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13/12/2017

16D. I “dannati della globalizzazione” si riconoscono come alleanza. Sabato manifestazione nazionale a Roma

E’ stata presentata con una conferenza stampa la manifestazione di sabato 16 dicembre a Roma “Fight Right, diritti senza confini”. Ospitata nella sede della Fnsi, la conferenza ha visto i promotori spiegarne le ragioni.

Il corteo (da piazza della Repubblica a Piazza del Popolo, ore 14.00) darà visibilità ad un’Italia meticcia e “invisibile” che ha deciso che è ora di dire “basta che altri parlino al posto nostro” e che punta a fare in modo “che il governo adesso faccia i conti con noi”, soprattutto in un paese che si è scoperto essere quello a più alto tasso di povertà di tutta Europa.

I protagonisti della manifestazione saranno quelli che si definiscono come i “dannati della globalizzazione” ma anche delle “politiche antisociali imposte dall’Unione europea”, uomini e donne “strappati alla loro terra e ai loro cari dalle scelte geopolitiche dei potenti”. Ci saranno i braccianti delle campagne, i senza casa, gli studenti costretti all’alternanza scuola-lavoro, i lavoratori della logistica, precari, attivisti colpiti da fogli di via e sorveglianza speciale. Donne e uomini che hanno deciso di “prendere parola” e “fare in mondo che il Governo faccia i conti con noi”.

La manifestazione nazionale è stata lanciata dalla Coalizione internazionale Sans-Papiers e Migranti, dai rifugiati e richiedenti asilo, dai movimenti per il diritto all’abitare, da forze sindacali come l’Usb e movimenti sociali e attivi nel territorio, da associazioni laiche e religiose.

Le questioni al centro della piattaforma in qualche modo esprimono la composizione sociale che intende assumere quel protagonismo politico che gli viene negato. La questione dei migranti, che non mette solo il dito contro gli accordi tra l’Europa e la Libia per limitare i flussi “attraverso la creazione di veri e propri lager”, ma rivendica anche i diritti per quanti da anni vivono e lavorano da “invisibili” sul territorio italiano (vedi i braccianti), quindi il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari ai profughi a cui non è stata riconosciuta la protezione internazionale, la regolarizzazione di quanti di fatto lavorano da anni senza diritti quale “atto di civiltà”. Sta in questo il nesso tra la lotta contro il razzismo e il diritto all’uguaglianza.

C’è il poi la questione trasversale del welfare distrutto dalle politiche di austerità, perché non sia trasformato in “elemosina” con la richiesta dell’introduzione di “un reddito minimo“. Non poteva non avere il rilievo dovuto la questione abitativa, “un vero diritto all’abitare per tutti” che si sta invece scontrando con una escalation di sgomberi e negazione dello stesso.

Viene rivendicato un lavoro dignitoso, a cominciare dai precari, i facchini, gli operai, per i giovani che “fuggono in cerca di un futuro”, i lavoratori nell’era del Jobs Act, per i collaboratori domestici, per i braccianti nelle campagne. “Parleremo anche di nuove schiavitù ma ricorderemo anche come 4 secoli e mezzo di vecchia schiavitù costituiscano un crimine contro l’umanità” dice Aboubakar Soumahoro. Infine, ma non certo per importanza c’è la questione della libertà nell’epoca del modello autoritario di Minniti, perché “chi dà voce ai senza casa, ai migranti, ai poveri viene criminalizzato con i Daspo urbani, i fogli di via e la sorveglianza speciale”.

Il modello contestato dagli organizzatori della manifestazione del 16D è quello delle leggi come la Bossi-Fini che lega il permesso di soggiorno al contratto di lavoro, la più recente Minniti-Orlando, l’art. 5 della legge Lupi sulla casa. A livello europeo, pesano invece come un macigno il regolamento di Dublino e le politiche di austerità.

Ma gli organizzatori ci tengono a precisare che dietro i temi e le rivendicazioni, ci sono le persone in carne ed ossa ed alcune di esse lo hanno raccontato nella conferenza stampa. C’è il senza casa che vive da cinque mesi nelle tende, “al freddo tutto il giorno tanto che non si riesce più a dormire”, montate nell’androne della chiesa in piazza Santi Apostoli dopo lo sgombero di due occupazioni abitative questa estate. Ci sono i migranti della marcia da Cona verso Venezia “perché siamo fuggiti dalle nostre famiglie e non possiamo essere chiusi e isolati in un centro di accoglienza dove possiamo solo mangiare e dormire”. C’è la donna migrante che lavora da 17 anni nella campagne di Foggia. Dopo lo sgombero del ‘Ghetto’, vivono in una baraccopoli in condizioni disumane. C’è la studentessa che denuncia una alternanza scuola-lavoro fatta da “Lavare piatti, fare fotocopie e friggere patatine”.

Quella che sembra palesarsi nella manifestazione nazionale del 16 dicembre, è una alleanza sociale “reale” dei soggetti che hanno subito in molti modi la “dannazione” della globalizzazione capitalista e il tentativo di tenerli separati, anzi in conflitto tra loro. Ma quando, e se, scoprono di avere interessi comuni, interessi di classe possiamo ben dire, si apre un serio problema per il nemico. Quello vero, quelli di tutti.

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