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16/10/2017

Razza e Costituzione

Ecco che cosa enuncia l’articolo 3 della costituzione repubblicana:

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese.”

Il tema è delicatissimo, investe diverse sfere della conoscenza e della riflessione umana ed è complicato da affrontare particolarmente quando non si dispongono degli strumenti culturali adatti.

Pur tuttavia è il caso, almeno a mio giudizio, di allargare il dibattito e stimolare la più ampia riflessione.

La notizia è questa:

“Non esistono le razze umane: siamo tutti esseri umani, uguali al 99,9% del DNA. E’ per questo che gli scienziati italiani chiedono di togliere quella parola “razza” dalla Costituzione, una parola – spiegano – priva di significato scientifico. A farsi portavoce della proposta, lanciata ufficialmente giovedì al Collegio Ghisleri di Pavia, con il sostegno di Fondazione Umberto Veronesi e Merck, è il genetista e accademico dei Lincei Carlo Alberto Redi. Che la riassume così “la razza è una fake–news”.

E’ evidente l’ambito puramente scientifico dal quale nasce la valutazione (“la razza è una fake–news”) e l’assoluta più larga concordanza che ne scaturisce anche spostando il discorso sul piano etico e filosofico.

Ed è da questa concordanza che sortisce la riflessione riguardante il testo dell’articolo 3 della Costituzione Repubblicana e di conseguenza nell’ambito storico – politico.

In questo senso debbono essere considerati due punti:

1) La fase storica nella quale nasce il testo della Costituzione e in particolare l’articolo 3. L’art. 3 della Costituzione (che Calamandrei definì “il più importante e il più impegnativo”) non si limita a sancire un’eguaglianza di natura astratta e formale ma, aspetto questo particolarmente significativo e tipico della Costituzione dell’Italia repubblicana, nel secondo comma impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.

E’, questa, la cosiddetta uguaglianza di fatto.

L’obbligo del rispetto di tale principio non è imposto solo al Parlamento e alla Magistratura, ma a ogni singolo Cittadino ed anche alla Pubblica Amministrazione la quale, in base all’art. 97 della
Costituzione, deve organizzarsi in modo da assicurare la “imparzialità”.

Atti e provvedimenti, di natura legislativa e amministrativa, recentemente adottati o in programma, sembrano in rotta di collisione con tali prescrizioni. Le ampie e diffuse critiche, il costituirsi o ricostituirsi in tutto il Paese di associazioni e movimenti, anche estranei ai partiti, che pongono al centro della loro azione e preoccupazione un tema, come quello dell’uguaglianza, che sembrava definitivamente radicato nella mentalità e coscienza civica (anche se, purtroppo, mai del tutto attuato), evidentemente costituiscono il sintomo di un’incombente minaccia a quel principio.

Quel testo nacque all’indomani di quella che può essere considerata, proprio sul piano della discriminazione razziale la più grande tragedia della storia: quella dell’Olocausto. Il concetto di razza (e di supremazia razziale) era stato ben inculcato nel senso comune di massa dal fascismo e dalla monarchia con le leggi razziali promulgate nel 1938. Ed era naturale che non fosse sufficiente, al momento della stesura della Costituzione Repubblicana, il solo lascito di una battaglia culturale tale da avversare quello che poteva essere considerato l’aleggiare di un tragico “spirito del tempo” in materia. Occorreva un sanzionamento giuridico al massimo livello e ciò avvenne appunto attraverso l’inclusione del termine “razza” nella stesura dell’articolo 3;

2) La domanda che oggi ci si deve porre è questa: ci troviamo in un frangente storico che ci consente di considerare superato quel “tragico senso comune di massa” al riguardo del concetto razzistico (razzistico e non razziale) attraverso un’adesione diretta sul piano formale all’incontestabile e apprezzabile verdetto scientifico?

Il dubbio sta proprio su questo punto. Se ci guardiamo attorno esaminando con attenzione le pulsioni più forti che attraversano la società di massa non possiamo fare a meno di accorgerci che quella di natura “razzista” è ancora assolutamente persistente, anzi trova nelle sue espressioni più negative forti incoraggiamenti nell’attualità della situazione sociale concreta. Incoraggiamenti che trovano alimento anche nel riferimento proprio a quel passato che l’inserimento del termine “razza” all’interno del testo dell’articolo 3 della Costituzione intendeva efficacemente combattere e sconfiggere, almeno sul piano giuridico.

In conclusione non è possibile considerare superato il concetto di “razza” nel sentire comune sul piano storico e politico ben al di là delle inoppugnabili determinazioni scientifiche.

Tanto più che potrebbero verificarsi mutamenti nella direzione politica assolutamente imprevedibili nel loro orientamento attorno ai temi più delicati come quello di cui ci stiamo occupando.

Ancora una volta è necessario ribadire come la Costituzione nasca da un complesso intreccio sul piano filosofico, politico, storico e quale esito di fatti (il fascismo, la seconda guerra mondiale) non ancora cancellati (per fortuna) nella coscienza del Paese.

La Costituzione rappresenta un argine, un limite invalicabile e superarla – soprattutto per quel che riguarda la prima parte in ogni suo elemento, nella considerazione dei passaggi politici che ne determinarono la stesura del testo – costituirebbe un pericolo per l’equilibrio già precario della democrazia italiana.

Questo almeno è un sommesso parere: il dibattito naturalmente è aperto.

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