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16/04/2017

Una "Alleanza contro la povertà" da fine ‘800

Un'oscena rappresentazione ha avuto luogo a Palazzo Chigi, protagonista con Gentiloni e Poletti, l’Alleanza contro la povertà in Italia e i tre segretari confederali che ne fanno parte. La firma di un Memorandum contro la povertà assoluta è stata l’occasione offerta al governo di presentare come nuova una iniziativa che risale alle legge di bilancio del 2016, quando il governo aveva inserito un Fondo per il contrasto della povertà, dotato di 0,6 miliardi di euro per il 2016, di 1,0 per il 2017 e di 1,1 per il 2018.

Per attivare il Fondo, Poletti l’8 febbraio 2016 aveva presentato un disegno di legge di delega al governo recante norme relative al contrasto della povertà. E’ stato approvato il 9 marzo 2017. La delega affida la funzione di contrasto della povertà a un’unica misura di carattere nazionale, di competenza esclusiva dello Stato, basata sul principio dell’inclusione attiva sulla base di progetti personalizzati di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa, da realizzarsi nei limiti delle risorse disponibili. “Nel solco del difficile rilancio delle politiche attive – aveva detto allora Poletti – chi riceverà il sostegno dovrà ‘sottoscrivere un patto con la comunità’, che va dal buon comportamento civico all’accettazione delle proposte di lavoro che possono essere girate dagli sportelli regionali”. Il sussidio mensile massimo sarà di 485 euro al mese e potrà riguardare 400 mila famiglie

“Basta briciole, vogliamo il reddito di dignità!”, aveva commentato La rete dei numeri pari, alla quale fanno capo gruppi locali che si richiamano a Don Ciotti. “Il Senato ha approvato una legge che è più simile ad una ‘poor law’ di fine Ottocento che ad una moderna legge sul reddito minimo di respiro europeo, come previsto dall’articolo 34 della Carta di Nizza. La povertà sembra essere una colpa, piuttosto che una responsabilità politica di chi sta gestendo la crisi amplificando la forbice delle disuguaglianze. Oggi la povertà è un fenomeno strutturale che colpisce soprattutto donne, giovani e migranti, a cui bisogna rispondere con misure di welfare strutturali. Il governo propone invece un Reddito di Inclusione fondato sull’esclusione e sull’assistenzialismo”.

Claudio Dominardi del Movimento Cinque Stelle, relatore di minoranza alla Camera dei deputati, aveva rilevato: “Siamo in una situazione emergenziale in Italia per quanto riguarda i dati sulla povertà, basta tenere conto che, dal 2008 ad oggi, il numero di bambini sotto la soglia di povertà è triplicato, siamo a oltre un milione. Quindi cosa ci aspettavamo e cosa ci aspettiamo? Una terapia d'urto, una terapia d'urto in un Paese come il nostro che ha sempre investito male e troppo poco per l'inclusione sociale e per il contrasto alla povertà”.

I livelli di povertà

Per l’ISTAT la soglia al di sotto della quale le famiglie sono in condizione di povertà assoluta corrisponde alla spesa mensile minima necessaria per acquisire un paniere di beni e servizi essenziale a uno standard di vita “minimamente accettabile”. Nel 2015 1 milione 582 mila famiglie (il 6,1% delle famiglie residenti) risulta in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni e 598 mila persono (7,6% dell’intera popolazione).

Le famiglie in condizione di povertà relativa sono invece quelle in cui la spesa media mensile si situa al di sotto di una linea convenzionale di povertà, che per il 2015 è definita pari a 1.050, 95 euro per una famiglia di due persone1. Le famiglie in condizione di povertà relativa sono 2 milioni 678 mila (10,4% di quelle residenti), per un totale di 8 milioni 307 mila persone (13,7% dell’intera popolazione).

L’ISTAT fornisce anche le cifre relative a indicatori definiti dall’Eurostat ai fini di Europa 2020, la strategia decennale dell’Unione europea per la crescita e l’occupazione varata nel 2010. Dodici milioni di persone, il 19,9% di quelle residenti in Italia, sono a rischio di povertà, sotto la soglia del 60 per cento della mediana della distribuzione individuale del reddito disponibile equivalente2. A questo indicatore fa riferimento il Movimento Cinque Stelle nella proposta di reddito di cittadinanza.

Alla luce di queste cifre l’intervento del governo sostenuto dall’Alleanza contro la povertà si commenta da sé.

L’Alleanza: normalizzare la famiglia e obbligarla al lavoro

Il decreto legislativo per l’attivazione della delega prevista dalla legge Poletti ancora manca. Ma nelle sue linee generali ricalca il Memorandum sottoscritto a Palazzo Chigi, che a sua volta riflette la proposta elaborata dall’Alleanza contro la povertà in Italia espressione di un associazionismo cattolico e di un sindacalismo collaborativo che porta all’interno delle istituzioni esperienze di assistenza caritatevole, ed è perciò accomodante circa gli investimenti finanziari ed i tempi.

L’intervento riguarda la povertà assoluta, e punta esplicitamente alla gestione delle famiglie in condizioni di povertà estrema che richiederanno il sussidio. Prescinde dalle cause sociali della povertà, e si focalizza sulla correzione di atteggiamenti e comportamenti delle famiglie e dei loro componenti che altrimenti continuerebbero a portarne la responsabilità, e non solo per il deficit di reddito. Non punta ad altro che a mitigare con i sussidi gli effetti della povertà estrema, disciplinando ogni famiglia ad esercitare la buona cittadinanza entro le condizioni date di emarginazione sociale. Lavora non contro la povertà ma nella povertà.

