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30/09/2016

Russia: dai “democratici” degli anni ’90 ai liberali

Sono passati più di dieci giorni dalle elezioni per la Duma, che hanno visto il partito presidenziale “Russia Unita” assicurarsi 343 deputati su 450 e, nei dibattiti televisivi serali, mentre gli esponenti dei partiti sconfitti accusano i rappresentanti di quello vincitore, di condurre una politica governativa filooccidentale, i secondi, senza sentirsi minimamente offesi, sottilizzano trattarsi invece di una politica liberale. Gli unici a sentirsi lesi sono i liberali dichiarati, che non hanno raccolto nemmeno il minimo di voti per mandare un rappresentante alla Duma.

“Il Ministero delle finanze uccide la Russia”, titolava pochi giorni fa il sito tsargrad.tv. Il tema non è nuovo: a febbraio gli assegni ai pensionati non più occupati furono indicizzati solo del 4%, invece che del 13%, secondo l'inflazione del 2015 e da tempo si parla della possibilità di non indicizzare affatto, per tre anni, gli assegni ai pensionati che continuano a lavorare. Ora il discorso verte sui pensionati che, lavorando, guadagnano più di 500mila rubli l'anno, circa 42mila rubli al mese. Vero è che, secondo cifre riprese anche dal PC russo, oltre due terzi di lavoratori guadagna poco più (e certe volte molto meno) di 15mila rubli al mese. Però, nota tsargrad.tv, è un fatto che il cosiddetto “blocco economico-sociale del governo stia da tempo sabotando le direttive più importanti del Presidente”. Difficile stabilire esattamente quanto reale sia la contrapposizione tra “ministri liberali” e presidente, soprattutto sulle questioni della politica economica; di fatto, da mesi sono fermi gli stipendi di insegnanti e operatori della sanità e “si riducono i contributi assistenziali agli strati più indifesi della società”. Secondo l'economista Mikhail Deljagin, la proposta del Ministero delle finanze di indicizzare di 36 rubli (0,5 euro) gli assegni per i minori invalidi non è altro che “la prosecuzione della politica liberale di Egor Gajdar”, forse la figura più tristemente rappresentativa del corso eltsiniano negli anni tra il 1991 e il 1994.

“Da 4 anni e mezzo continua il sabotaggio delle normative. Sono 4 anni e mezzo che nessuno è stato toccato e tutti i liberali sono al proprio posto. Nessuno fa i conti con loro ed essi continuano a distruggere l'economia, con metodo", dice Deljagin, che ricorda come nel maggio 2012 Putin avesse emesso la direttiva sull'aumento di stipendio per insegnanti e medici. Ma “il governo ha agito in modo semplice: ha preso i soldi dalle regioni e ha poi scaricato su di esse l'obbligo di attuare il decreto. Come risultato, alcune regioni hanno contratto debiti per attuarlo, altre hanno ridotto il numero di insegnanti e medici e altre ancora hanno fatto entrambe le cose”. Il peggio è, sostiene Deljagin, che i soldi così risparmiati su invalidi, medici, insegnanti, non giacciono fermi da qualche parte, ma "per lo più sono investiti in titoli dei nostri avversari strategici, USA e paesi dell'Unione Europea”.

Anche la presidente della Banca Centrale, Elvira Nabiullina, sembra ripercorrere la strada dell'ex-ministro delle Finanze Aleksej Kudrin: “la politica degli anni '90, di strangolamento dell'economia russa per mezzo di una fame artificiale di denaro – avrebbe favorito l'esportazione dal paese di 150 miliardi di $ – per ridurre l'inflazione a un livello da cimitero. L'intero blocco economico-sociale dello stato è costituito da persone che continuano la politica degli anni '90. Si accentrano le entrate nelle mani del centro federale e si scaricano gli impegni sociali sulle regioni. Se si crea una classe di miliardari, che servono gli interessi del business occidentale, essi sono ufficialmente i proprietari del paese. Se si concentrano tali mezzi colossali in mano a così pochi, vuol dire che bisogna derubare tutti gli altri. L'1% delle famiglie possiede il 71% delle attività private del nostro paese". Secondo le statistiche ufficiali, nel 2015 il livello dei consumi si è ridotto del 10% ma, “tenendo conto del dimezzamento dell'inflazione e del fatto che lo strato superiore delle persone nella nostra società non fa che diventare sempre più ricco, ne risulta che per il 90% dei cittadini lo scorso anno il livello dei consumi si è ridotto del 25%".

