La notte scorsa convogli di veicoli militari turchi hanno
oltrepassato i confini della provincia di Idlib, nel nord-ovest della
Turchia. La nuova operazione, annunciata nei giorni scorsi da manovre
militari e dichiarazioni pubbliche, si è concretizzata con l’ingresso
nella zona di de-escalation decisa dagli accordi di Astana che Ankara ha
siglato con Iran e Turchia.
Secondo fonti turche, si tratterebbe di 12 veicoli militari e
80 soldati, ma i giornalisti presenti alla frontiera tra Siria e
Turchia parlando di decine di veicoli e Abu Khairo, comandante
dell’Esercito Libero Siriano (formazione di opposizione che da un anno
sostiene l’operazione terrestre turca nel nord della Siria), ha riferito
di almeno 30 carri armati transitati per il valico di Bab al-Hawa. Gli ingressi proseguiranno nei prossimi giorni.
Non è chiaro quale sia l’immediato obiettivo militare turco, se di
mera deterrenza nei confronti dei gruppi presenti nella provincia – non
gli islamisti ma le unità kurde presenti ad Afrin, cantone di Rojava nel
mirino di Ankara – o di intervento concreto.
Nei giorni scorsi fonti avevano paventato un accordo in fieri tra la
Turchia e Hayat Tahrir al-Sham, federazione islamista guidata dall’ex
al-Nusra e milizia più potente di quelle presenti a Idlib: nessuno
scontro diretto tra “ex alleati”. A darne riprova è sempre Abu
Khairo secondo il quale Tahri al-Sham avrebbe scortato i veicoli turchi.
“Il convoglio militare turco – ha detto all’agenzia Middle East Eye un altro comandante dell’Els – sta entrando sotto la protezione di Tahrir al-Sham per prendere posizione nella linea del fronte con le Ypg (le unità popolari di difesa kurde, ndr)”.
Di certo c’è la costruzione di siti di osservazioni militari nella
zona, secondo quanto dichiarato dall’esercito turco questa mattina,
nell’idea ufficiale di implementare la zona di de-escalation prevista. Un’area
che in realtà la Turchia punta ad ampliare al prossimo rund di
negoziati in Kazakistan a fine mese, includendo proprio Afrin, con l’obiettivo di separare il cantone kurdo occidentale da quelli di Kobane e Jazira, al centro e a est di Rojava.
L’intreccio di alleanze ufficiose torna ad accendere l’attenzione
sulle reali mire della Turchia che ha usato per anni le fazioni di
opposizione, “moderate” e islamiste, prima in chiave anti-Assad e poi
anti-kurda. Se sul primo fronte ha fallito, prova a rimediare con il
secondo attraverso il caos. Perché, ormai da lungo tempo, è
impossibile definire le linee di demarcazione tra un gruppo e l’altro:
unità dell’Els operano al fianco della Turchia non contro l’Isis o
al-Nusra, ma contro le Ypg; mentre altre unità del gruppo, considerato
per anni l’opposizione armata legittima al presidente Assad, sono parte
più o meno integrante della galassia islamista e salafita guidata dall’ex al-Nusra.
E se sale la paura tra i civili che temono una nuova escalation di
violenza, a preoccupare è l’intreccio indistricabile tra uno dei
protagonisti della guerra civile, la Turchia, e gruppi di matrice
islamista e ispirazione qaedista: Ankara pare propensa a salvarli e per
quanto possibile farli partecipi del futuro del nord della Siria. Nel
frattempo li utilizzerà. Contro i kurdi e Rojava.
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