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17/11/2017

Medio Oriente, nuovi pupi e vecchi burattinai

Il principe che promette un Islam moderato sembra ormai prossimo all’incoronazione ufficiale. Voci insistenti ribadiscono a breve il cambio della guardia fra i Salman: figlio al posto del padre messo fuorigioco (si dice) dall’Alzehimer. Frattanto il giovane di belle speranze e grandi pretese sta collezionando sponsor geopolitici, che però fanno pensare come la fetta di mondo su cui vive e opera, e su cui vuole allungare le mani, rischia più di quanto ha subìto finora. Accanto a bin Salman si stanno posizionando padrini imperialisti di lungo corso, Francia e Gran Bretagna, i creatori del Medio Oriente conosciuto per un secolo poi gradualmente incrinato e recentemente imploso.

Osserviamo le ultime mosse. Uno: il presidente francese Macron che si fa garante del futuro di un Hariri jr teleguidato da Riyadh.

Due: la passione con cui a Londra si valutano le conseguenze del terremoto politico avviato da bin Salman e il suo repulisti “contro la corruzione” che, colpendo principi affaristi locali, incrina princìpi degli affari internazionali. Se pensiamo solo agli interessi petroliferi questi coinvolgono a pieno le ‘Sette Sorelle’, poi c’è la frontiera del turismo che nel Golfo ha creato un circuito di enormi investimenti di quell’industria e di quella dei servizi, finora gestite più dai vecchi colonialismi occidentali che dal gigante cinese.

Tre: la sicurezza, un campo in cui lo Stato sorto per destabilizzare il Medio Oriente, Israele, è il primo della classe. Anche questa nazione ha palesato un aperto apprezzamento per le manovre (non solo quelle militari in Yemen) del piccolo principe che si fa re. L’assenso ufficiale l’ha offerto in un’intervista a un grande giornale israeliano il capo dello staff militare dell’Idf, Gadi Eisenkot. E ci riferiamo solo alle prime sortite di approvazione verso la linea di bin Salman che nella sfida, tutt’altro che tranquillizzante, di egemonia nella regione fra sauditi e iraniani disegna un nuovo terreno di confronto-scontro, probabilmente non più tramite attori interposti.

Nazioni pur piccole e fragili come il Libano rischiano un ritorno dei venti di guerra; i conflitti che si dicono conclusi (in Siria e Iraq) e non lo sono affatto, prevedono continuazioni vicine e lontane con frammentazione dei territori e magari le immancabili occupazioni tramite operazioni di ‘polizia internazionale’. Certo il sorriso con cui il sionismo accoglie il giovane politico in kefiah, è più subdolo della stretta di mano fra Rabin e Arafat, perché non mira a stabilizzazione e pace. Le proclama, le mima, però vuole imporre il proprio ordine e i suoi interessi, che non sono quelli generali, ma di parte. Gli stessi presenti dall’epoca di Sykes-Picot e creatori di stati satelliti su cui ha prosperato il colonialismo di ritorno.

Quelli che nelle spartizioni pre e post Guerra Fredda hanno creato protettorati consoni solo alle potenze geopolitiche. Gli interessi che tramite rivoluzioni tradite da statisti rivelatisi satrapi hanno scippato e umiliato i ceti e i gruppi etnici più bisognosi, perpetuando tribalismi e avallando clanismi. Questo Medioriente violato e sfruttato dall’esterno e dall’interno, non potrà ricevere benefici da un nuovo arrivato che sa di vecchio, perché antico (non per tradizione bensì per asservimento) è il modulo che propone. Prima di lui l’hanno fatto altri, non necessariamente regnati con la corona. Sono stati i presidenti diventati sovrani, pronti a perpetuare e sfruttare sogni e bisogni di cittadini da loro considerati solo sudditi. In qualche modo premiati, e non tutti, se succubi, altrimenti repressi. E’ il modello pluridecennale, tuttora presente nelle petromonarchie. E’ la storia di nazioni laiche che hanno abbandonato e calpestato ogni speranza di trasformazione socialista negli egoismi e nelle trame familiari che hanno lasciato macerie e povertà nel Maghreb e nel Mashreq.

Su questi fallimenti continua a incombere l’imperialismo che cerca alleati locali e li sostiene come fa coi sauditi (e non solo) sia quando garantiscono il passato, con wahabismo e jihadismo annessi, sia se prospettano un futuro di eserciti da lui armati, che s’affiancano ai propri lì parcheggiati stabilmente o per straordinarie ‘missioni di pace’ che durano una vita.

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