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20/12/2017

Catalogna, domani elezioni imposte e “col trucco”

Domani si terranno in Catalogna elezioni che definire ‘anomale’ è poco. Si vota infatti a causa dell’intervento del governo centrale spagnolo che a ottobre ha esautorato e sciolto il governo e il parlamento locali – colpevoli di aver perseguito l’indipendenza da Madrid – grazie all’applicazione del famigerato articolo 155 della Costituzione Spagnola.

La campagna elettorale è stata, tutto sommato, assai più tranquilla di quanto ci si potesse aspettare. D’altronde milioni di catalani sono stati mobilitati su entrambi i fronti, quello indipendentista e quello unionista, quasi ininterrottamente per mesi. A pesare è anche la cappa repressiva fatta calare da Madrid sulla Catalogna, tuttora ‘presidiata’ da migliaia di militari e poliziotti spagnoli in aggiunta ai Mossos nel frattempo normalizzati dal commissariamento.

La campagna elettorale è stata costellata da decine di piccoli atti di repressione e censura. Potremmo citare l’identificazione da parte della polizia di alcuni militanti e candidati indipendentisti durante atti elettorali; il rifiuto da parte di alcune emittenti di trasmettere alcuni spot della Cup (sinistra indipendentista radicale); la censura sui media di alcune manifestazioni dei partiti indipendentisti; il divieto imposto dalla Giunta Elettorale alle amministrazioni pubbliche e ai municipi di esporre striscioni di solidarietà con i prigionieri politici o anche solo i lacci gialli simbolo della protesta contro l’arresto dei ‘Jordis’ (i leader dell’Assemblea Nazionale Catalane e di Omnium Cultural) o dei dirigenti del governo autonomo esautorato.

Per non parlare di numerose aggressioni e provocazioni da parte dei gruppi di estrema destra ringalluzziti dalla crociata lanciata dal governo Rajoy contro i “ribelli” catalani.

Non solo il voto è stato imposto per riportare “la normalità” e la vigenza della Costituzione in territorio catalano, ma le elezioni si svolgeranno domani in un clima di forte ricatto e condizionamento, con i partiti indipendentisti decapitati dagli arresti e le regole del gioco truccate per evitare una nuova vittoria del fronte che si è battuto per l’indipendenza.

Milioni di catalani sono chiamati alle urne, per la prima volta, in un giorno infrasettimanale e lavorativo, di giovedì. Nonostante questo, l’affluenza ai seggi domani è prevista in rialzo (dopo che nel 2015 era già aumentata notevolmente rispetto alle precedenti elezioni) grazie alla mobilitazione di settori reazionari o di pezzi di quella “maggioranza silenziosa” unionista che generalmente alle elezioni locali nelle ultime tornate si erano astenuti considerando le istituzioni locali ormai “perse” a vantaggio dei ‘separatisti’.

I partiti spagnolisti di destra e di centro hanno condotto una campagna elettorale martellante, mobilitando molti dei leader statali.

Lo stesso premier spagnolo, Mariano Rajoy, ha presenziato vari appuntamenti di propaganda sul suolo catalano nella speranza di evitare che il Partito Popolare sparisca dalla mappa. La numero due di Rajoy e ‘governatrice’ della Catalogna grazie al 155, Soraya Sáenz de Santamaría, ha intanto beatamente dichiarato di sentirsi orgogliosa perché il suo partito ha decapitato l’indipendentismo, un’ammissione, per quanto implicita, dell’esistenza in Spagna di prigionieri politici e dell’inesistenza della separazione dei poteri.

La “nuova” destra liberista e nazionalista spagnola di Ciudadanos spera di affermarsi come primo partito – i sondaggi la danno in forte ascesa – e di poter guidare un eventuale governo “costituzionale” a Barcellona per la prima volta dalla fine del franchismo. A trainare l’ascesa dei ‘cittadini’ che piacciono a Macron la mobilitazione nei comizi catalani di personaggi del calibro di Manuel Valls, l’ex primo ministro socialista francese di origini catalane, o del Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa.

I socialisti, anche loro previsti in ascesa, hanno potuto contare sulla solidarietà della sindaca di Parigi, la socialista di origini iberiche Anne Hidalgo, e su uno Zapatero che per l’occasione si è addirittura riconciliato con l’attuale leader del Psoe, Pedro Sanchez. E il leader locale dei socialisti, Iceta, ha addirittura imbarcato nelle liste alcuni degli esponenti della destra democristiana locale – l’UDC – in rotta con il PDeCat diventato troppo radicale sul tema nazionale e definito ‘ostaggio della Cup’.