Deljagin ricorda come, nei Paesi baltici, con una simile politica, la popolazione si sia ridotta di un quarto; oggi in Russia 20 milioni di persone hanno redditi inferiori al minimo di sopravvivenza: “si tratta di lavoratori, non di pensionati; viene loro garantito quel minimo di sopravvivenza e, con la costante riduzione di quel minimo, sono destinati a morire. Con l'Olocausto furono uccise 6 milioni di persone; il prezzo in termini demografici delle riforme liberali nel nostro paese, solo negli anni '90, è stato di 12 milioni di persone”.

A questo riguardo, Vladimir Timakov afferma che il picco nel crollo delle nascite è già stato superato, ma che comunque, giunta a età riproduttiva la scarsa generazione degli anni '90, intorno al 2050 la popolazione russa sarà ridotta a circa 120 milioni, rispetto ai 146 attuali: effetto delle “riforme liberali” dell'epoca eltsiniana che, secondo i demografi, fecero registrare anche una mortalità record, negli anni '90 e 2000, superiore di circa 7 milioni alla media degli anni '80. L'anno più critico fu il 1994, paragonabile per mortalità al 1946; con la differenza che nel 1946 le persone morivano di fame, mentre nel '94 per il generale deterioramento della situazione socio-economica: quell'anno sono morte più di 600mila persone oltre la media, afferma Timakov. A ciò va aggiunto il forte calo di natalità, il cui picco fu registrato nel 1999, con 820mila bambini meno della media: 1,14 figli per madre. Oggi l'indice è risalito a 1,80 ma, in ogni caso, se oggi nascono 1,9 milioni di bambini, si prevede che intorno al 2026-'27 ne verranno al mondo 1,4 milioni. E sembra influire poco (appena per il 6%) anche il cosiddetto “capitale di maternità”, l'assegno concesso dal governo a partire dal secondo figlio: secondo i demografi, se qualche effetto positivo può aversi in provincia, nelle grandi città l'alto costo degli alloggi incide sulla decisione di non fare figli. Nel complesso, la forte crisi demografica degli anni '90 e seguenti fu dovuta al brusco peggioramento del tenore di vita e dell'assistenza sanitaria; alla sostanziale eliminazione delle vaccinazioni: nel 1992-1994 morirono 5.000 bambini solo di difterite, una malattia prima scomparsa. Nel complesso, a paragone degli anni '80, negli anni “eltsiniani” le perdite sono state di 12 milioni di bambini in meno e 7 milioni di morti in più: ogni giorno, in quegli anni, la popolazione si riduceva di 2000 unità. Anche paragonate alle litanie liberali sui “costi umani” del periodo sovietico, le “conquiste democratiche” eltsiniane fanno impallidire: secondo la storiografia ufficiale, sarebbero stati 8 milioni i morti nei cinque anni di guerra civile, soprattutto per malnutrimento e malattie, cui si aggiungono da 2 a 6 milioni per la carestia del 1921 e da 8 a 14 milioni per la carestia di inizio anni '30. A cifre tonde, circa 28 milioni di persone, considerate tutte le repubbliche dell'Urss; negli anni '90, quasi 20 milioni, tra morti e non nati, nella sola Russia indirizzata sulla via “democratica” dai consiglieri USA, all'epoca di casa a Mosca.

Andrej Ivanov, sul sito del PC Operaio Russo, sintetizza ciò che da tempo è diventata un'affermazione diffusa: i cittadini russi stanno impoverendo a velocità impressionante. Secondo il primo ministro Dmitrij Medvedev, “il consistente rallentamento del ritmo di crescita ha avuto inizio molto prima del calo dei prezzi del petrolio e delle sanzioni anti-russe" e oggi il PIL sarebbe a livello del 1990. Ma Medvedev avrebbe dovuto dire anche che la sostanziale deindustrializzazione del paese, denunciata con insistenza dai comunisti e l'affidarsi in pratica al solo export energetico, se arricchisce inverosimilmente gli oligarchi del settore, fa sì che il bilancio consolidato gennaio-agosto, a fronte di entrate per 17 trilioni, abbia registrato uscite per 18 trilioni e se le entrate da prodotti non energetici sono aumentate di 900 milioni rispetto allo scorso anno, quelle da prodotti energetici sono diminuite di 3 trilioni.

