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20/04/2017

Nel cuore della logistica, dove il conflitto “pesa”

Intervista realizzata da Radio Città Aperta.

Abbiamo in collegamento con noi Ryad Zaghdane, della Usb, in particolare per quello che riguarda la logistica. E proprio di logistica che ci occupiamo in questo nostro spazio di oggi. Ciao Ryad, buongiorno.

Buongiorno a voi e a tutti gli ascoltatori.

Parliamo di un settore cruciale, che ricopre un’importanza particolarmente rilevante. Visto che molti non conoscono bene l’argomento, ci spieghi come mai cresce così tanto l’importanza di questo settore?

Il settore è stato sempre importante. Forse oggi, con la delocalizzazione e la terziarizzazione della produzione, assume ancora maggiore importanza. Una volta c’era la grande fabbrica, che oggi non c’è quasi più, che produceva tutti i pezzi dell’oggetto fino alla sua creazione finale. Oggi praticamente per costruire un oggetto ci sono decine e decine di aziende dell’indotto, ognuna fa le sue parti e quindi hanno bisogno praticamente di un trasporto logistico per ricomporre, a livello materiale, tutti i pezzi dentro un unico luogo. Lo studio della logistica iniziò con le guerre, dopo di che si è sviluppata a livello di industria, a livello di distribuzione dei beni per le popolazioni. Oggi in Italia stiamo parlando di un milione e centomila addetti alla logistica. La presenza dei migranti non supera il 20%, pure se negli ultimi tempi qualcuno è stato indotto a pensare che la maggioranza siano migranti. Non è vero. Solo il 20%, e tra l’altro concentrati per il 19% al centro nord; al sud, invece, in certe zone, la presenza dei migranti nella logistica è pari a zero. Ovviamente la presenza dei migranti negli ultimi anni ha rappresentato un punto determinante contro lo sfruttamento e contro la schiavitù, contro la distruzione dei diritti di chi opera in quel settore. Noi tra l’altro domenica 23, con il nostro centro studi faremo un convengo sul lavoro operaio, una ricerca approfondita, a 360 gradi, che fa il punto complessivo sulle questioni del lavoro. Qualcuno dice che non c’è più la classe operaia, che non c’è più proprio il lavoro... Non è vero. L’Italia è ancora il secondo paese manifatturiero d’Europa. L’impianto produttivo è diverso perché in Italia abbiamo subito deindustrializzazione, delocalizzazione, privatizzazione e quindi anche una parcellizzazione... Oggi il 93% delle aziende sono al di sotto dei 15 lavoratori dipendenti. Questo nel settore produttivo. Solo il 7% stanno sulla media di 250 operai per fabbrica, per azienda. Quindi il lavoro operaio c’è ancora, però in forme diverse; quindi la classe operaia c’è, ma è frammentata, è scomposta, secondo le logiche del sistema capitalistico. Noi come Usb stiamo affrontando ancora un percorso congressuale che terminerà nella seconda settimana di giugno. Nel lavoro privato c’è una volontà di riorganizzare il settore operaio in maniera che possa ricomporre questi tre settori: cioè dalla produzione alla distribuzione logistica fino alla commercializzazione. E su questo stiamo lavorando.

Tornando alla logistica, avendo oggi delle strutture sindacali dal nord al sud, riusciamo a comprendere come è lo status in quel settore in maniera reale, perché oggi partiamo dal centro logistico di Caserta per arrivare ad Avellino, passando per Napoli, Roma, l’Emilia Romagna, arrivando fino al nord, in Lombardia. Si capisce che lo status dei diritti dei lavoratori è dipeso soltanto dalle condizioni in cui versano i soggetti stessi. Al sud guadagnano molto molto meno di quelli del nord, anche di quelli immigrati al nord, perché il sud ha un’alta percentuale di disoccupazione e quindi i lavoratori del sud vivono le stesse condizioni dei migranti che lavorano al centro nord. Questo è un sistema di cui il capitale si è sempre servito, e tra l’altro ha sempre diviso i lavoratori per provenienza; non per razzismo, ma per creare condizioni migliori di sfruttamento e quindi di conflitto tra poveri, in cui il capitale si nutre e si rafforza.

A proposito di conflitto... Ci sarebbero condizioni e spazio per indirizzare questo conflitto in un’unica direzione? In un settore in cui, tra l’altro, una mobilitazione può produrre più effetti, perché poi se la merce non si sposta e non arriva al punto in cui deve arrivare, si crea un problema...
Certo. Il potere che hanno oggi gli operai della logistica è questo: bloccando la merce si blocca tutto. Questo è ovvio. Il nostro progetto è di intercettare tutte le forme della logistica, a partire da quella su gomma per arrivare a quella portuale e quella ferroviaria, perché questo consente ad un folto numero di lavoratori – stiamo parlando a livello di magazzinieri, stiamo parlando di 600-700 mila lavoratori in tutti questi tre rami della logistica – di tornare ad esercitare un potere contrattuale e far tornare il contratto nazionale come un elemento, uno strumento forte di emancipazione di tutti i lavoratori del settore. Questo è vero. Si è deboli invece sui luoghi di produzione, perché comunque non si conoscono i colleghi... I lavoratori della Fiat non conoscono i loro colleghi della Polonia che fanno quel tipo di pezzo, quindi praticamente è molto più difficile per loro bloccare la produzione tout court, in maniera totale. Invece nella logistica si può... stiamo lavorando per questo.

Bene. E di questo e di altro si parlerà fra l’altro nell’appuntamento che ricordavi – domenica 23 aprile, alle ore 10, presso il centro Congressi Cavour – dove Usb insieme a Cestes Proteo organizza e presenta la sua inchiesta sul lavoro dal nome “La grande fabbrica”. Ryad io ti ringrazio per il tuo intervento.

Grazie a voi.

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