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17/10/2017

“Riformismo bancario”, una tragedia in atto

Questi sono i risultati dell’Italia dei presunti “riformisti”, dell’alternanza, delle larghe e piccole intese, dei cosiddetti “tecnici”, dell’affannosa ricerca della “leadership”, dei “partiti personali”, dei sindacati “concertativi”, dell’“europeismo bancario”, del “federalismo”, della “devolution”, della rottamazione e dei “vaffa Day” e soprattutto del “modello Marchionne”.
“La notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno. In una fase in cui le banche italiane si stanno faticosamente liberando dalle sofferenze, la BCE le ha trasformate in una bomba a orologeria. Nei giorni scorsi l’Autorità di Vigilanza guidate da Daniele Nouy ha fatto sapere che dall’anno prossimo i “non performing loans” verranno automaticamente svalutati a scadenze diverse”.

Nel frattempo, solo per esempio, spulciando dalle notizie degli inserti economici dei grandi quotidiani:

“Banca BpM, quarta banca italiana per volumi di crediti deteriorati, prepara la prossima grande operazione del sistema: la vendita a fondi specializzati di un grosso blocco di (attenzione alla terminologia, n.d.r.) attivi problematici, da concludere a inizio 2018. La banca cercherà di cederne almeno per un valore teorico di tre miliardi di euro (altra nota n.d.r.: si ricorda che l’intera manovra finanziaria per il 2018 è di 20 miliardi dei quali 10 dedicati a impedire lo scatto della salvaguardia dell’IVA. Così tanto per dare idea dell’entità di grandezza) ma, se gli acquirenti e i prezzi lo consentiranno, conta di arrivare a sei”

Questo piazzare cosa significa ?

Un altro esempio:

“Unicredit in luglio ha piazzato portafogli (attenzione anche in questo caso ai termini usati) di “prestiti mediocri o cattivi ai fondi Fortress e Pmico per 17,7 miliardi (si ricordano ancora le cifre della manovra finanziaria per il 2018) di valore nominale, vorrebbe chiudere l’anno superando la soglia dei 20 miliardi.”

Intanto:

“Il FMI stima che le banche si siano liberate di queste posizioni per 65 miliardi solo nel 2017 (anche se quelle di Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Monte dei Paschi per 36 miliardi sono state segregate e non vendute)”.

Dove piazzano Fortress e Pmico i crediti deteriorati?

Crediamo sia ben noto: li infilano, utilizzando il metodo cosiddetto “salsiccia” in fondi di investimento che poi vengono piazzati sul mercato dalle banche tramite agenzie i cui dipendenti si trovano costretti a prendere per il collo poveri correntisti costringendoli, a seguito di mirabolanti promesse, ad acquistare i fondi stessi, oppure li inseriscono come condizione per erogare prestiti a persone in cerca di mutuo per la casa o per portare avanti qualche piccola attività.

Così i puffi derivanti dall’elargizione di credito con metodi clientelari a speculatori sempre capaci di cavarsela (vedi CARIGE) sono pagati dai piccoli risparmiatori, correntisti, azionisti.

Si ricorda ancora, sempre avendo come fonte per quel che riguarda le cifre i grandi quotidiani:

“Il valore nominale degli “attivi problematici” resta di circa 240 miliardi (12 manovre finanziarie n.d.r.) (con l’interrogativo che rimane: quanto c’è, in tutto questo, di subprime acquistati dalla Pubblica Amministrazione, Stato ed Enti Locali?).

Su tutto questo ambaradan pesano sia le nuove disposizioni della BCE cui si è già accennato, sia la fine del Quantitative Easing che per la BCE si verificherà nel 2018.

A questo punto è possibile sviluppare alcune considerazioni:

1) Ricordare la stretta connessione tra politica e sistema bancario in tutte le rispettive articolazioni, a partire dal fatto che questo governo si regge sull’appoggio diretto di parlamentari “transeunti” diretta espressione di una parte molto “particolare” di questa connessione (la cosiddetta “finanza toscana”.)

2) Ricordare a tutti come risalti l’assenza totale del ruolo di vigilanza della Banca d’Italia.

3) Ricordare come il tutto sia avvenuto in una fase di trasformazione dell’economia nel senso della finanziarizzazione (ambito della crisi mondiale) e di complessiva diminuzione della presenza dell’industria produttiva nel nostro Paese, soprattutto dal punto di vista dell’espressione di know–how sul terreno dell’innovazione.

Il presunto “riformismo” italiano si è così mosso tra privatizzazioni, sia nell’industria, sia nel sistema bancario, producendo quello che può ben essere definito un vero disastro come ben dimostrano le cifre fin qui elencate e come si ravvede dai dati della disoccupazione, della crescita delle disuguaglianze, dalla sparizione di quel che rimaneva di un raccogliticcio welfare state.

Non si ravvedono segnali di svolta, anzi proprio il governo Renzi, precedente a quello Gentiloni, mentre sbandierava presunti proclami di guerra a livello europeo ed elargiva mance a pioggia (80 euro) e facilitazioni allo sfruttamento (jobs act) ha sicuramente contribuito ad aggravare la situazione già fortemente problematica come espressione, visibile a livello “fisico”, di quella connessione perversa tra sistema politico e sistema bancario (per via di congregazioni e logge più o meno occulte) come si è cercato di dimostrare anche in questa occasione.

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