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15/09/2017

Volano le foglie di fico a Cinque Stelle

I nodi arrivano al pettine, si usa dire. Specie in politica, dove il passaggio dalla teoria alla pratica si rivela sempre un po’ più arduo del previsto. Soprattutto se ti eri presentato come quello che aveva la soluzione semplice per tutti i problemi (le “ruspe” di Salvini, per dirne una...).

Non ci sorprende dunque l’ennesimo incidente procedurale del Movimento 5 Stelle, costretti ancora una volta in Tribunale da qualche loro iscritto o candidato imbufalito per l’esito delle consultazioni online oppure per il rovesciamento di quell’esito deciso “dai vertici”.

Com’è noto, il Tribunale di Palermo ha sospeso il risultato delle “regionarie” con cui era stato scelto il candidato alla presidenza della Regione Sicilia, Giancarlo Cancelleri, su ricorso presentato da Mauro Giulivi, escluso da quella consultazione perché sottoposto a “procedimento disciplinare” interno. Tralasciamo qui le difficili relazioni interne a quel mondo, che sembrano largamente prevalenti sulle “regole” da tutti sbandierate, e concentriamoci invece sui meccanismi decisionali che erano stati presentati come l’uovo di Colombo. Con le consultazioni online, la trasparenza e il rispetto della legalità si sarebbe risolto qualsiasi problema. Una rivoluzione, o qualcosa di simile, comunque un “aprire il parlamento come una scatola di tonno”...

L’irruzione della magistratura nelle elezioni siciliane ha un corollario nazionale immediato: sabato 23 settembre, con la festa grillina di Rimini, si dovrebbe infatti scegliere – con consultazione online degli iscritti – il “candidato premier” del M5S. Ma a dieci giorni dall’evento clou che dovrebbe aprire la campagna elettorale per le politiche di primavera non si conoscono né le regole con cui verrà scelto il candidato, né chi saranno gli altri competitor di Luigi Di Maio.

Ufficiosamente, ma da fonti molto vicine a Davide Casaleggio (che gestisce la piattaforma Rousseau, su cui si deve svolgere il voto), si fa sapere che “più tardi daremo i termini (per il voto, ndr), meno spazio daremo ai pirati per attaccarci”. La piattaforma era già stata hackerata un paio di volte e dunque il sospetto che in questo modo si possa manipolare l’esito del voto è più che concreto.

Ma non è assolutamente un problema tecnico. Sulla centralità delle consultazioni online è stato costruito uno dei due pilastri dell’ideologia grillina (“né di destra, né di sinistra”, ma sempre di ideologia si tratta...), dunque il fatto che questo sistema sia pericolosamente incerto, al limite dell’incontrollabile, è tutt’altro che un dettaglio. Anche degli informatici dilettanti sanno infatti che qualsiasi sistema di sicurezza può essere prima o poi violato, secondo l’eterna lotta evolutiva tra lo scudo e la lancia (difesa e attacco). In ogni caso, nessuno può garantire “tecnicamente” che il risultato – hacker a parte – non possa essere deciso da chi controlla la piattaforma Rousseau.

Ne consegue che questo “criterio perfetto”, illustrato centinaia di volte dallo stesso Beppe Grillo e da Casaleggio padre, è poco più di una foglia di fico che copre scelte soggettive di chi controlla la piattaforma e/o dei suoi avversari in Rete (non è secondario, però, sapere se siamo “noi” a decidere o qualcun altro al nostro posto, prendendoci oltretutto per i fondelli). Un problema del genere si è verificato anche con i risultati della candidatura della Raggi al Comune di Roma, che sembrano pesantemente condizionati da un organizzatissimo gruppo di pressione (la cosiddetta “Banda Marra-Sammarco”), attivo per far fuori un altro candidato e far eleggere la Raggi, ritenuta più manovrabile. Le foglie di fico, però, al cambio di stagione volano via e spariscono...

Messa così, il criterio “uno vale uno” non è praticabile in questo modo (l’alzata di mano o una scheda in urna saranno pure antichi, ma decisamente più trasparenti); o perlomeno nessuno può verificare se viene applicato davvero oppure no. In ogni caso, gli interventi dei “vertici” a Genova e in altre città, hanno dimostrato che “il garante” vale più di qualunque maggioranza. Dunque tutti gli altri “uno” contano pochino...

L’altro pilastro che segue nel crollo è la parola “legalità”. Sembrerebbe un termine univoco, semplice, chiaro. E per la maggior parte della popolazione è così. Ma nell’applicazione pratica, da parte di un soggetto politico (individuo, gruppo, partito o movimento), si scopre immediatamente che così non è. Per la semplice ragione che la politica è proprio la sfera di attività che fa le leggi, dunque che modifica la legalità esistente per rispondere ai problemi nuovi, oppure ai problemi vecchi che le leggi esistenti si sono dimostrate inadatte a risolvere, oppure ancora per i problemi che proprio le leggi esistenti hanno creato (vogliamo parlare di speculazione edilizia e dissesto idrogeologico?).

Cosa significa? Che “i politici” – tutti, grillini compresi – sono tenuti al rispetto delle leggi esistenti, al pari dei comuni cittadini. Ma anche che proprio a loro (e sotto qualsiasi regime politico, dalla peggiore dittatura alla più irenica delle democrazie) spetta l’onere della decisione, ossia della creazione di nuove leggi e cancellazione delle vecchie. Onere complicato non poco dalla prevalenza dell’Unione Europea sulle decisioni nazionali, e ancor più su quelle locali, in materia di bilancio e non solo.

A questo punto dell’ideologia e del “metodo” grillini, all’atto pratico, resta ben poco. Certo, un politico deve essere onesto o finire in galera in caso contrario. Ma non può dichiararsi indifferente (o “neutrale”, insomma “né di destra né di sinistra”) rispetto alle diverse soluzioni possibili per ogni problema.

Esempi concreti? Partiamo da quelli banali: di fonte al problema dei senza casa, sia “italiani” che “stranieri”, pensi di lasciare tutto alle “logiche di mercato” oppure ritieni vada fatta una politica di edilizia residenziale pubblica, in grado di dare un tetto quasi a tutti e di calmierare l’abnorme livello degli affitti? Nel primo caso ti va bene che ci siano masse crescenti di persone che vivono per strada o nei capannoni diroccati, e al massimo ti poni il dilemma poliziesco-minnitiano del “decoro urbano”, predisponendo servizi di polizia per “far sparire” gli homeless dalla vista dei turisti. Nel secondo caso, poni alcune basi per la riduzione della povertà, delle diseguaglianze ed anche per l’integrazione della popolazione immigrata. Nel primo caso non servono soldi, ti ritiri da ogni responsabilità e lasci fare a chi i soldi li ha (e magari te ne infila qualcuno in tasca); nel secondo devi trovare risorse, imporre limiti all’edilizia speculativa, tassare chi ha di più, fissare criteri sociologici e reddituali per le assegnazioni, ecc. Nel primo caso sei il maggiordomo degli interessi finanziari e immobiliari, nel secondo sei un soggetto politico attivo, con progetti, idee, responsabilità e ambizioni di cambiamento dell’esistente.

Potremmo fare centinaia di altri esempi, ma il problema è chiaro: fare politica significa scegliere soluzioni che non c’erano, crearne di nuove ed efficienti, favorire la soddisfazione di certi bisogni oppure di certi interessi. Non puoi insomma essere “neutrale” e “tecnico”.

Non riesci ad esserlo neppure nella gestione della tua piattaforma online, figuriamoci con la complessità degli interessi sociali in conflitto...

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