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03/12/2017

La rivolta dei “lavoratori mentali” alla GD mette in crisi l’ideologia di padroni e sindacati complici.

Quanto avvenuto recentemente alla Gd-Coesia di Bologna, è un esempio significativo e una conferma di molte delle cose che andiamo segnalando da tempo sul nostro giornale.

Un lungo articolo del 1 dicembre su Il Sole 24 Ore, giornale della Confindustria, continua a interrogarsi e cercare di capire come sia stato possibile che l’Usb sia esplosa nei consensi tra i lavoratori in una fabbrica a tecnologia avanzata (quelle 4.0 come si dice oggi), pacificata sindacalmente (le ore di sciopero erano crollate negli anni), con una regolazione contrattuale sostanzialmente decente e pienamente inserita nel quadrante produttivo “europeo” del nostro paese (l’Emilia-Romagna).

Su questa vicenda vengono a coincidere alcuni elementi importanti sul piano sindacale, politico e se volete anche strategico:

1) Il voto per vendetta dei lavoratori metalmeccanici verso una Fiom ritenuta ormai parte del sistema – e del problema – e non della soluzione delle loro esigenze nel rapporto di forza con la controparte padronale. Un voto che si è replicato in molte altre fabbriche metalmeccaniche;

2) Il sindacalismo conflittuale sta penetrando nelle fabbriche, anche in quelle tecnologicamente avanzate dove la conflittualità era stata ridotta ai minimi termini sia dalla complicità sindacale di Cgil Cisl Uil sia dai margini di distribuzione che vengono dal fatto che sono industrie “che tirano” e non in crisi;

3) In questo caso – la GD Coesia – a operare la rottura con questo scenario di pacificazione aziendale, non sono i settori salariati meno qualificati ma quelli ad alta competenza, più simili ai tecnici che agli operai di catena.

Se i primi due punti attengono alla dimensione del conflitto sociale e alle sue manifestazioni reali oggi (in cui spesso si esprime disagio con il voto più che con la lotta), l’ultimo punto offre materia di enorme interesse per l’analisi sviluppata nel recente libro di Guglielmo Carchedi su lavoro mentale e classe operaia.

Avviene infatti che a mandare a quel paese il padrone e i sindacati complici, siano soprattutto quei “lavoratori mentali” che dispongono di conoscenze avanzate del processo produttivo, quelli che in alcuni casi “ne sanno più del padrone”.

Quando quest’ultimo tira troppo la corda cercando di introdurre nella gestione dell’orario di lavoro meccanismi di controllo “intrusivi” (affidandosi spesso ad algoritmi), questi lavoratori reagiscono e si mettono di traverso, anche se il loro salario magari è più alto, se ci sono buoni premi di produzione e si lavora in una azienda che tira, che ha mercato e non è in crisi.

In sostanza alla GD di Bologna, è stato ostacolato – vedremo se si riuscirà a metterlo in crisi – quel modello di concertazione sindacato-azienda di tipo tedesco al quale la Fiom bolognese guarda da tempo. Ma il fatto che questa rottura dell’incantesimo sia avvenuta in una industria a tecnologia avanzata, indica una contraddizione interessante sul “lavoro mentale” dentro le condizioni del lavoro salariato oggi. Una contraddizione che l’elaborazione di Mino Carchedi e dei compagni della Rete dei Comunisti ha cercato di cogliere e socializzare con le molte iniziative fatte in giro per l’Italia nelle settimane scorse.

Qui di seguito l’articolo de Il Sole 24 Ore del 1 dicembre

L’hi-tech rivoluziona anche i contratti di lavoro

Ilaria Visentini

È un contratto integrativo “disruptive” sotto tutti i punti di vista, quello firmato a Bologna due mesi fa dal gruppo GD-Coesia, il leader mondiale nelle macchine per il packaging di sigarette (1,6 miliardi di euro di fatturato, 98% export, e 6.800 collaboratori nel mondo di cui 1.850 nella casamadre): non solo ha costruito l’impalcatura più all’avanguardia nella meccanica italiana con cui smontare gradualmente i vecchi accordi e introdurre innovazione 4.0 anche sul fronte contrattuale; ma ha letteralmente spaccato in due i lavoratori (il referendum è passato con appena 27 voti di scarto) portando per la prima volta i delegati indipendenti e radicali dell’Usb (Unione sindacale di base) in maggioranza nella Rsu, dopo mezzo secolo di dominio Fiom.

A conferma che il cambiamento fa sempre paura e muove gli istinti primordiali di difesa, anche se nella packaging & motor valley emiliana il motivo del contendere non sono certo algoritmi messi al controllo delle prestazioni umane – sempre bloccati ex ante da accordi sindacali preventivi a ogni nuova installazione di software digitali – ma l’introduzione di un’estrema flessibilità di orari a discrezione del singolo e della squadra di lavoro, di una responsabilizzazione del lavoratore sul risultato e di formale riconoscimento del merito attraverso premi individuali che si sommano a quelli collettivi.

