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12/10/2017

Che fine fanno i migranti respinti in Libia? Il Consiglio d’Europa lo chiede a Minniti

A Strasburgo è stata resa pubblica la lettera del 28 settembre che Nils Mui Nieks, il commissario ai Diritti umani del Consiglio d’Europa, ha inviato al ministro dell’Interno italiano Marco Minniti. Nella lettera si chiede, tra l’altro, di chiarire “quali salvaguardie l’Italia abbia predisposto per garantire che le persone intercettate o salvate dalle navi italiane nelle acque territoriali libiche non siano poi sottoposte a situazioni contrarie all’articolo 3 della Convenzione europea dei Diritti umani”, esponendoli a rischi di tortura, pene o trattamenti inumani e degradanti.

Secondo Mui Nieks, l’obbligo per gli Stati membri della Convenzione europea di non rinviare i migranti irregolari salvati in mare in paesi in cui c’è un rischio di violazione dell’articolo 3 vale non solo quando il salvataggio avviene nelle acque internazionali, ma anche quando si verifica nelle acque territoriali libiche.

“Alla luce di rapporti recenti sull’attuale situazione dei migranti in Libia, consegnare degli individui alle autorità libiche o ad altri gruppi in Libia li esporrebbe a un rischio reale di tortura, pene o trattamenti inumani e degradanti”. Per questo, spiega il commissario ai Diritti umani, “chiedo al governo italiano di chiarire che tipo di operazione di sostegno si aspettano di fornire alle autorità libiche nelle acque territoriali libiche” e quali garanzie sul trattamento dei migranti.

La lettera esprime anche un “sincero apprezzamento per gli sforzi fatti dall’Italia per salvare vite in mare, per ricevere i migranti che sono sbarcati sulle sue coste negli ultimi anni”. Il commissario accoglie con favore “l’adozione da parte del governo di un piano d’integrazione dei beneficiari di protezione internazionale”, e si dice “ben consapevole delle sfide che l’Italia sta affrontando e che continueranno a sottolineare negli altri Stati europei l’importanza della solidarietà”.

Ma le difficoltà nell’affrontare i flussi crescenti di migranti via mare “non assolvono uno Stato dai suoi obblighi in base all’articolo 3 della Convenzione”, che contiene “una proibizione di natura assoluta” dei trattamenti inumani, secondo quanto ha stabilito la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, sottolinea ancora Mui Nieks, che conclude la lettera con una ulteriore richiesta di informazioni “circa le misure prese per assicurare che le operazioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo, incluse quelle condotte dalle organizzazioni non governative, possano continuare efficacemente e in sicurezza”.

Ai primi di settembre un reportage dell’Avvenire riprendendo fonti locali dell’Organizzazione Internazionale dei Migranti (organismo Onu), riferiva che erano circa 400mila i profughi ‘contabilizzati’ dalle autorità di Tripoli, ma che quelli rimasti imprigionati nel Paese, secondo stime ufficiose confermate anche da fonti di intelligence italiane, sarebbero tra gli 800mila e il milione.

La presidente internazionale di Medici senza frontiere (Msf) Joanne Liu, tornata da una visita al centro di detenzione “ufficiale” allestito dal governo di Tripoli, aveva lanciato nelle scorse settimane un duro atto d’accusa: “Quella che ho visto in Libia è la forma più estrema di sfruttamento degli esseri umani basata sul sequestro, la violenza carnale, la tortura e la schiavitù. E i leader europei sono complici” dello sfruttamento, mentre “si congratulano del successo perché in Europa arriva meno gente dall’Africa. Accecati dall’obiettivo di tenere le persone fuori dall’Europa, le politiche e i finanziamenti europei stanno contribuendo a fermare i barconi in partenza dalla Libia, ma in questo modo non fanno che alimentare un sistema criminale di abusi”, aveva denunciato in una conferenza stampa internazionale Joanne Liu.

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