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13/06/2017

Amministrative 2017: segni evidenti di un declino a 5 stelle

Nell’analisi del voto del primo turno delle amministrative 2017 cerchiamo di evitare il gioco delle tabelline: il numero degli elettori, delle percentuali raggiunte da un qualche partito, dei voti reali, degli eletti etc. Non che siano esercizi inutili, al contrario, ma ci sono fenomeni, in questa tornata elettorale, che vanno oltre il semplice fatto del voto e vanno evidenziati.

Insomma, quanto accaduto domenica 11 aiuta a capire meglio cosa sta accadendo da tempo nel movimento 5 stelle.  Certo, si tratta dello stesso giorno in cui il partito del premier ha perso in casa propria, a Rignano. Dopo una campagna elettorale che ha visto il paese in provincia di Firenze diventare una sorta di cortile di palazzo Chigi con esponenti del governo che si sono presentati a promettere lavori pubblici, finanziamenti possibili, progetti. Ma, a parte i media e Renzi che corrono assieme da tempo – e quindi i particolari sgraditi al segretario PD scompaiono presto dalle notizie – la legge di Rignano è la stessa che è stata fatta valere a Genova: senza radicamento sul territorio non c’è spettacolo che tenga. Non c’è sfilata di personaggi che riesca a invertire tendenze che si sono, appunto, radicate.
 
Il territorio. Certo, bisogna intendersi oggi sulla nozione di territorio. Si va dal centro anziani, al posto macchina, allo svilupparsi dei messaggi giusti sui social media, a reti di conoscenti, a locali pubblici che sono inaccessibili alla politica perché non li vede. A queste elezioni amministrative, il movimento 5 stelle ha perso proprio il contatto con ciò che fa territorio. Infatti, rispetto alle amministrative del 2012, ha perso voti sia a Genova che a Palermo. Nella stessa modalità: dove si era presentato come novità aveva sfiorato il ballotaggio poi, in vista di una vittoria ritenuta sicura al turno successivo, è imploso in lotte interne. Che ci sia un problema tra format 5 stelle e territorio lo si vede da Comacchio, che aveva un sindaco pentastellato poi espulso da Grillo, e da Parma. Il sindaco di Comacchio è stato confermato al primo turno, mentre Pizzarotti è arrivato al ballottaggio, con quasi 15 punti in più rispetto al risultato del 2012. Entrambi, in modo diverso, da tempo avevano preso le distanze da Grillo. Perché una cosa sono le dinamiche dei territori, un’altra quelle dell’opinione pubblica e della lotta interna tra fazioni. Il movimento 5 stelle è cresciuto facendosi accompagnare da queste ultime e anche le dinamiche dei territori vengono sempre ridotte a format da dare in pasto all’opinione pubblica (dai rifiuti di Livorno, al comportamento di Raggi e Appendino).

Il rigetto dell’elettorato non è tardato ad arrivare. Perché per conquistare i territori ci vuole un lavoro politico lento, capillare, coerente, stabile fatto di persone credibili. Un movimento fatto di polemiche infinite sulle chat di ogni tipo questo lavoro non lo fa. Anzi, discredita chi, all’interno dei 5 stelle, fa questo lavoro. Oltretutto neanche si sta attrezzando a farlo. E  non solo perché le persone più credibili, da stessa denuncia pentastellata, preferiscono provare a candidarsi per le politiche (già per il personale politico ci vogliono risorse, e sui territori sono a zero). Basti dire che il movimento 5 stelle non ha mai fatto una conferenza nazionale di indirizzo sugli enti locali. Perché la tendenza è ingaggiare esperti spettacolo (De Masi) e usare la piattaforma Rousseau che tende a separare le esperienze piuttosto che a unirle (sono uscite analisi interessanti in materia). Certo, a Carrara il M5S è andato bene, come ha ottimi sondaggi in Sicilia. Ma perché, in quelle zone, sta accadendo quello che è già avvenuto in altre parti del paese. Ovvero il movimento si presenta come novità. Una volta esaurita la novità, ed è questo il messaggio delle amministrative, i problemi si fanno grossi. Fino ad evidenziare chiari segni di declino dell’esperienza pentastellata che quest’anno ha compiuto i suoi primi dieci anni. Infatti, in queste amministrative, nei pentastellati si sono riprodotti tre fenomeni che, in politica, hanno i segni del declino. Lento o accelerato, dipende dallo scenario complessivo, naturalmente.

Il settarismo. La prima grande malattia del M5S è il settarismo. Non ha alleati politici, non ha un referente sociale stabile, non ha, di conseguenza, un chiaro modello di società (sostituito con la lista della spesa delle “cose da fare”). Senza modello di società da proporre al paese, l’identitarismo e il settarismo restano gli unici elementi di coesione interna. Il risultato è che di fronte a un problema un esponente pentastellato ti parlerà soprattutto delle proprie questioni interne (il regolamento, le chat, Grillo etc.) e meno del problema in sé (che cercherà di risolvere solo sul piano dell’immagine). Tenderà poi a prendere decisioni solo secondo la logica della cerchia di appartenenza senza tener conto della società.

