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24/01/2017

L’assenza di idee alimenta il mito dell'”uomo forte”

I dati nella rilevazione degli umori che percorrono l’opinione pubblica appaiono assolutamente inquietanti soprattutto per la loro contraddittorietà.

Il 4 Dicembre scorso l’elettorato ha sancito, attraverso un’espressione di voto molto forte (circa 19 milioni di voti si sono raccolti su questo tipo di opzione) il rifiuto di una riforma costituzionale il cui effetto più importante sarebbe stato quello di sancire un meccanismo di forte concentrazione del potere verso un partito fondato comunque sull’autorità del personalismo (in ogni caso così si configurava il PD, così come si configurano il M5S e Forza Italia, quest’ultima addirittura esempio di scuola nel passaggio tra “partito – azienda” e “partito – proprietario”).

Nello stesso tempo, oggi, sulla base delle rilevazioni pubblicate sull’Atlante Politico di Demos & PI con il coordinamento di Ilvo Diamanti (Campione nazionale, metodo Cati – Cami – Caw, attraverso un campione al riguardo del quale si ritiene possibile un margine di errore del 3,1%) emerge un indicatore che segnala una situazione di vero pericolo: il 79% delle interpellate/i ritiene necessario affidare la guida del Paese a un “uomo forte” (“uomo” e basta è scritto nel quesito: tanto per chiarire l’intendimento).

Cosa significa affidarsi a un “uomo forte”: l’articolo che accompagna questi dati (pubblicato da “Repubblica”) chiarisce che elettrici ed elettori si sentono “orfani di un Capo” e che questo modello, del Capo per intenderci, è popolare soprattutto tra i giovani che risultano, d’altronde, i più disillusi dalla politica e dei partiti.

Un modello, quello dell’Uomo Forte, in costante crescita di popolarità: tra il 2004 e il 2016 il passaggio in percentuale è stato dal 49% al 79%.

Un’indicazione che accomuna elettrici ed elettori di tutte le tendenze e di tutte le età.

Dal punto di vista delle fasce demografiche si riscontra un 79%, eguale alla media complessiva, sia nella fascia tra i 18 e i 29 anni come in quella tra i 65 e più: ma la percentuale tra i 30 e 44 sale fino all’83%, determinando quindi quella prevalenza nelle fasce più giovani e attive che indicava poc’anzi.

Dal punto di vista dell’orientamento politico addirittura plebiscitario il riscontro tra le fila di Forza Italia, al 97%, minore ma molto alto nel PD al 78% e nel M5S, al 76%.

L’unica fetta di elettorato nella quale l’idea dell’uomo forte è minoritaria è quello di sinistra: la percentuale si colloca al 47%.

Tendenza molto significativa anche all’interno della vasta fascia dell’astensione: 77%.

In calo naturalmente la fiducia verso le istituzioni: l’indice, a questo proposito, al riguardo dello Stato tocca il 20%, mentre l’Unione Europea si situa al 29%.

Da rilevare ancora, però, elementi di forte contraddittorietà e di smarrimento alla base: prendiamo ad esempio l’elettorato del M5S, numericamente molto significativo (più o meno circa 8 milioni di voti) assolutamente incerto al riguardo della collocazione politica del Movimento stesso.

Il 30% si definisce di sinistra o di centro – sinistra, il 21% di destra o di centro destra, il 41% (fetta importante ma non maggioritaria) esterna a ogni collocazione.

Siamo di fronte, nella sostanza, a indicatori che segnalano – nella loro contraddittorietà – ancora una volta la debolezza del sistema, del quale potrebbe essere possibile anche un’implosione nella prospettiva di percorrere avventure di forte limitazione nel meccanismo di funzionamento democratico come apparentemente contraddetto invece dall’esito del referendum: sull’esito del quale non è il caso di dormire sonni tranquilli, in particolare se oggi la Corte Costituzionale dovesse confermare un impianto di legge elettorale forzatamente e ingiustificatamente maggioritario (con l’abolizione del ballottaggio, ma il mantenimento del premio alla dimensione della maggioranza assoluta della Camera).

Si tratterebbe, per contrastare questa deriva, di ripartire da due punti strettamente connessi tra di loro: la ricostruzione di soggetti politici condotti democraticamente al loro interno, rappresentativi di realtà sociali e strutturati attraverso diversi livelli di responsabilità funzionanti collegialmente e il ristabilimento del nesso tra questi soggetti e la rappresentatività politica all’interno delle istituzioni ribadendo l’assoluta centralità del Parlamento, in luogo del prevalere di un artefatto concetto di stabilità.

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