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20/09/2017

La Fondazione Gramsci non si presti alla truffa dell’alternanza scuola-lavoro

Una lettera aperta/appello chiede che le istituzioni culturali non si prestino all’inganno introdotto con l’alternanza scuola-lavoro nel sistema di istruzione pubblica nel nostro paese. Qui di seguito il testo diffuso dalla Usb – Scuola.

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Come Usb Scuola siamo venuti a conoscenza della possibilità che un progetto extracurriculare proposto dalla Fondazione Gramsci, in occasione degli ottanta anni dalla morte di Antonio Gramsci, a un Istituto superiore di Bologna, venga successivamente approvato, declinato e realizzato nelle more dell’alternanza scuola lavoro. Non sarà certo l’unico caso di rapporti tra licei e istituzioni culturali, volti a ricercare percorsi di alternanza scuola lavoro apparentemente meno insensati e più formativi. Non è un accanimento particolare verso questo progetto, dunque, a farci scrivere. La circostanza però, per le ragioni che diremo, ci spinge a una riflessione i cui termini non possono sfuggire ai lettori e agli studiosi di Gramsci, meno che mai a una Fondazione che porta il suo nome.
Da decenni l’UE sta lavorando per modificare in modo radicale e irreversibile i sistemi di istruzione e formazione dei Paesi membri, con lo scopo, ormai nemmeno più tanto nascosto, di diffondere in modo capillare la cultura di impresa e di mercato e di formare giovani generazioni disponibili al lavoro sottopagato, quando non gratuito, ma anche a spostarsi molto lontano dal paese d’origine per “inseguire” il lavoro e pronte a una continua mutazione della propria professionalità, legata solo e soltanto alle esigenze del mercato.

Le competenze sviluppate nel corso dell’alternanza sono competenze funzionali al mercato del lavoro e alla logica di impresa. In qualche modo, utilizzando l’esigenza di una didattica meno “ingessata”, il mondo del mercato e dell’impresa si è aperto un varco nel mondo della scuola, un passo alla volta, a partire dalle scuole più indirizzate all’impiego lavorativo immediato, per arrivare a quelle che sono sempre state considerate preparazione ai percorsi universitari e quindi “al sicuro” da questi processi, i licei. Il nuovo esame di maturità, con la valutazione delle esperienze obbligatorie di ASL, costituisce un indicatore del tutto esplicito del ruolo assunto dalle tecniche di valutazione quali strumenti di misurazione dell’adesione al modello sociale imperniato sui principi ordoliberisti; a ciò va affiancata l’enfasi sempre più accentuata negli ultimi anni sugli strumenti di misurazione e di valutazione quantitativa nell’attività scolastica, a discapito dei processi e dei contenuti di apprendimento (si vedano per esempio il ritorno ai voti numerici nel ciclo d’istruzione primario e i test Invalsi), oggettività che prelude alla confrontabilità e alla gerarchizzazione dei risultati. Tutte queste metodologie, presentate come innovative, promuovono una didattica apparentemente democratica, mirante a sviluppare capacità che sulla carta favoriscono il pensiero critico e l’espressione individuale.

In tale contesto lo “spirito critico”, separato spesso da ogni contenuto culturale disciplinare, diviene una competenza trasversale, necessaria a promuovere il proprio capitale umano nel mercato del lavoro, perdendo la potenzialità di strumento volto a pensare la società nella sua complessità e a immaginarne una possibile trasformazione democratica. Viene meno del tutto la dimensione in senso ampio politica e civile dell’istruzione scolastica (e universitaria) che perde qualunque finalità pubblica orientata alla formazione del cittadino consapevole del suo ruolo nella società.

Pensare l’istruzione in questi termini significa, per noi, riprendere le pagine dei Quaderni su L’organizzazione della scuola e della cultura, e ragionare sul rapporto tra scuola “umanistica” e scuola “tecnica”, sul rapporto tra formazione teorica e formazione pratica, su quello tra educazione al lavoro e comprensione del mondo del lavoro. Significa insomma non adagiarsi sullo stato di fatto e dare una patina culturale ad un progetto che sta smontando ciò che resta della funzione generale e emancipatrice della scuola pubblica statale, ma nelle forme possibili metterlo in discussione.

I gramsciani, tra i quali ci inseriamo con modestia, hanno il dovere di aprire una stagione di riflessione teorica e di lotta politica e culturale e di porsi il problema di avviare una relazione con un soggetto sociale, le giovani generazioni, sempre più privo di riferimenti seri ed utili per interpretare e provare a modificare la realtà in cui vivono, fatta di precarietà, esclusione sociale, feroce selezione di classe. Non basta intitolare progetti a Gramsci, commemorare anniversari, bisogna farne pensiero vivo con i ragazzi, aprendogli gli occhi sui veri fini dell’alternanza. Lo scopo dovrebbe essere “scoprire da se stessi, senza suggerimenti e aiuti esterni, [che] una verità è creazione, anche se la verità è vecchia, e dimostra il possesso del metodo; indica che in ogni modo si è entrati nella fase di maturità intellettuale in cui si possono scoprire verità nuove...”.

Invitiamo cittadini, lavoratori della scuola, studenti, professori universitari a sottoscrivere questo appello con il quale chiediamo alla Fondazione Gramsci di non prendere in considerazione in alcun modo i progetti di alternanza scuola-lavoro nei quali la formazione è svenduta e mercificata, continuando invece a proporre progetti extracurricolari che con coerenza permettano agli studenti (e ai docenti) di conoscere il pensiero di Antonio Gramsci.

Per aderire scrivere a bologna.scuola@usb.it

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