di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Massoud Barzani
si è trincerato dietro un muro di silenzio. Dai suoi uffici non escono
dichiarazioni; fuori, giorno dopo giorno sale il livello della tensione
con il governo di Baghdad. Un braccio di ferro che per due settimane,
dal 25 settembre, data del referendum sull’indipendenza del Kurdistan iracheno,
si è giocato sul piano verbale, eccezion fatta per l’embargo aereo,
cosa non da poco per una regione che sopravvive grazie ai rapporti
commerciali con l’esterno.
Da ieri si è spostato sul piano giuridico-politico: il
tribunale di al Rufasa (braccio della Corte Suprema) ha spiccato tre
mandati d’arresto nei confronti degli organizzatori materiali del voto,
la presidente e due membri dell’Alto Comitato per le elezioni e il
referendum di Erbil.
La sentenza è giunta su appello del Consiglio di sicurezza nazionale, presieduto dal primo ministro iracheno al Abadi
(lo stesso che due giorni fa non ha escluso che una misura simile, il
mandato d’arresto, possa essere recapitata anche al presidente Barzani).
La motivazione: il mancato rispetto della richiesta della Corte Suprema
di sospendere il voto in attesa di verificare tutti i ricorsi che
tacciavano il referendum di incostituzionalità.
Nel mirino non c’è solo l’Alto Comitato: lunedì il Consiglio di
sicurezza ha redatto una prima lista di nomi di funzionari pubblici, di
alto e basso livello, su cui far piovere una qualche punizione penale o
amministrativa per aver disobbedito al governo centrale. La risposta da
Erbil è arrivata a stretto giro: «Si tratta di una decisione politica»,
ha dichiarato il Comitato kurdo.
Ci sono pochi dubbi: l’intera questione dell’indipendenza è politica,
con le sue ovvie basi economiche. A fare più paura a Erbil è
l’eventuale embargo, finora solo minacciato dalle potenze vicine, Iran e
Turchia.
I confini terrestri sono aperti e l’oleodotto Kirkuk-Ceyhan,
che da due anni trasferisce il greggio dalla città irachena alla costa
mediterranea della Turchia, lavora a regime. Su Kirkuk fa leva
Baghdad: il governo iracheno discuterà a breve il taglio del budget
federale per la città contesa da decenni e dal 2014 controllata da
Erbil, dopo che l’avanzata militare dei peshmerga ne permise la
liberazione dalla breve occupazione dell’Isis.
A monte stanno – da allora – i ricavi dalla vendita di
petrolio della provincia, la più ricca del paese dal punto di vista
energetico, che dal 2015 il Governo regionale del Kurdistan tiene per
sé. Lo vende bypassando Baghdad e incassa, sebbene il suo
bilancio sia costantemente in rosso, spia che ha acceso le proteste
popolari e quelle delle opposizioni al partito di governo Kdp per la
«misteriosa» sparizione delle entrate nelle ampie pieghe di corruzione e
clientelismo strutturale.
È Kirkuk a restare la principale fonte di tensioni, insieme ai fumi
che giorno e notte si alzano dalle sue raffinerie. La misura la dà
l’impennata del prezzo delle armi al mercato nero, soprattutto tra arabi
e turkmeni, preoccupati dall’eventuale esplosione di un conflitto
interno.
Secondo l’agenzia New Arab, dal 25
settembre i costi sono lievitati: un Ak-47 viene venduto a un milione di
dinari (725 euro), una Beretta a 845 euro. E impazzano pistole e
granate che, dicono i locali, sono le armi requisite ai miliziani
dell’Isis catturati nell’operazione in corso a Hawija.
La partita si gioca sui soldi, quelli di cui Erbil ha
disperato bisogno alla luce di una grave crisi economica che la
attanaglia da almeno tre anni. Barzani affronterà con le tasche
sempre più vuote le elezioni parlamentari e presidenziali del primo
novembre, che spera di vincere sulla spinta dell’entusiasmo popolare. Si
trova di fronte i rivali del Puk alle prese con la scomparsa dello
storico leader Jalal Talabani, morto il 3 ottobre a seguito di un ictus
che lo aveva allontanato dalla scena politica.
Una perdita che pesa sul futuro politico del partito che Mam Jalal,
lo «zio», fondò a metà degli anni ’70 da una costola del Kdp: già
provato dall’incapacità di ergersi a credibile alternativa a Barzani (le
accuse di corruzione investono anche il Puk che controlla militarmente
ed economicamente l’est della regione), manca di un progetto di lungo
periodo e ora anche di un leader capace di mantenerlo unito.
Nessun commento:
Posta un commento