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08/08/2017

Il giornalismo non è pù un lavoro

Qualche nostro lettore occasionale a volte ci rimprovera per la durezza con cui trattiamo i giornalisti dei media mainstream. Che ci appaiono in genere o corrotti (quelli pagati bene) o incompetenti (stagisti gettati allo sbaraglio, che fanno tutti lo stesso pezzo sulla base di quel che dice l’Ansa o i Tg tra le 19 e le 20).

Anche tra noi c’è chi ha consumato qualche decennio in redazioni non proprio sconosciute e dunque ha visto di persona l’irresistibile avanzata di “professionisti” dell’informazione che si riconoscevano tra loro come tali in base alla comune assenza di qualsiasi opinione propria, alla pervicace ansia di carriera individuale (a quel punto dipendente esclusivamente dai favori del direttore e/o della proprietà), all’odio viscerale per chiunque esprimesse un punto di vista coerente, rispettoso dei fatti, “onesto” per dirla semplice.

La polarizzazione tra “opinionisti” superpagati per esprimere esattamente – e in bella forma – quel che la proprietà dei giornali vuol sentir dire e una (piccola) massa di cronisti generici, “porgitori di microfono” sul portone di partiti e sedi parlamentari, copia-incollatori di lanci d’agenzia rigorosamente privi di qualsiasi connotazione originale, ha generato un panorama informativo piatto, servile, propagandistico, inutile ad ogni scopo che non sia il rincoglionimento di massa.

In questi giorni, in molti hanno fatto notare che nel 1973, intorno al golpe militare che rovesciò Allende, tutti i media dell’epoca erano assolutamente contro la junta sostenuta dagli Stati Uniti; persino qualche giornale di centrodestra... Oggi, al contrario, neanche il manifesto riesce a spendere una parola obbiettiva sul Venezuela e Maduro. C’entrano – molto – i rapporti di forza generali tra reazione e progresso, certo. Ma un ruolo non secondario viene svolto dal deperire di una professione sotto la spinta – benedetta per quasi 40 anni – delle “forze di mercato”. Che non hanno evidentemente bisogno di alimentare un’informazione veritiera, dunque anche critica nei propri confronti.

Esageriamo?

E allora leggete l’opinione di un grande inviato come Alberto Negri, da quasi 40 anni in giro per il mondo (dal Medio Oriente all’Afghanistan, spesso pedibus calcantibus). Per conto de IlSole24Ore, quotidiano di Confindustria, mica della Pravda...

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Il giornalismo non è più un lavoro

Ogni giorno tutti si lamentano dei giornali e dell’informazione. La situazione appare quasi irrimediabile. I giovani e i meno giovani, anche se bravi, vengono pagati pochissimo e sono sempre precari, i vecchi, pure quelli buoni, vengono pre-pensionati e comunque messi ai margini.

La professione giornalistica, ma ovviamente non solo quella, è diventata sempre più “volontariato”. Possono fare questo lavoro coloro che non campano di giornalismo, come professori, esperti vari, già pagati dalle istituzioni, da società pubbliche o private, dal mondo del business, oppure figli di papà mantenuti dalla famiglia. Ma non è gente che va sul terreno e afferra la vita vera. Parlano a vanvera di popoli che non conoscono e posti che non hanno mai visto. Non viaggiano né consumano la suola delle scarpe. Tutto avviene alla scrivania.

Gli stessi giornalisti in attività vivono così di cattivi esempi producendo un’informazione pigra e sciatta. Nessun caporedattore osa più prendere i pezzi dei collaboratori, passarli, correggerli o anche cestinarli. Non c’è neppure il tempo di leggerli, gli articoli: pubblicati sul web o sul giornale così come arrivano, con errori di battuta e incongruenze che nessuno ha voglia di discutere. Basta avere un titolo da spendere.

I lettori, poi, sono abituati ad avere l’informazione gratis sul web: un prodotto che non ha un prezzo, non solo materiale ma anche morale, è un prodotto svilito, che non appare frutto del lavoro, della preparazione e del sacrificio, ma di una gratuita superficialità.

E forse è proprio così che stanno le cose. Niente oggi vale meno dell’informazione. Anche quella che state leggendo in questo preciso momento.

Ma i giornalisti ci sono ancora, credono o sperano che qualche cosa cambierà consolandosi che in fondo la verità non ha più un prezzo, ma di sicuro costa molto a chi la cerca.

Buona fortuna

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