Capita quando non si ha un modello sociale da proporre, nel breve o nel medio termine è un elemento molto forte di perdita di consenso.

Il frazionismo. Come nei gruppi di extraparlamentare memoria, al settarismo corrisponde il frazionismo. Ovvero la lotta tra gruppi interni per il controllo dell’organizzazione, per il migliore posizionamento nei confronti del leader, per la distribuzione dei posti nell’organizzazione. In questo modo la politica, e la società, non sono altro che un terreno utile per il regolamento di conti interno.  Quello che è accaduto a Genova, con l’implosione del movimento e le accuse reciproche, e a Palermo, dove il candidato sindaco è stato denunciato in procura da esponenti della fazione interna avversaria, è solo la spia di un comportamento diffuso. Comportamento che ha portato alla mancata presentazione di liste, nel 2016, in comuni importanti (Rimini, Salerno es.).

I motivi sono semplici: in politica il frazionismo si risolve con la distribuzione di risorse ai contendenti, sterilizzando le cause materiali del problema, oppure con un forte senso di missione verso l’esterno, di un progetto ben preciso da condividere con la società. Mancano entrambi e la politica delle espulsioni, non a caso, non ha funzionato. Il frazionismo ha una radice materiale e una culturale. Se un partito non interviene su questo perde di credibilità. E, prima o poi, la paga.

Il partito di opinione. Come ha detto il sacerdote delle analisi di centrosinistra, Ilvo Diamanti, il M5S rimane forte sul piano delle elezioni politiche. Quindi su quello dell’opinione che, tradizionalmente, è però sottoposto a forti oscillazioni. Come hanno dimostrato le amministrative manca il radicamento territoriale. Una forza di opposizione lo costruisce, ad esempio, con delle lotte su disegni di legge che rappresentano economie territoriali, che vadano ben oltre il proprio bacino elettorale, con persone che sono espressione della società e non dei propri meccanismi di selezione interna.

Dal momento che, come sempre, la radice della crisi di questo paese è economica, ci vuole un modello di economia riconosciuto e praticabile. Ma un partito che prende voti da destra e da sinistra, cioè da modelli sociali ed economici irriducibili tra loro, non può scegliere in questo senso. 

La politica è  tuttavia implacabile: le non scelte per non perdere elettorato oggi peseranno drammaticamente domani. Questo in 5 anni di parlamento ai pentastellati è mancato e, prima poi, peserà sul serio. Come sta già pesando a Roma nella stanca gestione Raggi.

I sintomi del declino pentastellato sono quelli di doversi proporre come novità senza esserlo più. Di essere un movimento d’opinione che, appena tocca la dimensione del radicamento sociale o territoriale, si paralizza nella lotta interna.

Certo, la crisi alimenta l’elettorato pentastellato, forti nelle fasce d’età giovanili, ma non fino, secondo ogni proiezione elettorale, a portare il M5S al governo. Meglio così, se si è al governo, e si fa come a Roma o come durante la questione della legge elettorale, i mercati finanziari ti inceneriscono in un paio di settimane. Già perché oggi una forza di governo alternativa deve essere estremamente robusta, coesa, riconosciuta dal paese, pronta ad attraversare cambiamenti epocali.

Detto fuori dai denti, quando un tweet della Taverna mette in fibrillazione un partito c’è pochissimo da sperare, nel caso, sulla tenuta della stessa organizzazione di fronte alla capacità di manovra a tenaglia della Merkel.

I pentastellati sono quindi nella condizione mediana di essere nel parlamento ma non sui territori reali, come forza considerevole ma non di governo. La cosa peserà tanto più domani quando, in un parlamento con maggioranze deboli, chi vincerà punterà a spaccare i pentastellati. Per ottenere quei gruppi parlamentari “responsabili” pronti a governare.

Il movimento 5 stelle poteva essere una risposta utile a questo paese. Un movimento popolare che fosse direttamente espressione di larghe fasce di società, per niente minoritarie, alle quali la rappresentanza centrodestra-centrosinistra aveva messo la testa sott'acqua. Ha prevalso la saldatura tra le dinamiche aziendali della Casaleggio e i piccoli gruppi di interesse (molto rissosi tra loro, tra l’altro).

Ci sarà un cambio di marcia? Non sta a noi dirlo.

Certo, tutto ciò non cancella il certificato stato di rigor mortis delle sinistre. Ma, come dire, un problema alla volta.

Redazione, 13 giugno 2017

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