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30/06/2017

Confindustria e Papa bastonano CgilCislUil: “inutili e corrotti”

I salari sono bassi, vergognosamente bassi. Anche quei pochi “fortunati” (i giornali padronali ancora scrivono “privilegiati”) che hanno un lavoro da molti anni, e dunque salari fissati da contratti nazionali stipulati in altre condizioni, negli ultimi anni hanno visto bloccarsi la dinamica verso l’alto. Per precari e discontinui, invece, la dinamica è addirittura discendente, quando si passa da un lavoro all’altro. In molti comparti, specie nella grande distribuzione, i 600 euro al mese per orari settimanali decisi arbitrariamente dalle aziende, sono diventati quasi la normalità.

Per le aziende è ovviamente una pacchia, a un primo sguardo (che è poi quello delle aziende stesse, notoriamente molto miopi). Ma basta guardare il problema da un po’ più in alto – un paese, per esempio – e subito si vede che questa compressione salariale è anche un problema negativo per l’economia capitalistica. Se la gente lavora e viene pagata poco – o addirittura nulla, come in molti stage o all’Expo – non ha molto da consumare. Insomma, compra poche merci, riduce i servizi, taglia le spese superflue e anche gran parte di quelle necessarie (le cure mediche, per prima cosa). Ma se la domanda di consumi cala, anche per le aziende le cose si mettono male, sono costrette a ridurre la produzione, ecc.

Si chiama spirale deflazionistica, un mostro alimentato da dieci anni di crisi economica e politiche di austerità (soprattutto in Europa), da cui neanche l’immenso quantitative easing praticato dalla Bce da due anni e mezzo è riuscito a farci uscire.

Bene. Da diversi mesi la stessa Bce va dicendo che se non si rimettono a crescere i salari reali (che, con inflazione quasi a zero, corrispondono ai salari monetari) il tentativo di rimettere in moto un circuito virtuoso (leggermente inflazionistico, ma intorno al 2% annuo) non avrà successo. E dunque la “crescita” rimarrà soffocata nella culla.

La cosa sorprendente, fino ad un certo punto, è che anche il giornale di Confindustria – IlSole24Ore – ha finalmente colto l’invito di Mario Draghi, approfittandone per fare una dura ramanzina... ai sindacati complici (CgilCislUil)! L’editoriale di Alberto Orioli (L’assist Bce che il sindacato non coglie) non fa sconti, ma soprattutto dice cose addirittura sacrosante: 

Mario Draghi anche nell’ultimo discorso che tanto ha spiazzato i mercati ha citato il tema della sottoccupazione che induce a vedere come priorità il consolidamento del proprio posto di lavoro (magari lavorando più ore) piuttosto che non l’aumento delle retribuzioni per via contrattuale”.

la tesi del numero uno della Bce è che la sottoccupazione crea una dinamica distorsiva nell’inflazione, soprattutto perché – ed è questa la novità su cui il sindacato deve riflettere – lo sviluppo dei contratti di secondo livello ha creato una flessibilità che non sempre si è tradotta al rialzo”.

Accentuare ancora – nel dibattito pubblico del Paese europeo con la più alta presenza sindacale – argomenti minori come sono, ad esempio, i voucher, per farli diventare il simbolo di una nuova battaglia per i diritti stile anni '70 (come sta facendo la Cgil) rischia di rendere sfuocato il vero tema strategico dei salari”.

Le parti sociali sono ancora in tempo per correggere un altro errore prospettico: quello di trasformare la discussione su come rivitalizzare i salari nel dibattito tutto politico-ideologico del salario minimo o di cittadinanza. Il che sposta l’asse dal tema del lavoro a quello dell’assistenza. E sposta anche il “gioco di potere” dal campo dei corpi intermedi a quello proprio della politica”.

Naturalmente Confindustria non sta correndo sulle tracce di Corbyn o Melenchon. La sua soluzione è molto prosaica e pro-imprese: “abbattimento del cuneo fiscale per i giovani, per favorirne l’ingresso sul mercato e nel contempo alzarne le retribuzioni e nuova articolazione delle relazioni industriali”. Ossia una risposta sistemica che non sposta i rapporti di forza tra i “fattori del lavoro”, anzi, ma chiede ancora una volta allo Stato di farsi carico del differenziale contributivo, consentendo così alle aziende di destinare quel margine monetario in più all’aumento dei salari.

