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26/02/2017

Alitalia. Il business sta nel farla fallire?

Intervista realizzata all'interno della trasmissione "Anubi – Contro lo sciacallaggio mediatico" in diretta su Radio Città Aperta. 

L’Alitalia è tornata ancora una volta nel cerchio di fuoco di una crisi paralizzante nonostante sia stata privatizzata da anni. Una condizione che smentisce clamorosamente quella vulgata per cui “i privati lo fanno meglio”... Ne parliamo con Antonello, che è un rappresentante sindacale Usb proprio in Alitaila, nonché uno che in Alitalia ci lavora...

Grazie della tua disponibilità. Ci devi aiutare – a noi e a chi ascolta – a capire due cose: la prima è entrare un po’ nel merito di questa ennesima crisi di Alitalia, come è nata e che prospettiva c’è di risolverla. Si parla sempre poi di ricadute occupazionali importanti, perché sappiamo che le crisi aziendali si risolvono sempre con i lavoratori che perdono il posto di lavoro. E poi anche fare una passeggiata, un excursus storico in quanto questi anni è stata devastata questa compagnia aerea, Alitalia, che un tempo rappresentava... noi non siamo per nulla nazionalisti, ma un fiore all’occhiello negli asset del nostro paese – messo in piedi con il contributo di tutta la popolazione – e adesso sembra essere ogni anno in condizioni peggiori. Immaginiamo che la responsabilità – anzi ne siamo certi – sia di chi la gestisce e chi l’ha gestita negli anni, non certo di chi ci lavora. Partiamo dalla crisi di adesso, che tra l’altro, è arrivata ad un punto interessante nel pomeriggio (di venerdì, ndr) o ancora non ci sono novità?


 Vi avrei voluto dare qualche notizia in diretta, purtroppo non ce ne sono ancora. Le sigle sono tutte chiuse ancora al tavolo con l’azienda perché ci sono state delle novità negli ultimi due mesi, un’accelerata dell’azienda sul rinnovo contrattuale che è scaduto il 31 dicembre. Purtroppo non prevedeva l’ultrattività, per cui per i nuovi addetti al lavoro di fatto il contratto decadeva alla scadenza; o almeno una parte di esso. E l’azienda vuole imporre ai suoi lavoratori un regolamento aziendale, che non è il contratto nazionale firmato giustappunto 2 anni fa. Siamo ancora in una fase di stallo. Proprio ieri abbiamo finito 24 ore di sciopero, che sono andate bene nel limite del possibile, visto che l’azienda comunque ha cancellato tutti i voli non in fascia protetta... Gli scioperi si raccolgono nella manifestazione aeroportuale, perché di fatto il lavoratore non può esercitare il diritto di sciopero se il volo viene cancellato; sia l’operaio a terra che l’assistente o il pilota sta a casa, di fatto, il giorno di sciopero. Ormai l’Alitalia è diventata come i mondiali di calcio, ogni quattro anni c’è una crisi. Anzi, l’ultima volta addirittura due... La situazione è quella...

Tanto per non farsi mancare niente...

E certo, non ci facciamo mancare niente... Che dire? Ci vorrebbero tante ore per spiegare quello che è successo negli ultimi 15 anni nel mondo aeronautico, direi di iniziare proprio dalla storia, dal 2008...

Sì.

Da quello che è successo allora, dai 10 mila esuberi. Forse è stato quello un “cantiere sociale”, l’inizio di un declino del lavoratore a vantaggio del padrone con la difesa del governo; questo è quello che è successo ad Alitalia. Poi l’esempio è stato seguito da altre realtà, come la Fiat, e vedi anche tutto quello che succede nel mondo del lavoro oggi. Sono venuti, sotto la pena del “chiudiamo, perdete tutti il lavoro”; sono riusciti a licenziare, di fatto, 10 mila persone, ad abbassare il salario fino al 30% e ad andare avanti, perché bisognava privatizzare, perché la privatizzazione è bella, è buona, fa bene.

L’abbiamo visto...

Esatto. Tre fallimenti con la privatizzazione. E il governo ha continuato a mettere soldi, di fatto, nell’Alitalia; probabilmente molti di più di quelli che ha messo quando Alitalia era il fiore all’occhiello degli asset a partecipazione statale, ha continuato a mettere soldi e ha continuato a cambiare padrone, e di fatto ha continuato a fallire. Ma perché? In Italia volano compagnie di bandiera low cost – la deregulation ha voluto quello – ma di fatto, se noi andiamo a vedere, le compagnie low cost non volano con le regole di Alitalia, non volano con le regole delle compagnie italiane no? E nemmeno con quelle europee... Parlo di una compagnia specifica, dove i lavoratori non sono trattati esattamente come dovrebbero essere trattati i lavoratori italiani; e già questo farebbe capire perché non bisogna farli volare in Italia. Però questo è, di fatto. La Ryanair in Italia è considerata una grande azienda, un’azienda da proteggere e da tutelare, e di fatto è la compagnia che porta più passeggeri italiani in Europa, il 70 per cento. Questo ha provocato un evitabile collasso di Alitalia, che all’inizio aveva puntato sul medio raggio. Scelta sconsiderata, perché non puoi combattere con le low cost. Gli investimenti erano da fare sul lungo raggio, ma gli aerei per il lungo raggio diventavano una spesa troppo onerosa e così ci ritroviamo a punto e a capo ad oggi.

