di Francesca La Bella
La campagna elettorale irachena è sempre più rovente ed i continui
mutamenti nelle alleanze d’area sembrano avere un impatto anche
all’interno del ristretto contesto nazionale. In vista delle elezioni
amministrative di settembre, infatti, nel frammentato fronte sciita si
sta progressivamente facendo strada la discussa figura dell’ex primo
ministro iracheno Nouri al Maliki. Un attore particolarmente importante
sia per il suo passato politico nazionale sia per la sua più volte
dichiarata vicinanza all’Iran.
Dal punto di vista interno l’ex premier, duramente attaccato per la legge elettorale in vigore da Muqtada al Sadr [qui la
prima puntata sulle elezioni in Iraq e il ruolo di al Sadr], sembra
voler riprendere le redini del potere ai danni dell’attuale primo
ministro Haider al Abadi. Al Maliki, obbligato ad abbandonare la
carica nel 2014 in quanto accusato di attuare politiche discriminatorie
che avrebbero favorito una spaccatura del paese su linee etniche e di
non essere riuscito a prevenire la caduta di Mosul nelle mani dello
Stato Islamico, sarebbe ora pronto a capitalizzare le sconfitte dei
propri avversari per tornare alla guida del paese.
Una campagna elettorale basata, però,
non solo sugli errori altrui, ma anche e, forse soprattutto, sulle
vittorie sul campo di alcuni degli attuali alleati dell’ex premier. E’
questo il caso delle Unità di Mobilitazione Popolare (Pmu), milizie
armate a maggioranza sciita nate nel 2014 in funzione anti-Stato
Islamico. Le Pmu suscitano, però, sentimenti contrastanti
nell’elettorale iracheno.
Da un lato le vittorie contro lo Stato
Islamico hanno reso le milizie molto popolari in alcune fasce di
popolazione, perlopiù nelle aree a maggioranza sciita. Dall’altro
esse sono state percepite in alcuni settori come bande fuorilegge che,
sfruttando la campagna contro gli islamisti, hanno colpito
indiscriminatamente la popolazione civile, violando sistematicamente i
diritti umani della comunità sunnita.
Il dibattito seguito all’approvazione
alla fine dello scorso anno di una legge per regolamentare il ruolo
delle Pmu nel contesto statale ha ulteriormente esacerbato le divisioni.
Con il provvedimento, infatti, per la prima volta nella storia
dell’Iraq viene consentito ad una forza di sicurezza nazionale di avere
delle chiare divisioni etniche al suo interno.
In questo senso, se
Muqtada al Sadr sembra voler costruire la propria campagna elettorale su
un fronte ampio ed eterogeneo, al Maliki avrebbe, invece, scelto di
soffiare sulle permanenti divisioni interne al paese per coalizzare intorno al sé il fronte sciita.
Si legga in quest’ottica, ad
esempio, la querelle nata dopo l’esposizione della bandiera del
Kurdistan iracheno a Kirkuk. Dopo la decisione del consiglio provinciale
di issare la bandiera curdo-irachena sugli uffici cittadini, al Maliki
ha immediatamente condannato il gesto affermando che tale scelta avrebbe
potuto complicare ulteriormente il rapporto tra le diverse componenti
etniche nell’area.
L’ex premier ha, inoltre, inviato
l’amministrazione locale al rispetto dell’articolo 140 della
Costituzione irachena dichiarando che qualsiasi decisione unilaterale
deve essere considerata una minaccia alla convivenza a Kirkuk. Un
attacco molto duro, sintomo di una volontà centralizzatrice
apparentemente poco compatibile con il parallelo tentativo di
ridefinizione dei confini etnici tra le diverse comunità, ma molto
pericolosa per il futuro del paese.
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