Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

17/09/2017

Egitto, reato di verità per l’avvocato di Regeni

Il buco nero in cui l’avvocato egiziano Ibrahim Metwally è caduto nella notte fra domenica e lunedì scorsi al Cairo è solo l’ultima circostanza con cui lo stato di diritto, quello per il quale si è innanzitutto cittadini prima che difensori dei diritti stessi, viene quotidianamente calpestato in Egitto da oltre quattro anni. Metwally era stato fermato all’aeroporto della capitale egiziana mentre saliva su un aereo per recarsi a Ginevra, lì invitato dalle Nazioni Unite a presentare una documentazione sulle sparizioni di persone che avvengono da anni nel suo Paese. Dopo esser stato prelevato dagli addetti alla sicurezza di lui per ore non s’è saputo nulla, anzi se ne negava il fermo. Forse sarà stato il tam tam lanciato dall’associazione di cui l’avvocato fa parte (Egyptian Commision Right and Freedom), forse un intervento della struttura Onu che l’attendeva, ieri il ministero degli Interni cairota ha annunciato che l’uomo è bloccato con l’accusa di tramare contro la sicurezza nazionale, secondo quanto disposto dall’incrudimento delle norme della precedente legge sul terrorismo. Fosse stato un po’ meno conosciuto e soprattutto non coinvolto in un incontro come quello che l’attendeva in Svizzera, la sparizione di Metwally si sarebbe aggiunta a quella di migliaia d’altri concittadini. Dramma che l’avvocato denunciava già prima d’essere entrato nel gruppo dei difensori di Giulio Regeni.

In anticipo sull’omicidio del ricercatore friulano, il legale aveva affrontato la terribile tematica che affligge il Paese venendone colpito anche come padre: suo figlio da due anni risulta fra gli scomparsi, ma dal ministero gestito da Al-Ghaffar nulla trapela e niente finora si è scoperto su questo caso. Il giovane potrebbe rientrare fra i sessantamila incarcerati: avversari politici, oppositori o semplicemente non assoggettati ai voleri del regime che opera un’immediata vendetta repressiva verso chiunque non sia bloccato dalla paura e azzardi anche semplici comunicazioni di cronaca sgradite al governo. Di fatto chi all’interno dei confini della nazione manifesta pensieri molesti al partito del presidente è considerato un soggetto non solo indesiderato, ma altamente pericoloso, tanto da poter essere arrestato nel rispetto della legge vigente. Dunque Metwally è in galera “per avere collaborato con organismi stranieri che puntano alla caduta di Al Sisi”, tale è l’effetto del cordone sanitario con cui il generale golpista difende il proprio esercizio oppressivo. Fra i comunicatori, giornalisti, intellettuali di cui da anni non si hanno notizie ci sono persone conosciute e meno. La strada intrapresa da quella che è diventata una dittatura mascherata, sin dalla strage della moschea di Rabaa al-Adawiya, è quella che, ad esempio, ha gettato nel vortice repressivo il fotografo Abu Zeid Shawkan, reo d’aver portato all’esterno l’entità d’un massacro che si voleva tenere celato.

 
Quanto questa situazione potrà durare è una domanda che i politologi si pongono, e la risposta diventa più imbarazzante del quesito. Il realismo politico che riporta da domani al Cairo l’ambasciatore italiano Cantini, mentre il premier Gentiloni si spende in rassicurazioni, a suo dire, utili per le indagini sul turpe omicidio del nostro studioso, è sintomatico d’un realismo incardinato sul cinismo. I fatti parlano da tempo e, mese dopo mese, ribadiscono la tracotanza di Al Sisi che sa di poter sminuire questa crisi diplomatica come di fatto sta accadendo. I genitori di Regeni e l’ampio fronte di solidarietà nazionale e internazionale creatosi attorno alla vicenda, costituiscono pur sempre una minoranza davanti agli interessi internazionali in atto. C’è l’emergenza migranti dalla Libia, che coinvolge l’Egitto quale partner dell’uomo forte della Cirenaica, quel generale Haftar che ha un feeling speciale con Al Sisi. E sempre sul tema di ‘sicurezza transnazionale, forze armate e pugno di ferro’ ci sono i militari che l’asse Al Sisi-Haftar possono porre sul terreno contro le bande dell’Isis o di qualsivoglia islamismo in armi. Già questo è un fine che giustifica ogni mezzo, seppure ciò che i due regimi, l’ufficiale del Cairo e l’ufficioso di Tobruk, vogliono eliminare ed esorcizzare è quello partecipativo e popolare. Il popolo deve solo temere e obbedire.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento