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20/10/2017

Podemos in crisi sulla Catalogna. Gli indipendentisti boicottano le banche

A guardare le schermaglie tra i due capi di governo, quello spagnolo Rajoy e quello catalano Puigdemont, la sensazione di un osservatore disattento può essere quella di trovarsi di fronte a un teatrino tra politici.

Ma al di là dello scambio di lettere e dichiarazioni delle ultime settimane tra Madrid e Barcellona, la verità è che sta montando il più grave conflitto mai verificatosi dagli anni ’30 del secolo scorso tra le due entità, un conflitto che non si limita alle élite o alle rappresentanze politiche ma che coinvolge milioni di catalani e di spagnoli.

Ieri, alla scadenza dell’ultimatum imposto da Rajoy a Puigdemont – che pure pochi giorni fa aveva chiesto due mesi di tempo per avviare quei negoziati che il governo spagnolo continua a negare – affinché chiarisse definitivamente se ha dichiarato o meno l’indipendenza nel suo discorso al Parlament del 10 ottobre, il leader nazionalista spagnolo ha annunciato l’avvio dell’iter per l’applicazione in Catalogna del famigerato articolo 155 della Costituzione scritta nel 1978 da un parlamento sotto tutela franchista. La misura, che permette a Madrid di sospendere l’autonomia catalana e di commissariare le istituzioni locali, dovrebbe essere varata dal Consiglio dei Ministri fissato per domani e approdare rapidamente al Senato dove il Partido Popular gode della maggioranza assoluta, potendo oltretutto contare sul consenso sia della destra liberista e nazionalista di Ciudadanos sia sui socialisti di Pedro Sanchez. Le forze politiche che puntellano il “regime del '78” contro il tentativo di spallata della Catalogna hanno quindi deciso, paradossalmente, di andare al commissariamento della Generalitat nonostante l’ennesimo passo indietro del suo President, che ieri nella sua missiva, nonostante i consueti giri di parole e le espressioni sibilline, non ha potuto fare a meno di chiarire che l’indipendenza non era stata affatto dichiarata, e che tutto rimaneva appeso all’apertura di un negoziato che però non sembra contare sulla disponibilità di alcuna controparte, oltre che sul netto rifiuto dell’Unione Europea.

Paradossalmente è l’ulteriore escalation inflitta alla crisi dal governo spagnolo e dai suoi sostenitori a spingere all’angolo un Puigdemont che ha dovuto rispondere che se Madrid attaccherà l’autogoverno catalano non potrà fare altro che proclamare la Repubblica Catalana, avvicinando le proprie posizioni a quelle di Esquerra Republicana e della Cup che chiedono di sancire subito la rottura.

L’obiettivo dei partiti nazionalisti spagnoli – i cui leader Rajoy, Sanchez e Rivera si sono riuniti ieri per l’ennesima volta negli ultimi giorni – è sciogliere il parlamento e il governo di Barcellona, per forzare elezioni anticipate da tenersi già a gennaio. La speranza è di riuscire a condizionare un rinnovo del Parlament che possa, attraverso le minacce, il commissariamento e una vera e propria occupazione militare del Principato, impedire alle forze indipendentiste di conquistare la maggioranza assoluta come nelle consultazioni del 2015. Se i condizionamenti politici e repressivi non dovessero bastare, l’ala più oltranzista del Partito Popolare, espressasi finora per bocca del catalano Albiol e dello spagnolo Casado, potrebbe convincere il tripartito PP-C’s-Psoe a mettere fuori legge le forze politiche catalane “che si pongono fuori dall’ordinamento costituzionale” dello Stato. La magistratura è a disposizione, e basterebbero poche settimane ai giudici di Madrid noti per il loro sciovinismo e il legame a doppio filo con il PP.

Un vero e proprio golpe, un ennesimo annullamento della volontà popolare dopo il tentativo, feroce ma inutile, di impedire con la violenza di massa e gli arresti il referendum che il 1 ottobre ha comunque visto mobilitarsi più di due milioni e mezzo di catalani con un risultato schiacciante – 90% – a favore di Si nonostante lo stato d’assedio e le cariche indiscriminate fin dentro i seggi.

Com’era prevedibile, l’accelerazione inflitta alla crisi dall’intransigenza di Madrid sta provocando l’ennesima crisi di Podemos e della sinistra spagnola, che a livello statale si sposta sempre più verso il fronte nazionalista mentre a livello catalano è in parte costretta a distanziarsi dalla casa madre.

