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22/11/2017

Siria - Trilaterale a Sochi opposizioni spaccate a Riyadh

Giornata di incontri oggi a Sochi intorno alla questione siriana. Con una guerra a bassa intensità che da un anno va avanti nel nord ovest, a sud e intorno Damasco, con l’Isis spinto verso il confine orientale con l’Iraq e le opposizioni islamiste concentrate nella provincia occidentale di Idlib, le potenze regionali tornano a discutere di soluzioni.
 
Oggi in Russia si terrà un nuovo vertice tra Mosca, Teheran e Ankara, a due giorni dalla visita a sorpresa del presidente siriano Assad all’alleato Putin. I due hanno avuto un lungo colloquio, tre ore durante il quale la Russia ha ribadito il sostegno a Damasco che da parte sua ha ringraziato Mosca per l’indispensabile ruolo nel far sopravvivere il governo.

A sei anni dallo scoppio delle proteste di piazze, poi dirottate da gruppi armati di ispirazione jihadista e legate a doppio filo ai paesi del Golfo e alla Turchia, la Siria è devastata. La soluzione politica, che tutti indicano come unica via d’uscita, non prende forma, vittima della realtà sul terreno e delle diverse ambizioni delle potenze mediorientali e internazionali: il paese è oggettivamente diviso in territori gestiti da autorità diverse, nonostante la ripresa da parte governativa di molte delle zone perse dal 2011.

La stessa spaccatura si riflette sulle opposizioni considerate legittime dalla comunità internazionale. La Coalizione Nazionale Siriana, ben presto distaccatasi dagli oppositori interni, è sparita. Il vuoto lasciato è stato colmato dall’Arabia Saudita che due anni fa ha plasmato un nuovo corpo, l’Alto Comitato per i negoziati (Hnc), che due giorni fa ha perso di nuovo i suoi vertici.

Oggi l’Hnc si ritrova a Riyadh, dove ha visto la luce, per formare una delegazione che vada a negoziare a Ginevra nel nuovo round organizzato dall’Onu, di per sé svuotato dall’avanzata del modello di Astana imbastito da Russia, Iran e Turchia. L’obiettivo dei 140 membri presenti è individuare in tre giorni i nuovi vertici, dopo le dimissioni a sorpresa dell’ex premier siriano, Riad Hijab. Hijab, in carica fin dalla nascita dell’Hnc, nel dicembre 2015, non ha dato spiegazioni precise limitandosi a indicare nei “tentativi di prolungare il regime di Bashar al-Assad” i responsabili del suo passo indietro. Lasciano anche altre figure centrali dell’Hnc, tra cui Suhair al-Atassi e Abdul Hakim Bashar.

Fonti anonime interne al Comitato hanno asserito all’Afp che molte di queste personalità si sono dimesse dopo aver compreso di essere state marginalizzate anche dall’Arabia Saudita per l’insistenza a porre come precondizione al dialogo l’uscita di scena di Assad. Una posizione che ormai in pochi vedono come possibile, compresa Riyadh, messa all’angolo dalle vittorie registrate dal cosiddetto asse sciita a cui la Turchia si è aggrappata negli ultimi mesi per strappare qualche risultato in chiave anti-curda. In particolare pare centrale la divisione interna tra l’Hnc da una parte e le piattaforme di Mosca e del Cairo, gruppi nati nel corso dell’ultimo anno e maggiormente tollerate da Damasco perché più vicine alle posizioni russe.

A indebolire le opposizioni all’estero è anche il ruolo ondivago degli Stati Uniti: l’amministrazione Trump ha accettato l’autorità della Russia e la permanenza di Assad. Dopo l’incontro con il presidente siriano, Putin ha telefonato al presidente statunitense con cui ha discusso dei “risultati” raggiunti a Sochi, ovvero l’accordo con Damasco a procedere attraverso “il processo politico, le riforme costituzionali e le elezioni parlamentari e presidenziali”.

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