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28/10/2016

Iraq - Mosul spacca il fronte anti Isis

La battaglia per Mosul prosegue con la lenta ma continua avanzata del composito fronte anti-Isis verso il capoluogo della provincia di Ninawa. Ad emergere in questi giorni sono due elementi: la fuga dei civili, di chi riesce a superare le linee islamiste, fatte di cecchini e campi minati; e l’uso sempre più frequente di armi chimiche da parte del “califfato”.

Un dato che non va sopravvalutato: al di là del numero di feriti e morti che ha già provocato (centinaia le persone che hanno sofferto per l’inalazione di gas), simili armi mostrano ancora una volta la potenza di fuoco dell’Isis. Non certo casuale: oltre agli equipaggiamenti militari confiscati alle forze irachene nel 2014, per anni lo Stato Islamico ha ingurgitato ingenti armamenti provenienti dal Golfo, via Turchia, di elevato livello tecnologico che apre alla responsabilità diretta di certi soggetti regionali nella destabilizzazione dell’area. Ieri le Unità di Mobilitazione Popolare, le milizie sciite, hanno denunciato il sequestro di munizioni in possesso degli islamisti e di provenienza turca e saudita.

L’esercito iracheno si è portato, intanto, a poco più di 30 km da Mosul, riprendendo i villaggi di Nana e Staff al-Tut e la base militare di Janin, a est della città. A protezione delle comunità liberate, fa sapere il generale al-Jabori, sono state poste le milizie delle tribù locali sunnite. Da Erbil arrivano contraddittori segnali di distensione: il primo ministro del Kurdistan iracheno, Nerchivan Barzani, ha detto che le forze peshmerga non entreranno a Mosul per evitare l’esplosione di ulteriori settarismi.

Allo stesso tempo, però, Barzani ha avvertito Baghdad: l’amministrazione della città dovrà essere discussa dalle diverse anime del fronte anti-Isis. Parole che svelano il timore che assilla molti in queste settimane di controffensiva, il possibile conflitto futuro intorno alla seconda città irachena, rivendicata da più di un attore, con l’incendiaria Turchia in prima fila. Ma ci sono anche le forze vicine all’Iran: ieri le milizie sciite hanno annunciato l’apertura di un nuovo fronte, il lancio di un’offensiva a ovest di Mosul. Da Qayyara, a sud, verso Tal Afar, roccaforte islamista sul lato ovest del capoluogo: una mossa che, se dovesse funzionare, porterebbe all’accerchiamento dell’Isis finora attaccato a nord dai peshmerga e a sud e est dalle truppe governative.

Ad accompagnare screzi e avanzata militare sono le barbarie dello Stato Islamico, messo all’angolo. Mentre i leader militari se la danno a gambe e fuggono nella siriana Raqqa, i miliziani blindano la città e reprimono con inaudita violenza ogni forma di resistenza o rivolta. Dopo l’esecuzione di quasi 300 giovani e uomini, gettati in una fossa comune nell’ex facoltà di Agraria di Mosul, e l’uccisione di una 60ina di miliziani accusati di voler ordire un golpe, l’Isis ha compiuto una nuova strage: ha rastrellato decine di prigionieri nei villaggi vicini, per lo più ex membri dell’esercito iracheno o della polizia, e li ha giustiziati. Contemporaneamente porta via intere famiglie dalle periferie per usarle come scudi al momento della guerriglia urbana con il fronte anti-Isis.

Chi può fugge, a piedi, con poche cose con sé. Circa 16mila persone, dice l’Onu, sono riusciti a lasciare i dintorni della città. Mille di loro sono state evacuate dalle forze di élite, dal contro-terrorismo iracheno, mentre nuovi campi vengono messi in piedi dalle organizzazioni internazionali. Per ora la fuga di massa attesa dalle Nazioni Unite non si è ancora registrata, ma il tempo stringe: il milione e mezzo di persone ancora a Mosul non riesce ad andarsene, se non pagando miliziani-trafficanti che li accompagnano fuori dalla città attraverso campi minati e trincee. Ma sono pochissimi. Gli altri sono sotto il controllo continuo e capillare dei miliziani che sanno che la popolazione civile è la migliore difesa.

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