Ieri in una dichiarazione ad effetto, la sindaca di Barcellona Ada Colau e leader di ‘Barcelona En Comù’ – pure fermamente contraria all’indipendenza della Catalogna e che non ha fatto molto per agevolare l’espressione del voto popolare lo scorso 1 ottobre – ha affermato che se i socialisti appoggeranno l’applicazione dell’articolo 155 contro l’autogoverno potrebbe rinunciare al sostegno del PS catalano alla sua giunta comunale. Contemporaneamente però alcune fonti della sua amministrazione hanno chiarito che “non vi è alcuna volontà di rompere con i socialisti catalani perché il patto per la città funziona bene”, il problema segnalato è l’atteggiamento della casa madre socialista a Madrid.

Dal canto suo Podem, la formazione catalana gemella di Podemos ma sempre più lontana dalle posizioni di Pablo Iglesias dopo essersi rifiutata di sciogliersi all’interno del partito di Ada Colau, denuncia la gravità del golpe in preparazione a Madrid e chiama alla mobilitazione a difesa della democrazia e dell’autogoverno.

All’opposto, proprio nel momento in cui Mariano Rajoy e le istituzioni spagnole chiudono ogni spazio alla trattativa col fronte catalano, la direzione di Podemos trasforma la sua posizione presuntamente equidistante in un attacco frontale alla Generalitat e al fronte indipendentista. La frase pronunciata ieri da Pablo Iglesias durante il suo intervento al Congreso de los Diputados è piombata come un macigno sulla base di Podemos in Catalogna sempre più disorientata e spaccata tra indipendentisti e unionisti.

“Vogliamo sconfiggere il progetto degli indipendentisti, ma non con la forza” ha chiarito il leader della formazione ‘morada’, schierandosi di fatto con il fronte che difende lo status quo e le istituzioni di uno dei paesi più reazionari del continente in nome di una strategia federalista e gradualista che non è all’ordine del giorno in una Spagna in cui il conflitto con Barcellona riporta alla scoperto gli elementi strutturali e ideologici di massa ereditati da una dittatura franchista con cui l’attuale monarchia parlamentare non ha mai rotto.

Anche Alberto Garzòn, coordinatore di una Izquierda Unida ridotta al lumicino e sempre più subalterna a Podemos, si è schierato contro gli indipendentisti con toni duri, dicendosi scioccato dalla minaccia di Puigdemont di ricorrere alla ‘dichiarazione unilaterale di indipendenza’ (DUI) se il governo spagnolo imporrà il 155. Secondo Garzòn “il modo migliore per proteggere l’unità della Spagna è sedurre la Catalogna con un progetto di paese nuovo che passa da un processo costituente”. “La DUI è un grave errore, e neanche il 155 aiuta” ha concluso Garzòn in un ordine che chiarisce quali sono le priorità del movimento.

Ma il conflitto, come già detto, non si limita alle schermaglie tra leader politici e istituzioni. Al contrario, più il “regime del '78” si chiude a riccio nella sua intransigenza istigando i settori reazionari e apertamente fascisti dell’opinione pubblica spagnola a mobilitarsi a difesa “dell’unità della Patria”, più in Catalogna i settori popolari scendono in campo non solo a difesa dell’autodeterminazione ma rivitalizzando valori come l’antifascismo e la democrazia militante.

Ieri la Cup, insieme all’organizzazione giovanile Arran, al sindacato Cos e ad altre realtà del panorama anticapitalista ha manifestato sotto gli uffici della Delegazione del governo spagnolo a Barcellona, chiedendo la liberazione immediata di Jordi Sanchez e Jordi Cuixart, i leader delle due associazioni trasversali indipendentiste Anc e Omnium che sono stati arrestati nei giorni scorsi perché accusati di ‘sedizione’. I manifestanti hanno gridato slogan come “Fuori le forze di occupazione” e “Libertà per i prigionieri politici”. Una nuova manifestazione è stata indetta dai settori radicali di sinistra dell’indipendentismo per sabato pomeriggio, all’insegna dello slogan “Se verrete a cercarci troverete la Repubblica Catalana”. Lo schieramento anticapitalista già promotore dell’imponente sciopero generale dello scorso 3 ottobre contro la repressione e a difesa dell’autogoverno, che ha coinvolto anche buona parte dei sindacati di tradizione libertaria e anarchica oltre a forze antifasciste o apertamente comuniste, ha fatto appello a una nuova crescente mobilitazione popolare nei prossimi giorni con l’obiettivo di fare della partecipazione dei cittadini e dei lavoratori “la base della nuova repubblica”.

