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17/10/2017

Legge di stabilità, una manovra pensando alle elezioni

Una manovra “leggera”, giusto per bloccare lo scatto automatico delle “clausole di salvaguardia”, ossia l’aumento dell’Iva (fino al 25%), che avrebbe dato una mazzata ai consumi annullando i tepidi benefici della ripresina in corso da poco più di un anno (oscillante tra l’1 e l’1,5%).

Dei 20 miliardi totali, infatti, oltre tre quarti servono a questo scopo e ben poco viene messo su investimenti, incentivi, misure sociali, ecc. E dire che per partorire questo micragnoso risultato si è potuto sfruttare sia il lieve incremento del Pil (che porta maggiori entrate fiscali e soprattutto abbassa il rapporto debito/Pil), sia qualche decimale di “flessibilità” sul deficit, generosamente concesso dalla Commissione Europea guidata da Juncker.

Non ha torto, insomma, chi l’ha già giudicata come una “legge elettorale”, perché sarebbe stato un suicidio politico – per il Pd, Alfano e gli altri “volenterosi puntelli” di questo governo – andare al voto sotto lo stigma sociale di aver varato una classica manovra “lacrime e sangue”.

Questo compito viene lasciato volentieri al prossimo esecutivo, che dovrà necessariamente metter mano alla motosega per disboscare la giungla della spesa pubblica nelle misura pretesa dalla Ue. Ai “normali” problemi contabili italici, infatti, si sommerà il peso dei primi passi concreti del Fiscal Compact, che il parlamento si appresta a ratificare in assoluto silenzio stampa da qui alla fine dell’anno.

Chiarito questo, restano comunque alcune chicche memorabili.

Non c’è nessun blocco nell’aumento automatico dell’età pensionabile a 67 anni (a regime dal 2019), né altre “misurine” a suo tempo concordate con CgilCislUil. Per le donne viene riproposta la sòla dell’Ape Social, che proprio in questi giorni si sta verificando come inapplicabile alle persone reali (non è un errore; hanno scritto apposta una legge così).

Ai dipendenti pubblici viene promesso un aumento di 85 euro a otto o nove anni di blocco degli stipendi (in cui, senza contrattazione, è stata devastata sia la normativa che la didattica). Era stata fatta la stessa promessa anche l’altro anno, ma poi si è capito che si trattava solo di un diverso nome dato agli “80 euro”. Insomma, dovrebbe esser vero, ma non ci giureremmo. Per capire come funziona la testa dei ministri in carica, però, è bene affiancare a questa mini-promessa quella fatta ai dirigenti scolastici (presidi e altri funzionari): per loro l’aumento sarà invece favoloso, ben 11.899,74 euro annui. In pratica 1.000 euro in più al mese, per gente che già percepisce 3.556,68 euro mensili di sola “base fissa”.

Quando gente che ragiona così dice di voler “combattere la povertà”, bisogna preoccuparsi. Ed infatti viene presentato come tale il “reddito di inclusione” (Rei), che oscillerà dai 190 euro mensili per una persona sola, fino a 485-490 euro per un nucleo con 5 o più componenti. Non ridete, per favore; hanno scritto davvero queste cifre (3 euro al giorno e la povertà sparisce!). Peggio ancora, il Rei sarà “associabile” allo svolgimento dell’attività lavorativa ma non sarà compatibile con la fruizione da parte di qualsiasi componente il nucleo familiare della Naspi o di altri ammortizzatori sociali. Dunque possiamo attenderci che si riprodurranno i meccanismi già visto all’opera per l’“ape social” (criteri multiplici concepiti in modo tale da non poter essere applicati quasi a nessuno).

Le imprese, come sempre, fanno la parte del leone. A loro sono dedicati altri incentivi purché assumano giovani under 35 (ma solo per l’anno prossimo, poi si scenderà agli under 29) con il famoso “contratto a tutele crescenti”. Misura che vale anche per le “stabilizzazioni” di contratti a termine o di apprendistato, purché l’azienda non abbia nel frattempo licenziato qualcuno per accedere a questa “decontribuzione” del 50%.

Indicativo anche che la decontribuzione sia totale (100%) nel caso l’azienda assuma uno studente in alternanza scuola-lavoro. Ci viene insomma confermato che questa oscenità – contro cui gli studenti hanno finalmente cominciato a mobilitarsi – era stata pensata per offrire alle imprese lavoro gratuito e la possibilità di selezionare schiavetti già in tenera età. Ma sì, in fondo che ci si va a fare a scuola...

Unica goccia di buon senso – obbligato, perché i ricercatori, a forza di non essere pagati, vanno all’estero – l’assunzione di 1.500 ricercatori di “fascia B”, ovvero già in cattedra senza averne i riconoscimenti conseguenti.

Sempre alle aziende vanno gli incentivi pensati per l’“industria 4.0”. Ovvero: a) il superammortamento – sull’acquisto di macchine utensili tradizionali – scende dal 140 al 130%; b) l’iperammortamento, per l’acquisto di beni dedicati alla digitalizzazione della produzione, andrà avanti con l’aliquota al 250% per il 2018 con coda per le consegne nel 2019; c) il 30% dei fondi sarà riservato ai finanziamenti industria 4.0.

Il resto è minutaglia...

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