In attesa degli sviluppi della mano di poker tra Rajoy e Puigdemont,
questi giorni offrono la possibilità di mettere a confronto dei
fenomeni che solo una stampa strapaesana, come quella delle principali
testate nazionali, può tenere separati. Stiamo parlando del tentativo di
far approvare una nuova legge elettorale, che ha come primo firmatario Ettore Rosato capogruppo PD alla camera,
da parte di una maggioranza composta da Pd, Forza Italia, Lega più
altre forze minori. E del suo rapporto con quanto sta avvenendo sul
piano finanziario e, entro il dibattito, per non parlare di spaccatura franco-tedesca, sul futuro dell’eurozona.
La legge elettorale: fra politica e finanza
Sgombriamo quindi subito ogni dubbio,
la legge elettorale, quella che sembrerebbe (condizionale d’obbligo)
prendere forma è proprio quella che volevano i mitici “mercati”
finanziari. “Mercati”, rigorosamente tra virgolette perché si
tratta di qualcosa di molto diverso da un luogo di negoziazione e
scambio di servizi finanziari, che in questo caso contano, e premono,
molto di più di Renzi, Berlusconi o Alfano anche in materia di legge
elettorale.
Cosa volevano i “mercati”? Per investire in un porto sicuro, senza fare guerre finanziarie, in Italia, e nel continente, volevano un risultato elettorale predeterminato, che permettesse di fare previsioni di investimento nei prossimi mesi.
Nel paese, questo dettaglio sfugge spesso, che è sì il terzo debito
pubblico del mondo ma anche, di conseguenza, il terzo mercato
obbligazionario del pianeta. Ma, naturalmente, la cosa non è sfuggita a
una storica banca d’affari americana che, in una recente analisi
sull’Italia, chiedeva garanzie di investimento, a medio-lungo termine,
contro il “rischio populismo”.
La legge elettorale all’esame delle camere, in questo senso vale quanto un future,
un contratto di vendita che orienta il prezzo futuro di un bene, sui
prossimi mesi della borsa di Milano: eliminando il “rischio populista” – creando una legge che, per far vincere il M5S lo costringerebbe ad
andare ben oltre il 50% (quando al massimo arriverà al 30) – riduce,
così, la possibilità di speculazione finanziaria sull’andamento della
campagna elettorale.
Tradotto in moneta sonante: più Grillo è
lontano dalla possibilità di vincere le elezione maggiore è la
possibilità che non si scateni un tempesta speculativa sui bond
italiani. E questa necessità di ridurre in borsa il “rischio
populista” c’è ed è importante per non vedersi spazzati via nelle
prossime stagioni politiche.
Ma è importante anche per
l’eurozona: una crisi italiana, specie se sommata alle incertezze del
nuovo corso della Federal Reserve, magari con i problemi interni
derivati dalle tensioni ispano-catalane, sarebbe troppo. Questa
legge elettorale ha quindi le caratteristiche della messa al riparo
dell’eurozona dal rischio politico Italia, per gli altri si vedrà. Non stupisce quindi che Gentiloni abbia messo la fiducia sulla legge elettorale,
stupisce che, vista l’importanza della cosa, non sia riuscito a
blindarla ancora di più. Segno che, dai tempi di Monti-Napolitano, ci
sono degli sfilacciamenti nelle forze politiche, nella loro capacità di
rispondere agli imperativi sistemici, piuttosto forti. E’ anche vero che
le ultime crisi, Referendum italiano 2016 o crisi catalana, non hanno infiammato le borse ma con il fuoco, notoriamente, è meglio non scherzare.
Certo, si può, ed è anche
giusto, invocare la dubbia costituzionalità, o l’altrettanto dubbia
opportunità di mettere la fiducia in una legge che, per quanto
possibile, dovrebbe essere fortemente condivisa. Proprio perché altrimenti si scatena una conflittualità permanente, una guerra tra bande in parlamento, che non porta a niente di buono. Basti pensare che il prossimo anno, l’Italia festeggia i 25 anni dell’uscita dal proporzionale.
Risultato che, secondo gli apprendisti stregoni di centrosinistra (si
guardino i nomi di chi esultava allora) avrebbe dovuto portare stabilità
politica, altro mito sparso a piene mani ovunque. Invece è stato solo
il primo episodio di una guerra tra bande, quindi tra cordate interne
alle istituzioni, sulle “regole” che non ha fine da un quarto di secolo.
Sicuramente i lamenti, le
recriminazioni sulla legge Rosato, le grida di “vergogna” toccano a chi
sta perdendo, mentre la preda spetta al vincitore del momento.
Vincitore che, come vediamo, se non avrà legittimità costituzionale – semmai lo sapremo tra qualche anno come accaduto con la legge Calderoli
(che ha resistito alle denunce di costituzionalità dieci anni) – avrà
sicuramente quella legittimità assegnata dai “mercati” finanziari e
dalle agenzie di rating. Sulla legge elettorale in gestazione
vale più il giudizio negativo di un giudice emerito della corte
costituzionale o quello di una agenzia di rating? Lo sanno tutti che il
peso, la forza, stanno dalla parte di quest’ultima. Il rating
da diverso tempo è la vera fonte di legittimazione dell’agire politico.
La politica ha un senso se riesce a controbattere questa realtà.
Altrimenti le restano i lamenti moralistici, e impotenti, sulla vergogna
e sul mercimonio di voti.