E qui casca l’asino dei sindacati complici. Le aziende, infatti, non concederanno mai spontaneamente un salario più alto. Serve che qualcuno glielo chieda, magari anche con la faccia incazzata; insomma, con qualche mobilitazione che abbia al centro questo tema. Altrimenti si limitano a mettere quei soldi in banca o nella speculazione finanziaria (il vero sogno segreto di molti padroncini italiani), lasciando stagnare produzione e consumi come negli ultimi anni.

Ma CgilCislUil si sono ormai adattati da quasi un quarto di secolo alle politiche di “moderazione salariale”, alla “contrattazione aziendale” (dove i lavoratori sono in genere più deboli) prevalente su quella nazionale, alla difesa di un “ruolo politico” anziché impegnato nella salvaguardia degli interessi almeno economici dei lavoratori. Un esempio clamoroso è venuto dall’ultimo rinnovo contrattuale dei metalmeccanici, categoria un tempo gloriosa e combattiva, che coincideva quasi per intero con la rappresentanza Fiom, in cui l’aumento salariale concordato è di... 1,70 euro al mese!

I sindacati complici stanno ormai svolgendo da anni un ruolo così di supporto alle richieste aziendali – in un panorama imprenditoriale segnato da un padronato miserabile e micragnoso – da essere diventati un fattore di freno all’uscita dalla spirale deflazionistica.

Grosso modo, con parole diverse, è la stessa critica rivolta dal Papa ai presunti cattolici della Cisl. Anche in quel caso il richiamo a “fare il proprio mestiere” di sindacato è stato perentorio: 

Nelle nostre società capitalistiche avanzate il sindacato rischia di smarrire la sua natura profetica, e diventare troppo simile alle istituzioni e ai poteri che invece dovrebbe criticare, alla politica, o meglio, ai partiti politici, al loro linguaggio, al loro stile”.

«Le “pensioni d’oro” – e tutti hanno pensato subito all’ex segretario Raffaele Bonanni, oltre a tanti boiardi di Stato – sono un’offesa al lavoro non meno grave delle pensioni troppo povere, perché fanno sì che le diseguaglianze del tempo del lavoro diventino perenni».

Non c’è una buona società senza un buon sindacato, e non c’è un sindacato buono che non rinasca ogni giorno nelle periferie, che non trasformi le pietre scartate dell’economia in pietre angolari, che, come i profeti biblici, non dà voce a chi non ce l’ha. E che non comprenda una sana cultura dell’ozio, per esempio del tempo che si può dedicare ai figli e alla famiglia”.

Il capitalismo di oggi non comprende il valore del sindacato, perché ha dimenticato la natura sociale dell’economia, dell’impresa, della vita, dei legami e dei patti. Ma forse anche la nostra società non lo vede lottare abbastanza nei luoghi dei diritti del non ancora, nelle periferie esistenziali, tra gli scartati del lavoro, tra gli immigrati, i poveri”.

Fino al lapidario a volte la corruzione è entrata nel cuore di alcuni sindacalisti”, che è sembrato a tutti una fotografia impietosa del sindacato italiano, più che un rimbrotto morale.

Ecco, se Papa e Confindustria sono dovuti arrivare a questo punto, è segno che i sindacati complici non sono percepiti più – da decenni – come un “nemico”, ma neanche come qualcosa di economicamente utile. Erano diventati così per imbrigliare una combattività di massa che faceva salire troppo velocemente i salari, erodendo i profitti. Dopo un quarto di secolo di eroina iniettata nelle vene del conflitto di lavoro, il risultato raggiunto è l’eccesso opposto.

Ma la constatazione – o la domanda – è altrettanto semplice: quei gruppi di venduti seduti ai vertici del sindacato complice non sono in grado di cambiare natura, abito mentale, postura personale. Inutili sia ai lavoratori che alle imprese. 

E’ il destino dei “moderati”, quello di arrivare sempre dopo.

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