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28/02/2017

“Avete svenduto le nuove generazioni”. Intervista a Cristina

Intervista realizzata da Radio Città Aperta.

Abbiamo con noi al telefono Cristina, la studentessa dell’Università di Bologna che è diventata – suo malgrado immaginiamo – virale sui social network per il duro, rigoroso ma corretto intervento con cui ha ricordato a Romano Prodi – nel corso di una recente iniziativa sull’Unione europea e la globalizzazione all’Università di Bologna – le proprie responsabilità rispetto alla situazione in cui viviamo oggi. Hai introdotto il tuo discorso presentandoti come generazione Erasmus e poi hai ricordato all’ex presidente come lui sia stato tra gli artefici della svendita del futuro di tante geneazioni, a partire dalla tua. Io sono un po’ più grande di te, ho intorno ai 40 anni, ma io pure sono stato coinvolto a pieno titolo in questa lenta ma inesorabile svendita del futuro, delle possibilità e delle speranze di noi che siamo cresciuti, siamo diventati adulti, o lo state diventando voi in Italia. Hai fatto notare che la tua generazione, Cristina, si affaccia ad un mondo del lavoro devastato da anni di politicihe neoliberali, sostenute e permesse proprio con la costruzione di quel soggetto politico che è l’Unione europea...

La prima domanda che vorrei farti è: che ruolo pensi giochino il sistema formativo e quello universitario nella realizzazione del progetto di precarizzazione e indebolimento della forza lavoro?

Direi che il compito dell’università, molto spesso, è quello di comunicare un’ideologia e riprodurre poi coloro che la riprodurranno nel momento in cui diventeranno classe dirigente. Questo si vede specificatamente nella facoltà di economia, nella quale io studio, in cui l’unico pensiero economico che si studia è quello dell’economia neoliberista. Neoclassica, così definita. Fondamentalmente – per questo motivo è nata la nostra associazione – la nostra idea era quella di avere la necessità di aprire alla conoscenza critica e quindi ribaltare l’idea di università: non uno spazio in cui si riproduce il reale, ma uno spazio in cui si possa cambiare la realtà, si possa innovare anche da un altro punto di vista. Fondamentalmente il mondo dell’università è strettamente collegato con quello del lavoro; sin da giovani noi veniamo educati a competere, ad essere individualisti, a non avere un pensiero critico, a non avere capacità di esprimere un pensiero critico; ma semplicemente educati a ripetere ciò che ci viene insegnato. Quindi sì, è l’Università e la scuola, in generale tutto il sistema scolastico che riproduce poi il sistema lavorativo in cui ci troviamo. Sin dall’inizio, anche con la scelta di chi andrà a fare l’Università. Perché poi va detto che all’Università oggi ci vanno in pochi privilegiati, che già rappresentano quell’élite, o sono comunque figli di quell’élite.

Tra l’altro proprio nella tua università – l’Ateneo di Bologna – si sono resi più visibili politiche di repressione verso chi cerca un po’ di opporsi. Ci sembra – correggimi se sbaglio – che il rettore stesso abbia rivendicato la scelta di fare entrare corpi di polizia antisommossa all’interno di una biblioteca, recentemente...

Sì...

C’entra anche questo aspetto, con quanto tu hai ricordato a Romano Prodi?

C’entra nel momento in cui si impedisce agli studenti di partecipare in modo attivo alla vita dell’Università. Io tra poco ho un appuntamento con il Vicario per poter parlare del fatto che ci vengono negati gli spazi per fare un’assemblea. All’interno del regolamento dell’Università di Bologna gli studenti non possono riunirsi per fare assemblee. E questo è un problema, perché significa che lo studente vive l’università semplicemente per fare esami, studiare, andare a lezione; ma non per creare quella comunità, per conoscere l’altro, per crescere personalmente... La polizia all’interno dell’università, in tenuta antisommossa, è stata proprio il massimo e mi auguro che venga condannato da chiunque e magari che qualcuno prenda dei provvedimenti al riguardo. Però va detto che quello è solo un caso, quello più plateale. Però noi, quotidianamente, viviamo una situazione in cui lo studente, all’interno dell’Università non vale niente, fondamentalmente. O molto poco, ecco, mettiamola così.

Negli ultimi anni il Partito Democratico, di cui anche lo stesso Prodi è stato uno dei fondatori, e i suoi ministri dall‘altro, hanno iniziato a parlare della necessità di potenziare pochi poli di eccellenza per la ricerca, capaci di interagire con le imprese e che convoglino su di sé gli ormai pochi fondi pubblici disponibili. Le stesse imprese procedono con tagli lineari, rispetto ai propri lavoratori, e dall’altro lato le università si trasformano in parcheggi per candidati alle liste di disoccupazione. La follia di questa politica è evidente, forse non è evidente solo a chi la propone...

