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23/12/2016

Libano - Il governo Hariri e il bivio di Hezbollah

di Davide Lemmi

Il Governo di Saad Hariri è appena stato formato. L’annuncio dei 30 ministri che formano il nuovo esecutivo di unità nazionale è il frutto di una lenta contrattazione e un dosaggio tra le varie parti in campo. Il ponte tra gli sciiti di Hezbollah e i cristiani maroniti del Movimento Patriottico Libero è stato il protagonista delle ultime vicende politiche libanesi.

Sul nuovo Governo, e più in particolare sulle scelte e sul ruolo di Hezbollah nell’esecutivo, abbiamo sentito Francesco Mazzucotelli, professore di storia della Turchia e del vicino oriente all’Università di Pavia. Il docente ha inoltre frequentato e svolto attività di ricerca all’American University of Beirut, dedicando al tema Hezbollah gran parte dei suoi studi.

Un nuovo Governo di unità nazionale si apre in Libano, l’asse Hezbollah-Aoun è stato fondamentale al raggiungimento di questo obiettivo, ma quanto è solido questo patto?

L’alleanza tra Hezbollah e Aoun si è dimostrata solida negli ultimi dieci anni e i recenti discorsi di Nasrallah non mi pare lascino presagire un cambiamento radicale di rotta. Penso che vada sempre sottolineato il carattere strumentale di questo tipo di alleanze, che sono più matrimoni di convenienza che non coalizioni organiche. Nell’autunno del 2006 Hezbollah e Aoun erano fortemente accomunati dall’opposizione al governo di Fouad Siniora; oggi molte cose sono cambiate, anche nei rapporti all’interno della comunità cristiana, ma non al punto da mettere in discussione l’interesse comune tra i due partiti. Attualmente mi sembra interessante cercare di capire la posizione del movimento Amal, svantaggiato dell’accordo che ha portato all’accoppiata Aoun-Hariri.

Cosa ha spinto Hezbollah ad avallare la creazione di questo esecutivo?

In Hezbollah convivono queste due anime, che con lessico italiano potremmo chiamare così: una più “movimentista”, legata alla retorica della resistenza e dell’opposizione al sistema clientelare confessionalista, e una più “governista”, che tiene un piede all’interno delle istituzioni. Si potrebbe affermare che Hezbollah ha cercato di essere “partito di lotta e di governo”. Le contraddizioni sono lampanti: è incoerente dire di essere contro il confessionalismo e allo stesso tempo partecipare alla spartizione confessionalista del potere. Credo che alla lunga queste incongruenze possano essere nocive. Se da una parte quando si tocca l’argomento occupazione Israeliana nel Sud del Libano sono tutti d’accordo e le contraddizioni scemano, dall’altra, storia più attuale, la partecipazione di Hezbollah al conflitto siriano ha accresciuto la sensazione di incompatibilità tra le due anime che compongono il movimento. In politica interna la pretesa di diversità morale del “Partito di Dio” rispetto agli altri movimenti, soprattutto rispetto ai cugini e avversari di Amal, è stata messa in discussione dalle proteste dell’estate 2015 per la crisi della raccolta dell’immondizia. In quell’occasione, Hezbollah è stato di fatto accomunato a quella che, sempre con lessico italiana, verrebbe definita la “casta” della classe politica confessionale/clientelare libanese.

Quale partita vorrà giocare adesso in politica interna Hezbollah?

L’ipotesi che sostengo, anche in un capitolo del libro “Lebanon facing the Arab uprising”, pubblicato da Palgrave, è che Hezbollah adotti un linguaggio sempre più confessionale. Esempio di ciò è l’opposizione ai gruppi takfiri e la difesa dei luoghi santi sciiti. Il rischio connesso è un progressivo calo di consenso all’interno della comunità sciita. Le difficoltà sono strettamente connesse ai costi umani della guerra in Siria e alle condizioni materiali di vita in Libano. Se questa intuizione fosse corretta, si aprirebbe la strada a domande quali: che tipo di interessi sociali Hezbollah rappresenta nella pratica, al di là della filosofia e delle parole? Che tipo di politiche economiche e di sviluppo sostiene? Il malcontento del 2015, che ha preso di sprovvista alcuni esponenti e li ha portati ad ammettere che qualcosa doveva essere ricalibrato, è stato un fuoco di paglia o è la spia di un disagio a cui Hezbollah cercherà di rispondere? E sarà una risposta strutturale o populista? Il governo Hariri nasce teoricamente come governo a termine, quindi teoricamente con obiettivi limitati, ma non è detto che le cose andranno veramente così.

Il Partito di Dio spinge particolarmente per un sistema elettorale di tipo proporzionale, quali sono i vantaggi?

Come in Italia, anche in Libano si parla continuamente di legge elettorale. Io ne sento parlare dal 2000. Nessun sistema è però in grado di accontentare tutti, nel senso che o sacrifichi il bilancino della rappresentanza confessionale connessa a quella territoriale o sacrifichi la possibilità di presentare liste disgiunte dai giochi confessionali. Ogni sistema, sia il collegio unico nazionale sia collegi molto piccoli a base locale, ha i suoi pro e i suoi contro. Io non credo che, allo stadio attuale, cambierebbe molto per Hezbollah in termini di numeri di seggi. Ci sarebbero effetti per i partiti “minori” associati a ciascun campo, ma le variabili sono talmente tante che è difficile fare pronostici o disegnare scenari precisi.

La politica estera di Hezbollah, in particolare la Siria, ha spaccato in due il paese, ma lo ha consacrato a potenza regionale. Quanto peseranno in positivo e quanto in negativo le mosse esterne del Partito di Dio alle prossime elezioni di maggio?

Non so se la posizione di Hezbollah avrà un effetto elettorale. L’elettorato è fidelizzato e il combinato di divisione dei seggi su base territoriale e su base confessionale indebolisce gli outsider. Alle elezioni municipali ci sono state quest’anno parecchie sorprese, ma credo che sia difficile replicare nelle elezioni parlamentari. Alcuni sintomi di malcontento in una parte della comunità sciita probabilmente ci sono, ma è difficile che si traducano in un flusso elettorale. A me sembra più plausibile, al più, l’inizio di una disaffezione.

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