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27/10/2016

Ecrasez l’infame

Tra le molte derive linguistiche della sinistra rosa, ce n’è una davvero significativa: quella di procedere per “scomunica rossobruna” verso qualsiasi posizione politica dell’universo mondo che non coincida pedissequamente con le proprie teorie post-moderne sull’uomo e il suo destino. Tutto rientrerebbe nel distopico universo online in cui, in genere, prendono vita, divampano e rapidamente muoiono le dispute politiche del XXI secolo. Eppure in questo caso la questione ci sembra leggermente più problematica. Da qualche tempo una fitta(?) schiera di scienziati sociali, twittologi, facebookers, pinterestomani, instagrammofoni, alle prese con lo smascheramento del complotto neofascista mondiale, indaga sulla natura rossobruna di “certa sinistra”.

Siccome la tesi, che condividiamo, è che il “rossobrunismo” non sia altro che neofascismo mascherato, delle due l’una: o i rossubruni sono in tutto e per tutto neofascisti, quindi da combattere con ogni mezzo necessario (come ammette vigorosamente la schiera di neofascistologi), oppure il rossobrunismo è solamente un’accusa morale rivolta al “compagno che sbaglia” o che non è in linea con le posizioni della suddetta sinistra. Propendiamo nettamente per la prima ipotesi, ma a leggere certi dibattiti il dubbio è più che legittimo. Visto che rossobruno e neofascista sono sinonimi, dev’essere in corso un cortocircuito mentale di vaste proporzioni nell’universo internettiano “di sinistra” (“universo” che ha però le dimensioni di un satellite di un pianeta nano, in questo caso). Da qualche tempo va di moda, anzi fa proprio fico nei circoli della sinistra bohemian rhapsody, dare dei rossobruni alla Banda Bassotti. Rossobruni, cioè in pratica neofascisti. Alla Banda Bassotti.


Qui il delirium tremens.

Facciamo un bel respiro, contiamo fino cento, ecco... possiamo riprendere.

La Banda Bassotti, senza nulla togliere a una numerosa serie di grandi gruppi musicali militanti, è un’esperienza unica nel suo genere in Italia e in Europa. E’ l’esperienza di un collettivo di manovali, operai, proletari della periferia romana, che da trent’anni – non tre settimane, trent’anni – continuando ad essere manovali, è anche il più famoso e importante gruppo musicale della scena militante, antifascista e comunista in Italia. E’ una di quelle esperienze che andrebbero salvaguardate, davanti a cui ci si dovrebbe inchinare, al netto e a prescindere delle diverse posizioni politiche che si possono avere, ovviamente. Fa parte di un mondo che non c’è più, scomparso da tempo, quando la sinistra era capace di politicizzare certo proletariato metropolitano, attirando a sé pezzi di società altrimenti destinati alla rassegnazione esistenziale o alla delinquenza comune. Senza essere dei “militanti politici” in senso stretto, sono presenti nelle lotte di classe cittadine e internazionali dagli anni Ottanta. La loro musica ha creato più immaginario anticapitalista che il resto del cosiddetto “movimento” messo insieme in questi anni. Dare dei fascisti alla Banda Bassotti non significa tanto equivocare un termine, quello di rossobruno, possibile solo nel mondo artificiale della rete (perché dal vivo, chissà come mai, tutti tornano a più miti consigli: quando un uomo con la tastiera incontra un uomo con la cucchiara, in genere l’uomo con la tastiera è un uomo morto). Significa promuovere un’idea di mondo per cui tutto ciò che si contrappone all’esasperato particolarismo dei nostri percorsi ultra-minoritari viene relegato a fascismo, criptofascismo, rossobrunismo, autoritarismo, sovranismo, eccetera. Peraltro, considerazione marginale ma non meno importante, internet ha abolito il senso del rispetto. Bollare come neofascisti un collettivo di operai dalla comode poltrone del commentatore online racchiude egregiamente certo spirito dei tempi.

Ovviamente il discorso sul rossobrunismo può essere trasferito a tutta un’altra serie di epiteti utilizzati come clave attraverso cui randellare la sinistra comunista. Il più bello è “sovranismo”, con cui bollare tutti coloro che parlano di “sovranità”, non si capisce come e quando divenuto in questi ultimi anni sinonimo di fascismo(!!). E’ la valanga post-moderna che ci travolge. La deriva attraverso cui legittimare, scomunicando tutto il resto, una visione del mondo per cui dileguate le ideologie, finita la Storia – quella con la S maiuscola – non ci resta che l’eterno presente con cui fare i conti, le nostre piccole storie quotidiane, la ricerca di senso che parte dal proprio io individuale e dalle nostre micro-comunità zoologiche. Un “potere” da condizionare, limitare, controllare, frenare, arginare, ma mai da conquistare. Un’ideologia che si serve solo di esperienze particolari e mai di analisi generali (bollate tutte come “geopoliticismo”, altro neologismo caro ai neofascistologi d’ogni latitudine che, ormai, mettono nello stesso calderone geopolitica e antimperialismo, catalogando il tutto come rossobrunismo, quindi neofascismo), frutto di un cinquantennio di egemonia filosofica della cosiddetta italian theory che è un miscuglio sconsiderato di operaismo+foucaultismo+cassonettibruciati. Tutto avviene nella virtualità delle proprie second life online, ovviamente. Perché la vita, così come la storia dell’uomo, è fatta di rapporti di forze. Che invece sono materialissimi, e a volte fanno anche male.

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