Fondamentalmente il mio concetto sulla generazione Erasmus non era contro l’Erasmus in sé. Chi partecipa all’Erasmus è veramente l’un per cento degli studenti universitari. Quale è l‘educazione che oggi si fa? Una piccola parte degli studenti riesce ad accedere a grandissime possibilità, oggettivamente è vero. Io l’ho fatto: andare all’estero, parlare quattro lingue, avere la possibilità di conoscere e di viaggiare... Ma perché l’ho potuto fare? Perché avevo alle spalle una famiglia che me l’ha permesso. Il contributo Erasmus quanto copre? Un terzo del costo. Quindi, quale è l’idea? E sarà così sempre di più, nel momento in cui il lavoro cambia in continuazione e ci servirà capacità di innovarsi, ecc. La differenza chi la darà? Tra coloro che sono educati e coloro che non hanno l’educazione. E questo creerà sempre di più una divisone sempre più netta, che non è una questione di redistribuzione... Prodi infatti ha detto: il problema è della redistribuzione... Ma non è solo un problema di redistribuzione. Qui si sta stanno creando due binari. Coloro che sono ricchi, che hanno grandi capacità, che hanno grande conoscenze (ma non solo per meriti, perché io non ho avuto nessun merito a nascere nella famiglia in cui sono nata e che mi ha permesso di andare a fare l’Erasmus. Fondamentalmente sono stata fortunata) e coloro che invece non hanno avuto la mia fortuna e quindi sono tagliati fuori dall’educazione. Perché comunque ricordiamoci che le tasse all’università continuano ad aumentare, i libri continuano ad aumentare, i servizi continuano ad aumentare... Noi qui abbiamo anche problemi con la mensa... Abbiamo tutta una serie di problematiche che dividono, nettamente, la popolazione. Nord e sud? Nord e sud ormai stanno raggiungendo dei livelli di sviluppo completamente diversi, non sembra neanche che siamo nello stesso paese. E il fatto che si vada a “valorizzare l’università del sud” è anche questo è un messaggio. Comunque quelli del sud se ne devono andare al nord e quelli del nord se ne devono andare fuori. C’è tutta un’idea di creare una divisione tra coloro che possono e coloro che non possono, che non è collegato al merito, perché comunque le università del sud hanno grandissimi professori, hanno grandissime capacità e hanno grandissimi anche studenti. Quindi non è legato al merito.

Era evidente che, nel tuo intervento, tu non eri contro l’andare a fare esperienza all’estero. Ma sono le modalità con cui viene gestito l’Erasmus ad essere elitarie. Una tua considerazione. Emigrare, andare all’estero, tendenzialmente per fare il lavapiatti o per inserirsi in una lotta all’ultimo sangue per i pochi posti al sole disponibili... Si è fatto capire che la tua generazione, ma non soltanto la tua, sembra essersi un po’ rassegnata. Noi siamo profondamente convinti che l’unica speranza è la lotta. Nel caso degli studenti, uscire dalle aule e connettersi con le varie istanze di lotta che stanno attraversando, che stanno incrementandosi ad esempio nelle periferie, nelle classi subalterne... Naturalmente questo comporta un cambio di paradigma, di approccio, rispetto ad una cultura possiamo definirla “arrivista” che spesso molti studenti coltivano tra i banchi. Condividi questo approccio o non sei d’accordo?

No, io sono d’accordo, infatti questo è quello che noi facciamo. Nel senso che io su facebook non ho neanche risposto a tutte le provocazioni e neanche ai messaggi, perché io sono una di quelle persone che fa assemblea quotidianamente all’interno della mia scuola, anche al di fuori della scuola, che parla con gli studenti... E questa è la politica, è inutile che ci raccontiamo balle. Uno può pubblicare una cosa su facebook e dire “brava, complimenti”, però alla fine devi scendere in strada e devi andare a vedere veramente quale è la situazione attuale. Quindi noi, io personalmente e noi come associazione, ma anche come collettivo, noi facciamo quotidianamente intervento all’interno della nostra scuola. Ci confrontiamo con i professori e studenti e... Purtroppo sì, devo dire che ci sono molti studenti rassegnati. Ma io un po’ li scuso anche, perché comunque sono sempre stati educati con questa idea dell”uno su mille ce la fa” e quindi quell’uno devo essere io. Diventa un azzannarsi a vicenda, gente che si passa gli appunti sbagliati, che fa le infamate... E’ proprio un livello anche molto basso, da certi punti di vista... Quindi l’idea migliore è quella di organizzarsi, uscire... E’ per questo secondo me il problema dell’associazione è fondamentale... Nel momento in cui tu conosci l’altro, condividi con l’altro, capisci anche le idee dell’altro, diventi un suo compagno, se mi può passare la parola...