Per avere accesso al sussidio sono previsti due livelli di condizionalità, attinenti rispettivamente alla sfera extra lavorativa e a quella lavorativa. Il primo prevede forme di attivazione nel quadro di un ‘patto di integrazione’ e riguarda la famiglia del richiedente, il quale è titolare esclusivo dei benefici monetari. Il secondo riguarda, all’interno della famiglia, ogni persona adulta e abile che con un ‘patto di servizio’ si impegna ad attivarsi nel mercato del lavoro.

Per l’inserimento sociale la famiglia deve accettare di impegnarsi a seguire indicazioni operative che in linea di massima possono riguardare:
1. interventi terapeutico-riabilitativi per affrontare problematiche personali dovute a condizioni di forte disagio sociale o di emarginazione;
2. interventi di sostegno alle responsabilità familiari per superare difficoltà nei rapporti interni alla famiglia;
3. interventi socio-educativi per accrescere la preparazione, l’istruzione e le competenze dei componenti di ogni età;
4. azioni di corrispettivo sociale per migliorare l’autonomia, l’autostima e le competenze attraverso la partecipazione ad attività che incrementano il benessere della collettività.

Il patto di integrazione sarà gestito da una entità amministrativa che farà capo ai comuni di residenza in forma associata con altri soggetti del terzo settore; il patto di servizio farà capo al Centro per l’impiego. Le famiglie che faranno domanda per il reddito saranno prese in carico dall’entità comunale. Sulla base di una valutazione preliminare questa procederà ad una ‘valutazione multidimensionale’ per conoscere i bisogni e le risorse del nucleo e per definire il programma di attivazione.

Ogni famiglia costituisce un ‘caso’, ed è il ‘case manager’ che la gestirà, farà il possibile affinché “i membri del nucleo possano effettivamente progettare le risposte rivolte loro”. Il case manager deve essere formato “con riferimento ai molteplici compiti nelle diverse fasi del percorso”; e deve avere “una precisa conoscenza della rete dei servizi con cui si deve interfacciare”. In base alla complessità del singolo caso potrà richiedere l’assistenza di altre figure professionali.

Dopo la sottoscrizione del patto per l'inclusione, ogni componente in età attiva e abile al lavoro verrà indirizzato al Centro per l’impiego e preso in carico da un funzionario che lavora in accordo con il case manager. “Il percorso di inserimento lavorativo viene avviato successivamente alla stipula del patto di servizio; nel caso l’utente non lo sottoscriva, viene interrotta l’erogazione del contributo economico precedentemente iniziata”. Non si chiarisce se tutta la famiglia debba subire le conseguenze della insubordinazione di un suo membro. Comunque, “la possibilità di ricevere il sussidio nel tempo è vincolata al rispetto degli impegni specificati nel patto di inclusione e nel patto di servizio. Qualora ciò non si verifichi, il nucleo beneficiario è sottoposto a sanzioni”, fino alla decadenza dal sussidio.

In sostanza l’Alleanza punta ad insegnare le buone pratiche di vita e di cittadinanza alle famiglie, nel cui quadro la coazione al lavoro dei suoi membri è elemento imprescindibile.

Nell’ampio volume in cui l’Alleanza presenta il reddito di inclusione sociale3, il concetto di condizionalità riferito all’attivazione viene piegato all’esigenza di far ricadere sul beneficiario la responsabilità della sua condizione e della sua applicazione. In via di principio si riconosce che la condizionalità implica una asimmetria di potere, “in altri termini la posta in gioco per il soggetto ricevente è maggiore che per il soggetto condizionante, sebbene quest’ultimo abbia ovviamente un interesse al comportamento dell’altro”. Ma per giustificarla come libera transazione pattizia presupposta all’erogazione del reddito minimo, la condizionalità viene riferita al rapporto del soggetto ricevente con se stesso. Alla condizionalità vengono infatti attribuite quattro funzioni: punitiva rispetto al proprio comportamento deviante; deterrente rispetto al pericolo di indebolire il proprio capitale umano; educativa rispetto al proprio corretto comportamento futuro; legittimante rispetto al riconoscimento dei requisiti di condizionalità che gli vengono imposti.

La condizionalità riferita al rapporto tra beneficiari e mercato del lavoro si può realizzare in tre forme con intensità crescente di coazione al lavoro: make-the-work-pay punta sull’accettazione del beneficiario di occupazioni non troppo squilibrate rispetto a esperienze e competenze, e, in funzione di questo, prevede interventi dal lato della domanda; welfare-to-work si realizza attraverso percorsi guidati entro un quadro limitato di scelte; workfare non ammette rifiuti ad una proposta di lavoro. “Il confine tra i tre approcci – e soprattutto tra il workfare e il welfare-to-work – si mostra labile e dipende principalmente dalla definizione di che cosa sia una proposta di lavoro ‘congrua’, dal grado di attuazione effettiva e di severità delle sanzioni, ed, infine, dalla previsione di offerte di percorsi educativi o formativi in alternativa all’inserimento lavorativo in senso stretto”.

Note
1# Una scala di equivalenza che tiene conto delle economie realizzabili in base al numero di componenti, determina la spesa individuale.

2# Reddito equivalente: 1= primo adulto, 0,5 ogni altro con più di 14 anni, 0,3 fino a 13 anni. A ciascun individuo viene assegnato il reddito equivalente della famiglia cui appartiene. La mediana di questa distribuzione tra individui dei redditi equivalenti moltiplicata per 0,60 dà la linea della povertà relativa

3# Il reddito d’inclusione sociale (Reis). La proposta dell’Alleanza contro la povertà in Italia, Bologna, Il Mulino, 2016. Le citazioni virgolettate sono tratte da questo volume. L’analisi della posizione dell’Alleanza è in Commisso G., Sivini G. , Il reddito di cittadinanza: emancipazione dal lavoro o lavoro coatto?, Trieste, Asterios, luglio 2017.

Fonte

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