Tra innovazione e punti di rottura

E si parla di realtà come Gd Coesia – ma anche Ima, Bonfiglioli, Scm, le altre multinazionali della via Emilia che già hanno firmato clausole esplicite sul tema 4.0 – che sono da sempre molti gradini sopra la media di mercato per ricchezza delle retribuzioni, strumenti di welfare e diritti riconosciuti alle maestranze. Come racconta l’ultimo accordo passato sul filo di lana di GD-Cosia che a regime aumenta del 25% l’attuale premio di risultato e lo estende a tutta la popolazione aziendale (contratti a termine e somministrati compresi) integrando e potenziando tutti gli istituti di welfare e di formazione rispetto al Ccnl. E fin qui tutti d’accordo. Le divisioni iniziano quando si parla di moltiplicatore che parametra le performance individuali, e quindi il merito del singolo, e di libertà di entrata e uscita per 7° livelli e quadri con l’unico vincolo delle 40 ore settimanali, dal lunedì al sabato. «Un progetto pilota su base volontaria e reversibile che sarà monitorato per 6-8 mesi da un’apposita commissione mista e che risponde alle istanze che ci arrivano dai giovani profili qualificati, attirati dai grandi big dell’hi-tech, dove possono lavorare su progetti senza gerarchie né orari», spiega il direttore Risorse umane, Claudio Colombi.

I sindacati: il superamento del concetto di orario aumenta la responsabilità
«Continuiamo a rivendicare il salario strutturale, perché la conseguenza della fabbrica 4.0 e dell’interfaccia uomo-macchina è la tendenza a zero del tempo che non produce profitto. Badge, palmari, software da remoto permettono di controllare il dipendente in ogni movimento e anche se non vengono usati per fini disciplinari annullano la privacy. E il superamento del concetto di orario di lavoro sposta sul lavoratore tutta la responsabilità del risultato. La flessibilità diventa una gabbia dove spariscono gli straordinari per i sabati lavorati o i permessi per visite mediche. È in atto una proletarizzazione del lavoro, anche nelle fasce alte, e la nostra vittoria sindacale lo testimonia», ribatte Sergio Bellavita, segretario esecutivo nazionale Usb, che oggi esprime 16 dei 36 delegati in GD Coesia.

Usb che ha dalla sua parte la quasi totalità dei 350 montatori trasfertisti del gruppo, tecnici di alta competenza che girano il mondo a installare impianti super-complessi «contrari a un premio individuale lasciato alla discrezionalità dei preposti, che misura la quantità di trasferte fatte, rendendoli di fatto cottimisti, senza tener conto di età, salute, carichi familiari», spiega l’Usb.

Se la digitalizzazione cambia (anche) la rappresentanza

La digitalizzazione di fabbrica e lavoro, sommata a recessione e globalizzazione, sta smantellando non solo la contrattazione ma anche il modello di rappresentanza. I sindacati confederali dal 2010 a oggi sono passati da organi di lotta a partner di governo nelle imprese della via Emilia e siedono nei comitati interaziendali, monitorando e discutendo le strategie innovative, in un modello di cogestione alla tedesca. Modello che non piace all’Usb ma che, ad esempio, in GD ha ridotto dall’8,2% al 6,4% l’assenteismo, quasi azzerato gli scioperi (198 ore dal 2010 contro 21.500 ore tra 2007 e 2010) e permesso di re-internalizzare l’officina con uno scambio tra investimenti e occupazione, da un lato, e lavoro notturno e nei sabati, dall’altro. Non a caso Fiom Emilia-Romagna, guidata da Bruno Papignani, sta tessendo da quattro anni un confronto costante con i cugini di IG Metall (prossimo incontro in gennaio), favorito dall’esperienza in gruppi tedeschi come Ducati e Lamborghini. Dove un sistema informatizzato quale il Mes (Manufacturing Execution System) è sinonimo di tracciabilità totale del prodotto e non della persona e la tecnologia (bracciali, monitor, palmari) è strumento addosso al lavoratore per aiutarlo a ridurre l’errore e a garantire manufatti eccellenti.

«La nostra industria guadagna posizioni nel mondo per la qualità dei suoi prodotti e la capacità di dare risposte personalizzate. Industria 4.0 significa perciò non intelligenza artificiale, ma intelligenza aumentata che si basa su competenze individuali e collettive da negoziare, partecipare e condividere con le persone e le rappresentanze», afferma Patrizio Bianchi, assessore regionale al Coordinamento delle politiche europee allo sviluppo. E se l’Emilia-Romagna sta facendo da benchmark virtuoso nel Paese, ricorda Bianchi, è grazie al Patto per il lavoro che dal luglio 2015 ha creato un gioco di squadra tra forze sociali ed economiche dove al centro è il diritto per tutti a una buona occupazione non un algoritmo.

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