi ancora riponeva speranze nel “Brancaccio” può essere letta come un tentativo da parte del “vecchio” di egemonizzare il “nuovo”.

Ma riteniamo anche che il movimento politico-sociale Eurostop è un progetto in costruzione che oggi, in una fase di generale depressione delle lotte sociali, non può rinunciare ad ampie alleanze tattiche sul piano della mobilitazione di massa, né a momenti di confronto, inchiesta, rapporto politico con le masse, quale può essere una campagna politica di massa in vista delle elezioni. Certamente, però, come insegnano le due importanti giornate di sciopero generale e mobilitazione del 10 e 11 novembre scorsi, non sarà la propaganda elettorale di tre mesi a collocare il movimento Eurostop al centro di un progetto di riscossa delle classi subalterne, ma il grigio, duro e costante lavoro quotidiano, di sindacalisti, attivisti sociali e militanti politici impegnati, allo stesso tempo, nella propaganda di denuncia delle politiche neoliberali ed unioniste-europee, e di chiarificazione degli interessi antagonisti delle classi, e nell’organizzazione di lotte sociali e di classe con contenuti politici generali, che trascendono il piano locale o meramente vertenziale.

In questo contesto, chi si propone di utilizzare la campagna elettorale per rafforzare le lotte, per sviluppare conoscenza e coordinamento tra le realtà dal basso esistenti, per portare tra la gente parole d’ordine di rottura con l’attuale ordine economico e politico, per chiarire chi sono gli “amici” e chi i “nemici” della masse popolari non può che ritrovarsi sulla nostra stessa strada. Sviluppare una campagna elettorale di rottura, utilizzarla come megafono delle lotte, portare direttamente nel “teatrino” della politica borghese gli attivisti e i lavoratori che oggi nessuno rappresenta – come sta succedendo nelle assemblee promosse da “Potere al Popolo” – è un processo che va sostenuto indipendentemente da quelli che saranno gli esiti delle elezioni, o i tentativi di egemonia da parte di talune forze su altre.

Certo, i rischi ci sono e inevitabilmente nel corso di questo processo si presenteranno tentativi di far confluire su un piano esclusivamente “elettoralista” questo potenziale di mobilitazione; ed è contro queste derive, del resto potenzialmente presenti anche in Eurostop, che oggi riteniamo che i comunisti debbano lottare, per affermare un orientamento avanzato alla mobilitazione popolare, sviluppare coscienza ed organizzazione e ritornare a sedimentarsi e costruire radicamento tra le masse.

A tal proposito, vogliamo dare forza a una proposta emersa da alcune realtà di base a Napoli nelle scorse riunioni per la costruzione della campagna politica di “Potere al popolo”: bisogna imporre che i candidati alla lista popolare siano scelti tra gli attivisti, i lavoratori e i cittadini in lotta, i giovani e le donne schierati in prima linea per la trasformazione della società presente, e non tra il ceto politico dei professionisti del parlamento e delle elezioni.

Con le premesse, i dubbi e i propositi che abbiamo esposto, ci impegniamo a sostenere sul piano politico ed organizzativo la campagna di massa che si sta definendo per costruire la lista “Potere al Popolo”, con l’obiettivo di farne uno strumento di rafforzamento delle lotte esistenti e di portare sul piano nazionale la verità dei lavoratori e dei precari, dei giovani sfruttati e senza futuro e delle masse popolari che quotidianamente pagano sulla propria pelle la crisi dei padroni. Ogni altra strada corre il rischio di limitarsi a guardare la debolezza delle nostre forze nell’attuale fase politica, senza approfittare dei segnali positivi esistenti per dire chiaramente che un’altra società è possibile e necessaria e che sta a noi accettare la sfida della sua trasformazione.

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