Sul fronte opposto a caratterizzare la campagna elettorale è stata la competizione per la leadership tra i repubblicani di Oriol Junqueras (rinchiuso nel carcere madrileno di Estremera) e i liberali di Puigdemont (esiliatosi in Belgio per non essere arrestato come molti dei suoi ministri). Alle storiche elezioni del 2015 i due partiti, più altre formazioni minori di centrosinistra, si erano presentati insieme nella coalizione Junts pel Si, ma stavolta Esquerra Republicana ha voluto concorrere con il suo simbolo, forte della vittoria che i sondaggi assegnano alla formazione socialdemocratica e nazionalista. Per l’occasione ERC ha candidato vari esponenti di tutte quelle correnti socialiste che negli anni scorsi o in questi mesi hanno abbandonato un PSC sempre più indistinguibile dal PP e da Ciudadanos.

In calo, invece, è dato il PDeCat che ha scelto di celarsi dietro la denominazione di ‘Junts per Catalunya’ che candida anche Jordi Sanchez, leader carismatico dell’associazionismo catalanista imprigionato ormai da due mesi. La speranza è quella di frenare il trend negativo che caratterizza ormai da alcune tornate elettorali il partito storico di riferimento di una borghesia autonomista che non ha gradito affatto la svolta indipendentista degli ultimi anni e che è stato abbandonato anche da tanti elettori più progressisti arrabbiati per gli scandali di corruzione e le politiche autoritarie e ultraliberiste che hanno contraddistinto il governo di Artur Mas.

Gli indipendentisti anticapitalisti della Cup sono dati in discesa rispetto all’exploit del 2015, quando erano passati da 3 a 10 deputati. Stavolta la formazione più radicale dello schieramento indipendentista potrebbe essere penalizzata dal “voto utile” che spinge verso il voto ad ERC affinché si affermi come primo partito evitando l’onta della vittoria di Ciudadanos. E anche dallo scontento di alcuni dei settori e politici più radicali che rimproverano alla Cup di essere stata troppo accondiscendente nei confronti di ERC e PDeCat. Da parte loro i candidati della sinistra indipendentista e anticapitalista chiedono il sostegno agli elettori di sinistra proprio per costituire un argine, un pungolo nei confronti delle altre formazioni sovraniste che dopo il fallimento della spallata indipendentista di ottobre hanno notevolmente rinculato rispetto ai battaglieri propositi che hanno portato alla celebrazione del referendum del 1 ottobre e dello sciopero generale del 3.

Dopo gli arresti dei leader politici e dei ministri, e lo scioglimento e il commissariamento di Govern e Parlament, alcuni dirigenti di Erc e del PDeCat hanno fatto autocritica dichiarando la propria impreparazione e sottovalutazione rispetto allo scenario di escalation repressiva determinato dalla reazione di Madrid, e si sono attestati sul ritorno ad una via graduale e negoziale all’indipendenza lasciando così la Cup da sola a difendere la rottura e l’unilateralità.

Stando ai vari sondaggi, le elezioni di domani dovrebbero sancire un sostanziale testa a testa tra i due schieramenti, con quello indipendentista in calo e quello unionista in crescita. In mezzo i ‘comuns’ di Ada Colau e di Xavier Domenech, alla guida di una coalizione “equidistante”, Catalunya en Comú-Podem, data anch’essa in lieve discesa.

Nei giorni scorsi Albano Dante Fachin, ex segretario di Podem e fondatore della formazione di sinistra ‘Som alternativa’ dopo la rottura con la direzione statale del partito, ha diffuso un video in cui invita la base di Podemos e gli indecisi a votare indipendentista – pur non essendo l’indipendenza della Catalogna tra le sua priorità – per far si che il movimento popolare rimanga protagonista della scena politica. Secondo Dante Fachin non esiste alcuna agenda sociale possibile senza la sconfitta del fronte unionista e se il 21 dicembre quest’ultimo vincerà la repressione continuerà e con essa la violazione dei diritti sociali e civili.

Dante Fachin è tornato a criticare fortemente il capolista di Catalunya en Comù, Xavier Domenech, che nei giorni scorsi ha chiesto agli elettori di ‘voltare pagina’ rispetto al 1 ottobre, e definito prioritario adoperarsi per riportare in Catalogna le imprese in fuga spaventate dagli indipendentisti. A Domenech l’ex leader di Podem chiede se debba contare di più la volontà popolare democraticamente e coraggiosamente espressa da milioni di catalani il 1 ottobre o gli interessi delle multinazionali spagnole e delle grandi imprese catalane.

L’intervento di Dante Fachin arriva mentre la giunta di centrosinistra di Madrid (guidata da Unidos Podemos) della sindaca Manuela Carmena è sull’orlo della rottura dopo la decisione dell’amministrazione comunale di applicare i pesanti tagli al bilancio imposti da Madrid, e mentre Podemos chiede agli indipendentisti di ERC si svincolarsi dal fronte sovranista e di rinunciare all’indipendenza per formare in Catalogna un governo insieme ai ‘comuns’ e ai socialisti. Un governo che, nelle intenzioni di Podemos, dovrebbe essere di ‘rinconciliazione’ dopo gli eccessi commessi da ambo le parti nei mesi scorsi.

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