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18/12/2017

Banca Etruria: tanto tuonò che piovve

Dunque, non ci avevo visto male, un mese e mezzo fa, quando scrissi che la sparata di Renzi contro Bankitalia era solo guerriglia preventiva nei confronti della commissione Banche dove stava covando l’attacco su Banca Etruria e che su questo si sarebbe giocato un bel pezzo di campagna elettorale. Stiamo assistendo all’affondamento del Pd e questo è il colpo di grazia.


Colpisce la velocità con cui tanti stanno abbandonando la barca che affonda e, a leggere Repubblica e l’Huffinghton in questi giorni, sembra di legge “Il Fatto”: nessuna clemenza, Renzi e Boschi sono gentilmente invitati a farsi da parte per salvare il salvabile della ditta Pd.

Il punto è che per il Pd non c’è più niente da fare. Possono anche pensare ad un veloce rimpiazzo con Gentiloni, in attesa di trovare un nuovo segretario, ma non bisogna essere frate indovino per prevedere la débacle elettorale del Pd.

Dicono che al Pd sono rassegnati ad un 25% (stessa quota di 5 anni fa) mentre temono un 20%: non hanno capito niente, se dovessero prendere il 20 dovrebbero andare scalzi alla Madonna di Lourdes per ringraziare.

Vedremo i sondaggi dei prossimi giorni, ma già da adesso non è difficile immaginare la via crucis che si prospetta davanti al Pd. Intanto per un po’ tutti continueranno a picchiare il tamburo sulla questione Etruria, ma subito dopo si aprirà la tragedia delle candidature.

Se ricordo bene il Pd ha un po’ più di 350 parlamentari, frutto in parte del premio di maggioranza indebitamente attribuitogli nel 2013, in parte della confluenza di Scelta Civica e di transfughi di Sel che hanno più che compensato gli scissionisti di sinistra. Di questa massa di deretani da allocare, è facile prevedere che, (per bene che vada e sperando che il quadrilatero “rosso” regga per gli uninominali) torneranno a sedersi non più di 150-160. E bisogna mettere nel conto le candidature degli esordienti (in particolare Renzi ne vorrà piazzare un po’) e forse qualche ospite come quelli provenienti da Capo Progressista o dagli alfaniani.

Insomma, degli attuali, forse ne rientreranno il 40%. Per di più, nessuno è in grado di prevedere dove avverrà la frana ed i seggi “sicuri”, fra capolista del proporzionale e collegi uninominali molto forti (ma ce ne sono ancora?) al massimo sono una quarantina alla Camera ed una ventina al Senato. La strage avverrà fra i numeri due ed i numeri tre dei listini e nei collegi uninominali in partibus infidelium.

Non ci vuole molto a capire che ci saranno risse da saloon per ottenere doppie candidature: la grande maggioranza dei candidati nei collegi uninominali chiederanno un buon piazzamento nei listini del proporzionale e i non capolista ugualmente vorranno almeno un paio di chances su cui puntare. E questo significa che o vanno tutti allo sbaraglio su una sola candidatura (ma chi accetterà di candidarsi senza nessuna speranza?) oppure, anche a concedere le doppie candidature con il bilancino del farmacista, già una bella fetta degli attuali parlamentari non sarà ricandidata.

E qui si porrà il problema delle minoranze: quanti posti vorrà concedere Renzi ad esse? E quale è la soglia oltre la quale si rischierebbe una nuova scissione? E quante fuoruscite individuali ci saranno?
Poi verrà la campagna elettorale che il Pd dovrà affrontare inesorabilmente da terzo, con la pressione di centrodestra e M5s che inviteranno al “voto utile”. Peraltro, la carta forte delle altre volte – il carisma di Renzi – non c’è più, perché ormai è polvere da sparo bagnata.

In queste condizioni, ditemi se il 20% non è una meta da leccarsi le dita!

Ed il peggio verrà dopo, quando il Pd sarà ufficialmente retrocesso nella serie B dei terzi o dei quarti: quanti ancora lo abbandoneranno?

A quel punto si aprirà ufficialmente il grande rimescolamento di carte del nostro sistema politico.

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