L’isolamento e l’autoisolamento del M5S
Questo è il dato, purtroppo. E qui sono la debolezza e la confusione di chi fa opposizione che non fanno pensare bene. Prendiamo Di Battista
esempio di oppositore in generale e della situazione del M5S in
particolare. Il giorno del battesimo della fiducia alla camera sulla
legge elettorale, per denunciare quanto sta accadendo, esce da
Montecitorio, si imbuca nel primo comizio che trova, credendo
erroneamente sia a suo favore, parla e si becca una sonora
contestazione. Dai tempi di Tognazzi, e si parla di cinema, non si
vedevano queste scene. Il giorno dopo, senza concedersi una pausa,
continua a parlare della legge elettorale dicendo che una roba così, riferendosi al precedente della legge Acerbo, “non si vedeva dai tempi di Mussolini”. Insomma saremmo in pieno preludio al fascismo. Peccato che sia lo
stesso Di Battista che, non molti mesi fa, ha definito l’opposizione
fascismo-antifascismo come una reliquia antiquaria dei tempi dei guelfi e
dei ghibellini (parole sue). Insomma un giorno siamo in pieno
postmoderno, dove l’ideologia, nella società, è talmente evaporata da
portare al potere partiti del fare “nè di destra nè di sinistra”, un
giorno siamo alla vigilia di un nuovo ventennio delle camicie nere. E
manca solo l’appello per un CLN del XXI secolo. Certo, Di Battista non è
il solo che politicamente vive di fluttuazioni lisergiche di opinione – basta vedere le contorsioni a sinistra dove l’amico di oggi è il nemico
mortale di domani e il nuovo amico di dopodomani – ma per il M5S questa
vicenda segna un interrogativo strategico.
Nato come soggetto che vince in
presenza o di premi maggioritari o, come alle amministrative, nel
secondo turno, il movimento 5 stelle dovrebbe ripensarsi in modo
strutturale. Se passerà la legge Rosato, per arrivare al
governo il M5S non potrà più godere di un qualche bonus previsto dagli
altri modelli di maggioritario. Con la legge Rosato il movimento
grillino si avvia così, siccome rifiuta alleanze, a perdere seggi
decisivi nella corposa maggioranza dei collegi non proporzionali.
Il M5S potrebbe, con la nuova legge, attingere seggi solo da una quota
di proporzionale che, da sola, riuscirebbe a farlo vincere solo con
un risultato che è quasi il doppio della sua reale aspettativa
elettorale. Hic Rhodus hic salta, caro M5S.
Sarà anche un colpo di mano,
anzi lo è, quello di Renzi e Berlusconi ma chi, come i grillini, si è
bruciato i punti, rifiutando a priori ogni alleanza politica, è oggi
servito. E anche chi, durante la svolta grillina a destra sulla
crisi migranti, come Salvini, una qualche intesa con il M5S l’ha
cercata, anche pubblicamente, è oggi tornato armi e bagagli dall’altra
parte. La verità è che l’isolazionismo in politica se non sei un
soggetto dotato di forza titanica, e non è certo il caso del M5S, non
paga mai. Finisce che la sinistra, o la destra, o tutte e due ti mettono
all’angolo.
Le spaccature franco-tedesche
La legge elettorale è quindi,
oltre che il risultato di un convulso mercato delle candidature,
qualcosa che può, e deve essere, prezzato sulle piazze finanziarie.
Ma non è che la prossima legislatura, magari egemonizzata da un
accordo, palese o occulto, PD-FI, andrà in discesa per gli eventuali
vincitori di questa mano di poker politico. Lo provano le recenti, e
pubbliche spaccature tra Francia e Germania sul futuro dell’eurozona,
sulle politiche di bilancio e sulla mutualizzazione continentale del
debito. Niente che, al grande pubblico, sia visibile in Italia. Nel nostro paese si è dedicato, quantitativamente, il decuplo dello spazio alle contorsioni di tale Pisapia (un giorno alleato di Renzi, un giorno nominato capo dell’opposizione a Renzi e poi nuova giravolta) rispetto alle elezioni tedesche, un fatto serissimo, e, appunto, alle contrapposizioni tra Francia e Germania.
Al momento, ha scritto recentemente Les Echos, la contrapposizione più forte tra i due paesi sta su una differente concezione del futuro dell’eurozona. C’è quella francese che vuole mutualizzare, e quindi ripartire tra paesi, tutto il debito pubblico continentale, per fare altro debito “per consolidare la ripresa europea”. Quella tedesca invece, quella di un paese che gode di un surplus notevole nella bilancia dei pagamenti, vuol mantenere il proprio vantaggio strutturale, la borsa tedesca è ai massimi storici, e far fare politiche di austerità,
con nuovi meccanismi di supervisione dei singoli paesi, “per
consolidare la ripresa europea”, ci mancherebbe.
Istintivamente verrebbe
da tifare per la soluzione francese. Ma la realtà è un’altra: con un
debito al 130% del Pil, con una ripresa economica che fa sperare per il
futuro solo sui telegiornali, in entrambi i casi tutto quello che la
politica italiana sembra saper fare è scontare il valore della nuova
legge elettorale sulle piazze finanziarie. Il resto è nelle mani delle
evoluzioni dei rapporti di forza europei anche se nessuno sembra desideroso di far regali all’Italia.
Ragionando in una logica politicamente ultranazionale, quanto
finanziariamente globale, altro che unione tra europei. Ma se ne parlerà
dopo le elezioni, salvo l’emergere di qualche grossa crisi.
Si annuncia
quindi un periodo che, se approvata la legge Rosato, per i partiti
vincenti si prefigura perlomeno con la tranquillità di un risultato
portato a casa. A spese nostre ma quello era scontato.
Redazione, 11 ottobre 2017
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