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27/06/2017

Iraq - Mosul prossima alla liberazione

Mancano 600 metri e 300 miliziani prima che l’intera città di Mosul sia liberata dal giogo islamista. L’operazione governativa irachena, lanciata lo scorso ottobre, è giunta alla fine: pochi giorni, assicura il comandante dell’anti-terrorismo di Baghdad, il generale al-Assadi, e la seconda città irachena sarà ripulita dalla presenza di Daesh.

Per ora gli islamisti, i pochi rimasti, si difendono come possono. Ovvero con estrema crudeltà, figlia della disperazione: negli ultimi quattro giorni sarebbero stati almeno 80 – secondo Baghdad – i kamikaze che hanno colpito l’avanzata delle truppe governative che ieri hanno ripreso il quartiere di al-Faruq e liberato l’ospedale a Bab al Baid, usato in questi tre anni di occupazione dall’Isis. Domenica era caduto il quartiere di al Shifa. Violentissimi gli scontri, che lasciano in trappola circa 100mila civili nella città vecchia.

E mentre nella parte est – liberata a febbraio – domenica si è celebrato in pubblico, insieme, il primo Eid al-Fitr (la festa che chiude il mese sacro di Ramadan) senza Isis, i numeri dopo otto mesi di offensiva parlano di una vittoria prossima: 2.352 chilometri quadrati di territorio e 188 aree riconquistate, 20 mila famiglie liberate e 133mila kit alimentari distribuiti ai civili. Le truppe irachene hanno poi confiscato a Daesh 1.139 auto-bomba, 601 motociclette, 22 barche, 1.400 armi e 49 droni e distrutto 26 tunnel e 12 impianti di produzione di razzi.

Le immagini della distruzione, portata dall’Isis e dalla successiva guerra raccontano di una città devastata. Qui potete vedere le immagini girate da un drone.

«Da una prospettiva militare, Daesh è finito. Ha perso il suo spirito combattente. Glielo diciamo: arrendetevi o morirete». Queste le parole pronunciate ieri da al-Assadi, dichiarazioni cariche di speranze che però sul terreno trovano minor giustificazione. Mosul sta per tornare al popolo iracheno ma l’Isis non è vinto: lo ha dimostrato nei giorni scorsi, colpendo con un kamikaze la provincia orientale di Diyala, liberata da tempo (solo il mancato funzionamento della cintura esplosiva ha evitato una strage) e lanciando una pesante offensiva a nord di Kirkuk, contro postazioni di Baghdad e di Erbil.

Ma oltre all’intatta capacità islamista di infilarsi e penetrare nella parte del paese dove l’occupazione non c’è stata o non c’è più, con cellule armate e kamikaze, più di tutto preoccupa la divisione politica e settaria interna al paese, privo di una strategia unitaria che sappia tenere insieme anime diverse e ora in conflitto. Dal Kurdistan iracheno che punta al referendum sull’indipendenza a settembre (in concomitanza con le elezioni amministrative irachene, sempre che si tengano) alle regioni sunnite liberate da mesi ma ancora senza alcuna guida politica, l’Iraq rischia di sfaldarsi e rimanere alla mercé di attori regionali interessati a prendersene ognuno un pezzo.

Per questo nei giorni scorsi il governo iracheno ha tentato il primo passo: un piano di ricostruzione da 100 miliardi di dollari in dieci anni che rimetta in piedi le case e le infrastrutture ma che punti anche sull’educazione e la contro-propaganda, ovvero a recuperare i giovani e i bambini che per tre anni sono stati costretti a frequentare le scuole religiose dell’Isis. Il sistema educativo ruoterà intorno a programmi che saranno seguiti da scuole, moschee e chiese “sui valori della coesistenza e della moderazione”, spiega a al-Monitor Hossam al-Ayyar, del consiglio provinciale di Niniveh.

A finanziare il progetto sarà la Banca Mondiale, ma anche enti finanziari iracheni. Ma, c’è da scommetterci, i paesi stranieri si fionderanno sull’opportunità, miliardaria, di ricostruire Mosul.

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