Ma anche il composito fronte riunito nella “Taula per la Democracia” (Tavolo per la Democrazia), formato da una sessantina di associazioni, sindacati come Comisiones Obreras e Ugt e le confederazioni delle piccole imprese e dei commercianti, ha convocato per sabato una marcia nel centro di Barcellona per la liberazione di Jordi Cuixart e di Jordi Sanchez, oltre che per la difesa “dei diritti e delle libertà”. Dopo le duecentomila persone che hanno riempito il centro della capitale della Catalogna a poche ore dall’arresto dei due popolari dirigenti indipendentisti anche i rappresentanti della ‘Taula’ non hanno scartato la convocazione di un nuovo “sciopero nazionale civico” contro la repressione.

Repressione che continua a mietere vittime anche meno eccellenti dei due Jordis. Ieri infatti la Guardia Civil ha arrestato un ragazzo di 22 anni accusato di aver resistito con la forza alle violente cariche della polizia spagnola contro i cittadini in fila per votare presso la scuola pubblica ‘La Roureda’ durante il referendum illegale del 1 ottobre. Il ragazzo è accusato di “attentato all’autorità, disobbedienza, resistenza e minacce” e potrebbe essere condannato a una lunga pena detentiva, così come gli altri due giovani arrestati nei giorni scorsi sempre nel piccolo comune di Sant Esteve de Sesrovires, nel Baix Llobregat.

Mentre la Guardia Civil è a caccia delle registrazioni delle conversazioni tra gli ufficiali dei Mossos d’Esquadra allo scopo di trovare prove della loro disobbedienza agli ordini del Ministero degli Interni spagnolo – ieri una perquisizione in un commissariato della polizia autonoma a Lleida è durata più di 12 ore – le associazioni indipendentiste provano ad esercitare una certa pressione contro la borghesia imprenditoriale e le banche della Catalogna schieratisi contro la rottura con Madrid. Ieri il numero di imprese grandi e piccole e di istituti finanziari che hanno deciso di spostare la loro sede sociale da Barcellona in altri territori dello Stato Spagnolo, o addirittura di trasferire i loro uffici, è arrivato a quota 917, mentre da varie parti si segnala un crollo degli investimenti stranieri in Catalogna e un picco negativo delle prenotazioni turistiche. L’allarme, opportunamente esagerato dalla stampa spagnola e da quella unionista catalana – la desertificazione economica e la crisi del turismo – ovviamente spaventa i settori più moderati dell’opinione pubblica catalanista impauriti dalle conseguenze di quello che viene vissuto come “un salto nel buio”.

Nel tentativo di rispondere per le rime l’Anc e Omnium Cultural hanno chiesto ieri ai loro aderenti e simpatizzanti di ritirare questa mattina, in particolare dalle 8 alle 9, una certa quota di denaro dai loro conti depositati nelle banche catalane, in particolare in quelle che hanno deciso di schierarsi contro l’indipendenza, cioè Banco Sabadell e Caixa. “Vai presso una delle cinque banche principali e ritira la quantità che desideri in contanti” chiede la piattaforma Crida per la Democràcia (Appello per la Democrazia) invitando i partecipanti al boicottaggio ad “esprimere il proprio disaccordo” con quelle istituzioni bancarie che hanno deciso di spostare la loro sede legale al di fuori della Catalogna.

La mossa dell’Anc e di Omnium non è però piaciuta ad alcuni importanti dirigenti del partito di Puigdemont, il PDeCat, che stamattina hanno apertamente criticato l’iniziativa. D’altronde la formazione liberalconservatrice, orfana del sostegno di una grande borghesia catalana che preferisce di gran lunga l’autonomia all’indipendenza, continua a sperare in una contrattazione con Madrid piuttosto che in una rottura che potrebbe invece favorire gli interessi e le rivendicazioni delle classi popolari e del movimento dei lavoratori contro quelli dell’oligarchia locale spinta ad abbracciare rivendicazioni indipendentiste da anni di imponente mobilitazione di massa.

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