Hai raccontato una serie di decisioni sbagliate e folli, perché hai parlato del primo tentativo di salvataggio tra virgolette che fu quello del 2008, cioè quello, per capirsi, dei cosiddetti capitani coraggiosi, si parlava di quello...

Esatto, esatto... 

Di Berlusconi, per capirsi, no?

Esatto. Quello di Berlusconi che non ha voluto cederci ai francesi per regalarci alla “cordata italiana”...

E lì praticamente fu fatta la prima divisione tra bad company e good company...

Là ci fu un fallimento pilotato, di fatto, una italianizzazione della crisi, per come si risolvono le crisi in Italia. Un fallimento pilotato che non credo esista in nessun libro di giurisprudenza o di economia... Hanno messo i lavoratori in eccesso nella bad company, una compagnia che non esisteva, e i lavoratori invece che dovevano essere reinseriti nel circolo produttivo nella new company, con un contratto totalmente nuovo, con perdite salariali e quello che ne consegue. E da lì diciamo è iniziata la discesa, perché comunque puntarono anche loro sui voli di medio raggio, dove la concorrenza delle low cost è stata feroce, e di fatto si è arrivati al 2014. Gli arabi avevano promesso investimenti... Nel 2014 la situazione diventa un po’ più complessa. Oltre all’avvento degli arabi, è stato firmato allora il contratto nazionale oggi vigente, che dovrebbe essere rispettato da tutte le realtà aeronautiche in Italia. Di fatto, però, il contratto nazionale viene applicato solo da Alitalia e da nessun altra compagnia operante in Italia. Per cui qualsiasi compagnia viene in Italia, fa le regole sue, nessuno gli dice nulla, solo Alitalia deve rispettare quelle contrattuali. Questo di fatto che cosa crea? Una sorta di dumping, perché il padrone viene da noi e ci dice: “e no, voi guadagnate troppo rispetto a quelli”. Ho capito, ma se loro non pagano le tasse, dovreste rivolgervi a chi non gliele fa pagare, non certo a noi. La responsabilità cade inevitabilmente sul governo. Mentre i governi di tutta Europa hanno tutelato le proprie compagnie dall’avvento delle low cost – in Francia, mi viene l’esempio, e in Germania – in Italia tutto ciò non né accaduto, anzi. Hanno favorito la low cost piuttosto che la compagnia cosiddetta di bandiera, che infatti non c’è più.

Tutto questo è chiaro... Ti faccio però una domanda anche sul ruolo e, tra virgolette, le colpe che hanno avuto i sindacati all’interno della gestione Alitalia...

Qui sarebbe da aprire un discorso molto largo. Siamo in Italia... è in Italia che andrebbe analizzato, non solo in Alitalia... Io faccio sempre un esempio. A me pare che il sindacato in Italia, parlo della parte confederale perché sono loro che siedono ai tavoli, fondamentalmente la triste verità è quella. Se non c’è la firma di Usb, del sindacato di base, si preoccupano fino ad un certo punto. Se manca la firma della grande Cgil, anche se non rappresenta nessuno, è la grande Cgil. Ormai somigliano più che altro ai sindacati americani. Loro pensano all’occupabilità, non più all’occupazione. Troppe volte, dai rappresentanti o delegati dei confederali, ci sentiamo fare discorsi sul lavoro che non è più centrale... In Italia sta passando un’idea strana, che il lavoro non è più un diritto, è un favore. Cioè noi dovremmo ringraziare non so quale ente divino se abbiamo un posto di lavoro e dovremmo ringraziare loro, i sindacati complici, perché riescono per fortuna a farcelo tenere. E questa non è una mentalità propriamente da sindacato. Il sindacato deve tutelare i lavoratori, tutti... non tuteli solo dove hai iscritti o, peggio ancora, dove pensi di fare iscritti. Il discorso è ampio. Parlo per esempio dei lavoratori di terra, in Alitalia. Hanno riempito a tappo di lavoratori precari, lasciando a casa i cassaintegrati; e questo cosa ha creato? Sacche di lavoratori che hanno il limite dei 44 mesi, ma li hanno superati – sono a 60 mesi – che però non vengono richiamati. Stanno a casa, perché stavano per superare i 60 mesi e dovevano, per la legge, essere assunti e passare a tempo indeterminato. Questi lavoratori che cosa formano? Degli eserciti di riserva, di fatto; dei ragazzi che sarebbero disposti anche a lavorare di meno piuttosto che perdere il posto di lavoro. 60 mesi sono tanti. E sarebbero anche disposti a dimezzare lo stipendio, ma non basta, perché tanto ci sono altri ragazzi che a loro volta dimezzeranno lo stipendio. Ma questi sono accordi che non vengono presi dal sindacato di base, per esempio. Questi sono accordi che prende il sindacato nazionale complice. Che non favorisce l’occupazione, ma fa sì che il lavoratore sia schiavo del lavoro.

