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24/05/2017

Trump rassicura ma non incanta Israele

di Michele Giorgio   il Manifesto

«Abbiamo la rara opportunità di portare stabilità, sicurezza e pace in questa regione e sconfiggere il terrorismo creando un futuro d’armonia, prosperità e pace. Ma possiamo farlo solo collaborando, non c’è altra via». Un Trump messianico ha aperto ieri con queste parole la visita ufficiale in Israele, seconda tappa del suo viaggio inaugurale all’estero da presidente degli Stati Uniti. Una tappa che segna la discontinuità con la linea di Barack Obama – che aveva avuto rapporti non facili con Benyamin Netanyahu al quale comunque ha assicurato aiuti militari per quasi 40 miliardi – ma che difficilmente imprimerà, come spera la destra israeliana dall’ingresso di Trump alla Casa Bianca, una svolta netta alla politica Usa nei confronti delle colonie ebraiche, dello status di Gerusalemme e dei Territori palestinesi occupati.

Netanyahu e i suoi ministri hanno ormai capito che i gesti simbolici dell’inquilino della Casa Bianca non andranno sempre a soddisfare le aspettative israeliane. Il fatto che Trump sia stato ieri il primo presidente americano in veste ufficiale a visitare il Muro del Pianto, il luogo più sacro dell’ebraismo, nella zona Est, occupata, di Gerusalemme, difficilmente darà il via libera al riconoscimento da parte degli Stati Uniti, di tutta la città, quale capitale di Israele. Nonostante le pressioni israeliane, Trump ha preferito visitare il Muro del Pianto senza essere accompagnato da Netanyahu. La tv israeliana Channel Two, riferiva ieri che funzionari statunitensi avrebbero respinto la richiesta di Netanyahu affermando che il Muro del Pianto «non fa parte del vostro territorio... è in Cisgiordania, questa è una visita privata del presidente e non è affar vostro». Un portavoce della Casa Bianca ha poi precisato che questi commenti «non riflettono la posizione statunitense e certamente non quella del presidente». Può darsi, in ogni caso il trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme (per ora) è congelato, con grande disappunto del governo Netanyahu e della destra al potere.

È evidente che i rapporti avviati dalla nuova Amministrazione con il mondo arabo – in particolare l’Arabia Saudita al quale nei prossimi anni gli Usa venderanno armi per centinaia di milioni di dollari – hanno indotto persino un presidente che non brilla per intelligenza e preparazione politica a farsi più cauto e vago sulla questione israelo-palestinese e a rinunciare ai toni battaglieri e filo-israeliani della campagna elettorale. Ieri sera mentre chiudevano questo numero del nostro giornale Trump e Netanyahu erano impegnati in colloqui nella residenza del premier israeliano. Al termine non si attendevano annunci clamorosi. «Vogliamo che Israele viva in pace. Insieme possiamo arrivare alla pace. Condividiamo una amicizia fondata sull’amore per la libertà e per i diritti umani», ha detto il presidente americano nel corso della conferenza stampa congiunta con Netanyahu. «Credo in un rinnovato sforzo per raggiungere la pace tra israeliani e palestinesi... La pace in Medio Oriente è uno degli accordi più duri da ottenere ma sento che ci arriveremo. Lo spero», ha aggiunto. Frasi senza spessore che rivelano l’inesistenza di un “piano di pace” di Trump di cui si parla da qualche tempo.

Ciò che il tycoon consegnerà a Israele in questa prima visita da presidente non è Gerusalemme o il via libera ad una colonizzazione senza freni dei territori palestinesi. È la testa dell’Iran. Lo stesso regalo che ha fatto ai sauditi e agli altri regnanti del Golfo riuniti ad ascoltarlo domenica a Riyadh. Trump ha accusato Tehran e i suoi alleati (Siria e Hezbollah) di tutto e di più per la gioia di re Salman dell’Arabia Saudita. Parole che sono suonate come una dichiarazione di guerra e alle quali non ha potuto non reagire il rieletto presidente iraniano Rohani. «Il ritrovo in Arabia Saudita è stato soltanto uno show senza valori pratici o politici di alcun tipo. Non si può risolvere il terrorismo dando soltanto il denaro del popolo a una superpotenza», ha commentato ieri Rohani alludendo agli accordi da miliardi di dollari firmati da Washignton e Riyadh.

Oggi Trump andrà per qualche ora a Betlemme dove incontrerà il presidente dell’Anp Abu Mazen. I palestinesi lo accoglieranno con una “giornata di rabbia” contro la politica Usa e l’occupazione israeliana. Tutta la Cisgiordania e Gerusalemme est ieri hanno osservato una sciopero generale in solidarietà con i detenuti in sciopero della fame e contro l’arrivo del presidente americano.

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