Tra i “rimedi” proposti, oltre la non indicizzazione delle pensioni, l'aumento delle tariffe comunali al livello dell'inflazione, fino a tutto il 2019: un metodo efficace per confermare una situazione che va avanti da quindici anni. Secondo sociologi comunisti dell'Università di Piter, il cosiddetto “coefficiente Gini” – pur con tutte le limitatezze del metodo – di differenziazione dei redditi (da “0”, differenziazione nulla, a “1”, massima differenziazione) ha registrato un balzo dallo 0,26 del 1991 allo 0,40 del 2004, fino allo 0.42 del 2012. Secondo il Global Wealth Report stilato dal Credit Suisse su dati non dei redditi, ma della ricchezza, nel 2012 l'indice Gini per la Russia era dello 0,84. Nella suddivisione generale dei redditi, il peso percentuale di quelli da “attività imprenditoriale” è salito dal 2,7% del 1985, al 3,7% del 1990, fino al 11,7% del 2004 e poi sceso al 9,7% del 2009; quelli da proprietà, da 1,6% del 1985, al 8,9% del 2005 e 8,2% del 2009; mentre i redditi da lavoro sono scesi dal 77,2% del 1985 al 65,2% del 2009. Già agli inizi della “rivoluzione” eltsiniana, secondo l'Istituto “Indipendente di Politica Sociale”, il peso reddituale del 20% di popolazione più povera si era dimezzato (dal 11,9% del 1992 al 6% del 1992) continuando poi a scendere ulteriormente fino al 5,3% del 1994, per “stabilizzarsi” al 5,6% nel 2002-2003. Nello stesso periodo, il rapporto tra gli introiti del 10% di “lavoratori” meglio pagati e il 10% di quelli peggio pagati è balzato da 3 nel 1991 a 30-40 volte intorno al 2000, per tendere successivamente a una relativa stabilità, intorno alle 26 volte, a partire dal 2003. Se l'economista Andrej Kolganov pare minimizzare, parlando di un'economia russa non “a pezzi: semplicemente ristagna; è sceso il livello di vita delle persone, l'occupazione non è in buono stato, la domanda interna si è ridotta”, ecco che a luglio il 41% (il 36% un anno fa) di intervistati nei sondaggi dichiarava entrate appena sufficienti per il cibo. Političeskoe Prosveščenie scrive che la caduta dei redditi ha raggiunto il massimo dalla crisi del 2008: ad agosto erano diminuiti del 8,3% su base annua, influendo su ciò anche la mancata indicizzazione delle pensioni e dei salari nel pubblico impiego, mentre sale il numero di lavoratori messi in aspettativa senza stipendio.

Non per questo, però, pur se i tentativi dei lavoratori di organizzarsi autonomamente, vengono sanzionati, spesso fisicamente, mancano le resistenze. Il sito web dei comunisti del VKPB, che settimanalmente pubblica una panoramica del movimento operaio, per il periodo tra l'11 e il 20 settembre ricorda lo sciopero di lavoratori petroliferi nel territorio di Khabarovsk, senza stipendio da tre mesi; picchetti operai a Kirov contro licenziamenti e ritardi nelle paghe: il trust del gas “Jamalstrojgazdobyča” deve 70 milioni di rubli di arretrati ai 900 dipendenti. A Omsk hanno scioperato gli operai di un'impresa di costruzioni in fase di liquidazione, in arretrato da maggio di 3 milioni, con 23 compagni di lavoro licenziati. Azioni di protesta e meeting in numerose città della Russia, da Mosca a Vladivostok, anche tra funzionari e collaboratori dell'Accademia delle Scienze, contro la riduzione di stanziamenti al settore scientifico.

Pravda.ru scrive della “Classe operaia dimenticata”: salari pagati in nero, a rate e con mesi di ritardo; condizioni di lavoro pietose; si viene lasciati a casa senza stipendio o chiamati solo per qualche giorno; in alcune imprese straniere non c'è pausa pranzo; rapporti da medioevo tra padrone (o direttore) e operai; dove c'è lavoro, si fanno anche 250 ore al mese più gli straordinari; si tagliano i premi di produzione previsti; il tutto col consenso dei sindacati ufficiali.

In breve, tutte delizie a noi ben note: il paradiso liberale dispensa la stessa beatitudine a tutte le latitudini.

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