Ok, Antonello, perfetto. Infatti era giusta una precisazione...

Ed è vero quello che avete detto voi. Ma anni e anni hanno portato proprio a questo, al disfacimento delle grandi aziende, di fatto.

Io vedo che in tutti i settori, noi – parlo della fascia di età che va dai 30 ai 40-45 anni – ci troviamo sempre a pagare per i nodi che vengono al pettine. Questo in Alitalia l’ho trovato molto, documentandomi per la puntata di oggi... Per favorire alcuni, penso che siano creati dei macro problemi anche di tipo economico, che poi immagino che tu e i tuoi colleghi vi trovate a dover dirimere però...

Negli anni ’80-’90 probabilmente l’azienda è stata diretta come un carrozzone. C’erano ancora delle sacche di privilegi, che ormai però non ci sono più in realtà da 20 anni. Il lavoro – faccio il caso dell’assistente di volo o del pilota – non è più quello degli anni ’80 e ’90. Non è più quello fatato degli alberghi di lusso e dell’essere abbronzati o alla moda... Ormai è diventato un lavoro un po’ più retribuito, con un po’ più di salario della media, sicuramente; ma un lavoro, un lavoro come altri. Sicuramente una certa, diciamo così, “morbidità” c’è stata nella gestione degli anni ’80 e ’90, come in tante altre realtà. Ma quello che ci troviamo adesso davanti è, probabilmente, l’ennesimo licenziamento di lavoratori a tempo determinato, l’ennesima riduzione salariale che porta, di fatto, a lavorare sotto il salario minimo europeo. Perché poi bisogna vedere con quali realtà uno si rapporta, perché se uno si raffronta con la realtà Ryanair – Ryanair è l’unica realtà, insieme a Walmart, dove il sindacato non può essere presente per contratto – se guardiamo Lufhtansa o Air France, che sono i punti di riferimento... E’ vero, noi abbiamo smesso di crescere dal momento che Air France e Lufthansa hanno cominciato a crescere. Noi non siamo più l’Alitalia dagli anni ’90. Però non credo che alla fine il conto lo debba pagare il lavoratore. Ecco, questo no.

Antonello, tornando all’attuale, la questione è questa: dopo il fallimento dell’esperimento berlusconiano, si può dire a chiare lettere, fallimento nel senso più letterale del termine...

E sì, siamo falliti di fatto...

Questa alleanza con Etihad, che sulla carta avrebbe dovuto portare... Ma questi management, queste persone che decidono – voi lavoratori avete assistito a dei cambi di management – ma possibile che siano totalmente incapaci a prendere decisioni? Una piccola riflessione in conclusione su questa classe imprenditoriale e manageriale che abbiamo in Italia che riceve sempre più favori dal punto di vista delle privatizzazioni e liberalizzazioni, ma non è nemmeno capace di mettere a profitto questi favori che gli vengono fatti dai vari governi... o è un business quello di far fallire Alitalia e i grandi asset, secondo te?

Guarda, non l’ho capito, giuro. Perché io non riesco a capire se sia un problema soltanto di investimenti, perché ovviamente per puntare su una politica industriale diversa – il lungo raggio, per intenderci, voli lunghi, quelli redditizi – ci vogliono i soldi per comprare gli aerei. Non so se è proprio un fatto che uno non può investire, per cui questi cercano di arrabattarsi e mettere pezze dove possono, e quando le pezze non ci sono più vanno a piangere dal governo per ottenere tagli, sconti, fino alla chiusura. Perché così si chiude. Così, se la situazione rimane questa, puoi durare altri due, tre anni... Un altro sconticino? Ma questo è. O si investe seriamente su Aliltalia e si investe seriamente sulla politica del lavoro in Italia, o se no tra altri due anni... Ci diamo l’appuntamento già oggi. Tra due anni a quest’ora mi richiamate? Va bene?

Sì. E non c’è più Alitalia...

Probabilmente...

Secondo te come lavoratore, e secondo il sindacato di cui sei un delegato, quale è la soluzione immediata da mettere in campo subito?

 E’ una soluzione che, se solo la dico, svengono cinque persone. Si chiama nazionalizzazione. Lo stato italiano negli ultimi 8 anni ha messo, in Alitalia, più soldi di quanto ne ha messi, andando a ritroso, dal 2008 al 1970. E’ un dato di fatto questo: tra casse integrazioni, solidarietà, immediati interventi sul salario, lo stato italiano ha messo molti più soldi nel periodo in cui è stata privata che quando era pubblica. Rinazionalizziamo l'azienda, non c’è altra via.

Grazie Antonello, buon lavoro.

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