Visto il filo conduttore della giornata di Ivrea, il futuro, non si può dire che questa dimensione temporale sia stata fatta intravedere agli italiani. Non
è venuta fuori un’idea di società, verso la quale un eventuale governo
M5S tenderebbe, quanto una serie di immagini da proporre a differenti
segmenti di pubblico.
Niente di male, solo che qui non si cerca
di proporre una nuova serie di paste da cucina (gli spaghetti a un tipo
di pubblico, le pennette lisce ad un altro e il brand per tutti) ma si è
davanti a una crisi economica storica, ad un Pil in declino da un
trentennio ad una società con problemi drammatici ed inediti.
Un’idea di futuro invece deve connettere, e mobilitare, un’intera società. Non per il rispetto dell’etichetta ma perché il M5S vuol governare da solo e, per farlo secondo la legge elettorale attuale, deve raggiungere il 40%
ovvero almeno 1/3 in più dei voti attuali. Sempre, s’intende,
seguendo le stime delle intenzioni di voto odierne. Per arrivare a
questo risultato la mobilitazione deve essere inedita, almeno per questi
anni, e per ora questo non si è visto.
La stessa definizione che Davide
Casaleggio dà del movimento 5 stelle (“siamo Netflix mentre i partiti
sono ancora Blockbuster”) non pare adatta a suscitare questa
mobilitazione. Confonde, infatti, l’immaginario dell’impresa
della comunicazione con quello dell’impresa tout court e quello
dell’impresa tout court con quello della società. L’idea di futuro di un'impresa e quello di una società, per quanto intrisa di aziendalismo come la nostra, vanno separate.
Lo stesso Berlusconi, che scese in campo portandosi dietro un immaginario di ricchezza non comparabile con quello della Casaleggio, per
prendere voti di massa a livello di opinione dovette ricorrere alla
coltivazione, reiterata, di un immaginario di maschio-alfa che stava
molto più nel profondo della società italiana di quello dell’impresa.
Cercare di costruire un futuro con un immaginario da start-up è,
infatti, prepararlo allo stesso rischio di fine precoce che corrono
questo tipo di aziende.
Davide Casaleggio aveva poi
aperto, sul Corriere della Sera, all’interrogativo principale della
giornata di Ivrea: la rivoluzione robotica e il suo impatto sulla
società. Roba un po’ schematica, sulla velocità della
rivoluzione tecnologica ci sarebbe più da ragionare che fare marketing,
ma che sicuramente tocca la struttura della società italiana:
dall’organizzazione del lavoro a quella dell’amministrazione dello
stato, della formazione, della ricerca scientifica e del diritto. Per
non parlare del tipo di economia che si vuole, e in che modo produce
ricchezza (e che tipo di ricchezza produce), in una società a forte
tasso di invecchiamento.
Questioni da far tremare i polsi, sulle quali
non si è visto un lineamento di risposta, sempre tenute sullo sfondo
grazie alla questione del “come” finanziare il reddito di cittadinanza. Quella del possibile impatto – sociale, economico, amministrativo – di questa misura rimane invece taciuto. E,
essere generico su questi temi, non è solo un difetto di Casaleggio ma
anche di tanta sinistra: pensare che il reddito di cittadinanza, misura
comunque inevitabile, sia una sorta di derivato della carità
(che una volta assolta fa sentire la società uguale a prima solo più
solidale) o una misura che riguarda comunque la periferia del corpo
sociale. Non siamo più nel ‘900: il reddito di cittadinanza, se erogato
davvero, non è una misura di equilibrio sociale che sta tra welfare e
mercato. Di fronte a una rivoluzione tecnologica, che distrugge
strutturalmente più posti di lavoro di quanti ne produce (a differenza,
appunto, del ‘900), il reddito di cittadinanza ha un impatto fortissimo
sul mercato del lavoro, sulla forma delle istituzioni e
dell’amministrazione. Fa uscire strutturalmente dal lavoro, se è
reddito di cittadinanza, non più una nicchia ma una parte consistente
di società. In maniera inedita dalla rivoluzione industriale. Presupponendo cambiamenti tali da mettere in discussione anche la presa
della forma impresa nelle pieghe della società e nella estrazione della
ricchezza. È uno dei motivi, oltre al fatto che la ricchezza in Europa
va nei paesi “core” come finiva nel nord ricco dell’Italia postunitaria,
per cui questo paese non ha mai trasformato la propria struttura di
welfare consociativo, tra le parti sociali come si era configurato nella
sua epoca matura, in welfare di cittadinanza. Sarebbe saltata la
struttura del potere reale tanto che gli attori in campo hanno preferito
trasformare, di volta in volta, il welfare consociativo in uno
strumento, in parte borbonico in parte neoliberista, di allineamento
alle esigenze di sviluppo della Ue e dell’eurozona.