Figurati. Te la passiamo molto volentieri...

E quindi nel momento in cui bisogna andare a protestare non è più il tuo nemico ma è il tuo compagno, insieme a lui puoi fare cambiamenti.

L’ultima domanda. Romano Prodi ha cercato di delegittimare le tue considerazioni tacciandoti di nazionalismo, di sostenitrice delle frontiere, tutte cose che non avevano assolutamente nulla a che fare con quanto tu stavi dicendo. Però questo a noi sembra essere l’effetto di una sorta di vuoto, di analisi critica “a sinistra” sui temi della globalizzazione, portata avanti proprio dall’Unione Europea. Il 25 marzo qui a Roma c’è un’occasione, una manifestazione in occasione del 60esimo anniversario dei Trattati fondativi della Comunità economica europea. E’ un’occasione per iniziare a dare corpo anche in questo paese ad un’ipotesi di sinistra, in rottura con la subalternità culturale verso il Pd e gli artefici del progetto dell’Unione europea, tra cui ad esempio Romano Prodi. Ritieni che sia possibile partecipare ad iniziative come quella del 25, per tentare di scardinare questo approccio che l’Unione europea, evidentemente neoliberista, sta portando avanti?

Prima di manifestare – io sono d’accordo sulla manifestazione – bisogna capire bene quali sono stati i problemi. Il mio attacco non era a Prodi, nel senso che non è che è tutta colpa di Prodi la situazione attuale in cui noi ci ritroviamo. Quindi non lo farei diventare il colpevole più grande...

Possiamo dire che il suo contributo è stato comunque “di qualità”...

Sì, sì, assolutamente. Soprattutto perché comunque era “di sinistra”, quindi politicamente avrebbe dovuto rappresentare un’altra posizione. Noi abbiamo vissuto per venti anni l’applicazione di politiche neoliberiste che hanno portato alla situazione attuale che, fondamentalmente, vanno comprese, condannate, e poi si potrà dire: “cerchiamo una soluzione”. Per questo, il mio intervento era riferito a lui: “adesso che lei è fuori dalla politica, quindi non è più necessario che faccia il ruolo del politico, ammetta comunque che quelle politiche sono state un errore, in modo tale che noi possiamo superarle e pensare ad andare avanti”. Purtroppo il panorama di sinistra di oggi offre l’idea della globalizzazione “quanto è bella”, quanto è bello che io posso viaggiare, quanto è bello che ho un amico francese e un amico spagnolo... Però, anche in questo caso, le frontiere chi le può passare? Noi siamo comunque con le frontiere chiuse, chiusissime nei confronti dei rifugiati. Alcuni muoiono nel passaggio e invece i capitali possono girare liberamente da una parte all’altra, senza padroni e senza neanche pagare le imposte. Si vive una situazione di globalizzazione anche in questo caso. Ma la globalizzazione è solo di qualcuno, di qualcuno che si vive tutti i benefici e gli altri, invece, no. Soprattutto il ruolo dello Stato oggi non può essere quello che viene indicato: “non è un mio problema, devo ridurre il debito anzi, abbiamo fatto fin troppa spesa”. Deve esserci un ruolo attivo dello Stato, che comunque cerchi di calmierare questa situazione. Però sì, io sono per scendere in piazza il 25, scenderò sicuramente. E poi sono di Roma, quindi scenderò...

Così magari ci vieni a trovare in redazione, se vuoi, sei hai un po’ di tempo...

Dai, vi vengo a trovare...

Un’ultima battuta. Hai parlato della tua attività all’interno di un’associazione, forse è giusto anche parlare del collettivo, a nome del quale anche sei intervenuta nei confronti di Romano Prodi.

Diciamo che non sono intervenuta a nome del collettivo, ma comunque il mio intervento non era solo personale...

Ah, ok, hai fatto bene a specificarlo...

Comunque noi abbiamo due anime. Abbiamo un’associazione che è Rethinking economics a Bologna, che è un’associazione a livello nazionale e che, appunto, si batte per introdurre un pluralismo all’interno della educazione economica. Quindi si batte, da un punto di vista teorico, e anche da un punto di vista politico, sull’introduzione del pluralismo. Poi c’è il collettivo di economia, che invece è quello che si occupa di mettere in pratica l’approccio teorico che noi abbiamo elaborato nel corso del tempo da un punto di vista più politico, quindi... sì, c’è un po’ di vigore ad economia...

Meno male. Noi ti ringraziamo per la tua disponibilità Cristina, e ti ringraziamo anche per quell’intervento che hai fatto. Hai parlato a nome di tantissime persone...

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