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28/10/2016

Egitto: la crisi morde il regime

Povertà vecchia e nuova – Dal Cairo giungono simili notizie: un ristoratore che finora pagava un suo cuoco attorno alle 1000 lire egiziane mensili (oltre 800 dollari, casi rari ma esistenti) con l’inflazione in corso si troverà a raddoppiare e forse triplicare il salario fino a 2500 dollari attuali. Ma il valore di quel denaro non sarà più tale per la svalutazione monetaria in corso nel Paese e la caduta d’ogni potere d’acquisto. La crescita inflattiva (+14% a settembre) e l’aumento del costo della merce stanno rendendo difficile la vita quotidiana, anche a quei ceti dallo stipendio certo, figurarsi al 28.8% di abitanti annoverati come poveri. Quest’ultima percentuale è ufficiale, dunque contratta per difetto. La stima di poveri e impoveriti è aumentata perché l’economia da oltre cinque anni segna il passo e non migliora affatto. L’ultimo prestito del Fondo Monetario Internazionale all’Egitto ammonta a 12 miliardi di dollari ed è giudicato dal governo sufficiente per sostenere un’economia malaticcia, però in grado di tirare avanti. Per quanto tempo? Anche gli economisti interni s’interrogano sull’incertezza scaturita dalla scarsità di capitali esteri e conseguenti investimenti. Nel corso dell’estate l’incremento dei prezzi è stato generalizzato, dall’olio, farina e zucchero – che in alcuni casi i grossisti hanno problemi a reperire – all’elettricità. Aumenta tutto e gli osservatori affermano che in un Paese importatore per 60 miliardi di dollari ed esportatore per 20 miliardi, qualsiasi carenza monetaria può significare una mancanza delle più svariate forniture.

Ceto medio addio – Qualche mossa, a metà strada fra il demagogico e l’autolesionista, il governo la compie. Scontenta i ceti più indigenti risparmiando sui sussidi e aumentando il prezzo dei pubblici servizi, introduce una nuova tassa (chiamata Vat) che avrà l’effetto di riversarsi sui prezzi dei principali prodotti. Al contempo cerca di convincere la popolazione a sacrificarsi: “Le coraggiose riforme accorceranno la strada” “Possiamo razionare i consumi, ridurre le importazioni” inneggiano con enfasi i cartelloni pubblicitari che svettano negli angoli più in vista della capitale, come il viadotto 6 Ottobre nei dintorni di Tahrir. Nel cerchiobottismo del regime è prevista anche la carotina, così da qualche settimana esecutivo e apparato militare (gestore di molti prodotti e approvvigionamenti agricoli) hanno lanciato una campagna di offerta della merce a prezzi scontati. Secondo alcuni economisti, mentre la rete di sostegno sociale creata dal governo può aiutare casi singoli, nell’insieme essa non può mitigare l’impatto dell’inflazione, soprattutto su un ceto medio reso molto vulnerabile. Studi internazionali (Rapporto sul benessere sociale) stimano che questo strato della popolazione raccoglie attualmente solo il 5% degli egiziani, con una caduta del 48% nell’ultimo quindicennio. Dal canto suo la Banca mondiale ha calcolato una diminuzione della classe media egiziana dal 14% al 9.8% dal 2000 al 2010. Forse la forbice fra i due studi è troppo ampia, sebbene l’ultimo quinquennio rappresenti il buco nero di quell’entrata che rivaleggiava coi dazi doganali del Canale di Suez: gli introiti turistici. Entrambe sono le voci cardine del Pil nazionale.

Diritto allo studio, un lusso – La stampa ufficiale interna (Al-Ahram) ha indagato fra categorie di lavoratori ancora considerate sicure: gli addetti a una società energetica, che nelle ultime stagioni hanno conosciuto addirittura un aumento di stipendio, ma il cui potere d’acquisto risulta pur sempre fortemente diminuito. Costoro, in quella che era la classe media, sono soggetti a rinunce: devono considerare surplus e beni di lusso anche lo studio dei propri figli. Non solo l’iscrizione all’università, ma la stessa scuola superiore sta diventando un miraggio. In queste famiglie un tempo agiate, la merce che fa tendenza e che viene inseguita, ad esempio i cellulari, si possono acquistare solo a scapito di vacanze o qualche viaggio. Ribadiamo: si parla di gente che poteva permettersi simili svaghi e fatica a mantenere lo status oppure l’ha dovuto abbandonare. Per loro oggi è un lusso garantire ai figli lo studio, un’abitazione dignitosa, una mobilità comoda tramite un’auto privata. I grandi progetti statali (raddoppio canale di Suez) hanno esaurito le riserve estere e alcuni economisti affermano che, accanto ai lavori pubblici, l’attenzione nazionale dovrebbe essere rivolta all’incremento di attività produttive. Per ora il refrain dei sacrifici individuali e collettivi viene rilanciato da personaggi pubblici che mettono la propria faccia al servizio della nazione e di chi la dirige.

“Il controllo della gente” – Amr Adib, noto anchorman televisivo s’è gettato a capofitto nell’iniziativa chiamata “Il controllo della gente” che si propone di abbassare i costi delle materie prime e degli stessi profitti commerciali del 20%. E’ un appello trasversale rivolto ai magnati di produzione e commercio, dunque a certi tycoon come Sawiris e Salem mai usciti dal grande giro affaristico, e ai mercanti di grande e piccolo calibro, Forze Armate comprese. Si tratta di un’iniziativa un po’ populista ma concreta che comunque, secondo certi esperti, pur mitigando i contraccolpi sociali non durerà più di qualche mese. Al di là dei proclami le misure del governo si dimostrano impotenti di fronte a un’inflazione crescente che abbatterà il potere d’acquisto di strati sempre più vasti della popolazione su ogni tipo di merce. E poiché la situazione è diventa addirittura più critica dei tempi di Mubarak, c’è chi pronostica l’ennesima esplosione di rivolte di piazza, sebbene la repressione continui a essere durissima. Non da impedire le azioni di nuclei armati. Una settimana fa un commando ha freddato davanti alla sua abitazione il generale Adel Ragaei, fedelissimo di Sisi, che aveva diretto la distruzione dei tunnel del contrabbando sul confine fra la cittadina di Rafah e la Striscia di Gaza e organizzato i trasferimenti forzati degli abitanti di quel territorio. Un agguato probabilmente condotto da gruppi dell’opposizione al regime dislocati nel Sinai, attivi in proprio o in connubio col jihadismo filo Isis. E la mancanza di sicurezza e l’instabilità tengono a distanza qualsiasi investimento estero.

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