Insomma, problemi
epocali ai quali è impossibile rispondere con un immaginario da startup.
Ma quando ti nutri, in modo totemico, del sapere dell’impresa certi
salti in avanti non li puoi fare.
Oltretutto quando in tv
Casaleggio jr. si è trovato davanti alla classica domanda, sul come
finanziare il reddito di cittadinanza come antidoto alla disoccupazione
tecnologica, ha risposto non cercando di conquistare nuovo pubblico ma
parlando a quello già conquistato. Ha parlato infatti di
“partire dal taglio delle pensioni d’oro etc.” ovvero la già vincente
retorica sugli sprechi che, anche se fosse praticata allo spasimo, non
arriverebbe mai a finanziare una posta di spesa così grande. Segno,
perlomeno, di grande confusione, prima di tutto su cosa fare dopo
l’evento epocale, e lo è, della rivoluzione tecnologica. Segno che,
nonostante i desideri sul futuro, non si arriva a produrre novità
politiche e non resta che parlare il solito linguaggio della “casta che ruba”.
Davide Casaleggio ha anche aggiunto che, sul finanziamento del reddito di cittadinanza, in fondo, è una questione dei tecnici. Nel
migliore dei casi siamo alla visione naif della politica che traccia
un’idea e i tecnici la praticano. Quando invece ogni “dettaglio” tecnico
porta, nel momento in cui va risolto, a drammatiche scelte politiche.
Oltretutto quando il provvedimento è destinato a produrre (complesse)
ondate di impatto sulla struttura sociale e amministrativa. Qui ci
vogliono non i tecnici ma idee di indirizzo politico chiare, e
robustamente organizzate, per arrivare a praticare una riforma del
welfare, dell’amministrazione e degli obiettivi dello stato, tale è il
reddito di cittadinanza altro che misura “tecnica”, che entrerebbero sicuramente in conflitto con Bruxelles e Francoforte (per non dire Berlino).
Insomma, l’evento
della Casaleggio associati, che è distinta dal Movimento 5
stelle, si è impantanato nei difetti della solita convegnistica di
impresa che un giorno tocca l’idea di banda ultralarga e l’altro di
Industria 4.0: un po’ di spettacolo, un tema di fondo magari azzeccato e
tanta genericità a contorno dell’evento. L’invito al Ceo di
Google Itala, al direttore della Trilateral e a quello del Tg7 (nonché a
qualche sociologo che questa convegnistica se l’è fatta tutta in area
Pd-Bassolino), da parte di Casaleggio, stavano in questa cornice. Il
problema è che questo genere di convegnistica è fatta, soprattutto, per
sviluppare il capitalismo di relazione in settori specializzati. Se il
format viene riproposto per delineare il futuro di un paese le crepe si
vedono tutte. La forma startup non è in grado di rappresentare la
profondità di un paese come il nostro. Ma difficile che su quelle rive
si cambi idea.
Certo se dall’associazione Casaleggio c’è questa confusione in campo 5 stelle, e ci riferiamo alla politica monetaria, le turbolenze non mancano. Il referendum,
previsto come consultivo dal M5S, sulla permanenza nell’euro o meno
assumerebbe, in questa cornice, i tratti della più spettacolare manna dal cielo per la speculazione finanziaria
(che le borse banchino i referendum ormai è prassi consolidata) e
quello della paralisi delle politiche di un paese in attesa del
risultato. Sicuramente in tutto questo c’è molta propaganda ma anche
occhi molto smaliziati stentano a trovarci coerenza e sostanza.
Nessuno si augura un domani di riveder
di nuovo pascolare i Gentiloni, i Renzi, gli Alfano, le Camusso. Ma
bisogna anche essere consapevoli di cosa sta accadendo anche da altre
parti della politica. Perché si sta preparando l’ennesima turbolenza per
questo paese, comunque vada. E i convegni del genere “imprese per un
paese che cambia” queste turbolenze non le governano al massimo ne
vengono governati. Oppure vengono spazzati via ed avanti il prossimo.
Redazione, 11 aprile 2017
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