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21/02/2017

Iraq - Al via l'offensiva per Mosul ovest

È iniziata ieri l’offensiva dell’esercito iracheno per la conquista della parte occidentale di Mosul ancora sotto il controllo dell’autoproclamato Stato Islamico (Is). Ad annunciare il via alle operazioni è stato il premier Haider al-Abadi sulla tv nazionale. Usando l’acronimo arabo invece di Is, il primo ministro ha detto che le forze irachene si stanno muovendo “per liberare per sempre il popolo di Mosul dall’oppressione di Daesh e dal terrorismo”. “Questa è l’ora zero, stiamo per terminare questa guerra, se Dio vuole” gli ha fatto poi eco l’ufficiale iracheno Mahmoud Mansour impegnato in queste ore in prima linea nei combattimenti.
 
Baghdad aveva dichiarato Mosul est “completamente liberata” lo scorso mese dopo tre mesi di combattimenti violenti. Ciononostante, la situazione è tutt’altro che pacificata anche in quest’area: nella sola giornata di ieri si sono registrati due attacchi suicidi. Un portavoce militare dell’esercito iracheno, il Brigadier Generale Yahya Rasoul, ha confermato gli attentati (rivendicati subito dall’Is) e ha detto che il loro obiettivo sono state, nel primo caso, le tribù sunnite alleate di Baghdad dispiegate nel quartiere di Zihoour e, nel secondo, le truppe irachene presenti nell’area di Nabi Yunis. Non è chiaro però quante persone siano rimaste uccise. Secondo alcuni ufficiali che hanno preferito restare anonimi, il primo attacco avrebbe causato l’uccisione di un combattente sunnita e il ferimento di nove persone, mentre nel secondo attentato sarebbero rimasti feriti cinque soldati.

L’offensiva iniziata ieri è molto complessa: la zona occidentale di Mosul infatti ha strade strette ed è densamente popolata. Il rischio per i civili è altissimo: le Nazioni Unite hanno già detto che centinaia di migliaia di civili intrappolati nell’area sud ovest della città si trovano “a rischio estremo” e hanno a disposizione scarse quantità di cibo, acqua, carburante ed elettricità. Le operazioni militari hanno fatto registrare primi incoraggianti successi per il governo al-Abadi: le truppe irachene hanno ripreso il controllo di 15 villaggi occupati nel 2014 dall’Is. Un alto ufficiale delle Forze di risposta rapida del Ministero degli interni, Abbas al-Juburi, ha riferito ieri alla stampa che i militari, guidati dalle unità della polizia federale, sono avanzati senza incontrare significativa resistenza nei villaggi a sud di Mosul in direzione dell’aeroporto. Un altro reparto dell’esercito, fa sapere il ministero degli interni, si sarebbe mosso invece verso il villaggio di Bakhira, sempre nell’area sud ovest della città. Le operazioni di terra stanno avvenendo anche grazie alla copertura aerea della coalizione internazionale a guida statunitense che nella sola giornata di sabato ha compiuto in città nove raid contro il “califfato”.

Un ruolo di primo piano nell’offensiva anti-Is lo stanno svolgendo anche le truppe speciali americane che, secondo quanto ha riferito il Comando centrale Usa, sono impegnate direttamente nelle operazioni belliche in sostegno delle truppe irachene. Accanto al numero (per ora imprecisato) di combattenti a stelle e strisce, non va dimenticato che diverse migliaia di militari statunitensi (oltre 5.000) sono presenti sul territorio iracheno per fornire sostegno logistico e addestramento alle truppe locali.

A confermare la presenza americana nei combattimenti è stato ieri anche il Segretario alla Difesa Usa James Mattis. Nel corso di una visita a sorpresa compiuta oggi in Iraq, Mattis ha poi provato a tranquillizzare gli iracheni: contraddicendo il presidente Donald Trump, l’alto ufficiale statunitense ha dichiarato che “gli Usa non intendono prendersi il petrolio iracheno”. “Penso che tutti noi in questa stanza e tutti noi in America – ha aggiunto – paghiamo il nostro gas e il petrolio e sono sicuro che continueremo a farlo nel futuro”. Le parole di Mattis stridono con le intenzioni di Trump il quale, sia durante la sua campagna elettorale che nel corso di un incontro avuto lo scorso mese alla Cia, aveva usato tutti altri toni. Parlando all’Intelligence, il neo presidente era stato infatti chiaro: “le spoglie appartengono al vincitore, pertanto dovremmo mantenere il petrolio”.

Trump ha però anche ribadito che sconfiggere l’Is è una priorità della sua amministrazione. Un impegno riconfermato anche durante il suo discorso d’insediamento alla Casa Bianca quando ha promesso che sradicherà “completamente il terrorismo islamico dalla faccia della terra”. Parole che hanno avuto una prima applicazione concreta lo scorso 28 gennaio quando ha dato a Mattis e a 30 alti ufficiali statunitensi l’ordine di presentare entro 30 giorni un piano anti-Is sia in Iraq che in Siria.

Mattis, per ora, preferisce temporeggiare affermando che non discuterà con gli alleati iracheni di questioni specifiche. L’obiettivo, afferma, è raccogliere prima informazioni. Negli ambienti militari statunitensi le operazioni sul tavolo sono innanzitutto addestrare e sostenere maggiormente le truppe locali e i gruppi siriani “moderati” aumentando nello stesso tempo il lavoro d’intelligence. Il Pentagono preme anche per avere più libertà nel decidere le modalità di lotta al califfato. In Siria, ad esempio, c’è chi suggerisce di mandare altre truppe americane (tra cui anche unità di combattimento) soprattutto in vista di un imminente assalto su Raqqa, la “capitale” siriana dello Stato Islamico. Un’altra questione al momento in stand by è poi se offrire armi e veicoli ai curdi siriani e se poterli addestrare. Da un lato, infatti, le Ypg curde si sono rivelate di gran lunga la forza migliore e più affidabile per sconfiggere l’Is. Dall’altro, però, ci sono le proteste rumorose della Turchia, alleato chiave Usa e della Nato, che le considera un gruppo terroristico.

Mentre prosegue l’offensiva nella zona ovest di Mosul, le Nazioni Unite lanciano l’allarme per i civili rimasti intrappolati in città. Secondo il Palazzo di Vetro quasi la metà dei negozi alimentari è chiusa, i prezzi del cherosene e del gas da cucina sono aumentati a dismisura e molte famiglie starebbero bruciando pezzi di legno, mobili, plastica e immondizia per riscaldarsi. “La situazione è angosciante” ha commentato laconicamente Lise Grande, coordinatrice umanitaria per l’Iraq dell’Onu. Secondo le agenzie umanitarie tra i 250.000 e i 400.000 civili potrebbero scappare dalla città a causa dell’offensiva. L’Onu ritiene che 750.000 persone siano ancora nella zona occidentale di Mosul.

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