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26/01/2017

Habemus amatum. Il pasticcio della Consulta sulla legge elettorale

La legge elettorale uscita fuori dalla sentenza della Corte Costituzionale è un Italicum amputato “soltanto” del ballottaggio. Quasi un miracolo, vista la quantità di profili di incostituzionalità che erano stati sollevati nei mesi scorsi, anche se non sempre si erano tradotti in “quesiti” ufficialmente posti alla Consulta. E, com'è perfino giusto, i giudici costituzionali non debbono esprimersi su temi per cui non sono stati espressamente interrogati.

Vediamo un attimo il dettaglio della sentenza. L'impianto dell'Italicum è rimasto pressoché immutato perché l'eliminazione del ballottaggio abolisce il secondo turno e nient'altro. L'unica altra norma “corretta” (non abolita) riguarda la facoltà del candidato eletto in più collegi di scegliere quello che più gli aggrada, “punendo” implicitamente un eletto del suo stesso partito magari poco subordinato ai suoi voleri.

In pratica, resta una legge elettorale che è basata sul principio proporzionale quasi puro, con una soglia di sbarramento al 3% e un premio di maggioranza che scatta solo al di sopra del 40%. Un livello considerato in questo momento irraggiungibile secondo tutti i sondaggisti, ma che sembrava a portata di mano – per Renzi e il Pd – quando la soglia era stata pensata. Giustamente, come scrive il costituzionalista Massimo Villone, su il manifesto di oggi, “La distorsione della rappresentatività dell'assemblea elettiva è molto alta, pur con la soglia del 40%. Conta poco che sia difficile per un singolo partito raggiungerla. E' decisivo, per la costituzionalità, che la distorsione sia possibile, non che sia probabile o certa... E rileva infine che la soglia può solo rafforzare il disegno di partito della nazione”. In termini più politici: per raggiungere il 40% si mette in moto un processo aggregativo verso “listoni” che, per esser certi di superare gli avversari (oggi soltanto i grillini, sul piano elettorale, domani chissà chi) devono tener dentro tutti. Insomma: una fusione fredda tra l'attuale Pd (o quel che ne resterebbe), Forza Italia e ovviamente Alfano, Verdini, pezzi di Sel, ecc.

Ma restiamo in campo di costituzionalità.

La sentenza giudica oggi legittima una distorsione della rappresentatività che solo due anni fa – quando venne annientato il Porcellum – era ritenuta illegittima. Non c'è infatti una differenza significativa tra “chi prende anche un solo voto in più prende tutto il premio di maggioranza” (come nel porcellum) e una soglia minima posta al 40%. Perché – accogliendo l'argomentazione dei Villone – ci potrebbero teoricamente essere due “listoni” che superano entrambi quella soglia. E a quel punto “chi ha un voto in più” prende tutto.

Anche la scelta di non cassare i capilista bloccati è una immensa concessione a una distorsione radicale della rappresentanza. Stiamo parlando di 100 collegi elettorali in cui tutti i principali partiti (Pd, M5S, Forza Italia forse un po' meno) otterranno di sicuro almeno un seggio. Dunque avremo una Camera popolata – come oggi con il porcellum – di “nominati” dai padroni dei partiti (tra l'altro tutti e tre fuori del Parlamento: Renzi, Grillo e Berlusconi), che per assicurarsi la rielezione possono soltanto obbedire sempre o cambiare casacca. Gli unici deputati “veri”, entro certi limiti, saranno quelli arrivati secondi o terzi; ma saranno una minoranza.

A margine, fa quasi ridere il fatto che pur di non cassare la “norma Alfano” (pare sia stato l'attuale ministro degli esteri e segretario Ncd a volere la possibilità di correre in più colleghi e poter scegliere quello dove risultare eletto) la Consulta abbia dovuto riesumare dalle catacombe una sconosciuta norma della legge elettorale del 1957 (1957!) che affida al sorteggio la scelta.

Tanta perizia fa pensare che il “dottor sottile” abbia lavorato ai fianchi per settimane tutta la Consulta, pur di partorire una legge elettorale “costituzionalmente passabile” e perfettamente rispondente ai desideri dei due capibastone che possono sbarrare la strada ai “grillini” soltanto alleandosi il giorno dopo le elezioni. Per molti motivi, infatti, i due elettorati (che credono ancora di essere rispettivamente di centrodestra e centrosinistra) risulterebbero difficilmente mescibili all'interno delle urne. Il sistema proporzionale – non per caso – era stato apertamente chiesto da Berlusconi e assunto come una “eventualità che non vogliamo, ma che potrebbe diventare necessaria” da Renzi.

Dunque non è una forzatura dire che questa sentenza formalizza una legge elettorale definibile come Amatum.

Resta ovviamente in piedi la "disomogenità" tra i sistemi elettorali per la Camera e il Senato, che potrebbe far slittare a febbraio – scadenza naturale della legislatura – la data delle elezioni. Ma su questo, al momento, è inutile mettersi a fare i futurologi.

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