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26/08/2016

Terremoto, dopo l’emergenza l’abbandono. Lo vuole l’UE

Mentre scrivo queste note, ho negli occhi i volti dei sopravvissuti all’ennesima strage da terremoto, in un paese notoriamente sottoposto a tragedie simili e che, per indolenza ma più spesso per scelte politiche precise, non risolve alla radice problemi facilmente affrontabili.

A tutti loro va il primo pensiero, la vicinanza, la solidarietà concreta, che in queste ore vede impegnati molti di noi.

Tornando indietro con la memoria, ricordo i tanti volontari che accorsero a sostenere le popolazioni colpite dal sisma prima in Friuli nel 1976, poi in Irpinia nel 1980. In quelle terre devastate incontrammo la stessa disperazione, le stesse facce, le tante case distrutte.

Diversi furono i modi di affrontare il dramma delle migliaia di persone diseredate dal sisma.

La Protezione Civile vide la sua nascita proprio dopo il terremoto dell’80, per regolare / impedire quel vero e proprio moto di popolo che si determinò nel paese per sostenere le popolazioni friulane ed irpine. Tra i volontari moltissimi militanti politici e sindacali, studenti e lavoratori, impegnati nei soccorsi e contro i tanti speculatori locali, per difendere i quali volarono centinaia di allontanamenti forzati e fogli di via, inflitti da solerti e conniventi forze dell’ordine locali.

In quegli anni vigevano norme e leggi che imponevano allo Stato di intervenire con fondi pubblici, a garanzia della ricostruzione e della vita di chi era colpito da calamità naturali.

Norme e leggi che, messe nelle mani di personaggi come Giuseppe Zamberletti e Ciriaco De Mita, si trasformavano in fonti di speculazione, sciacallaggio dall’alto, guadagni miliardari. Il primo, Commissario straordinario per il terremoto friulano, implicato nello storno di risorse per i terremotati a favore di boss democristiani del Nord Italia. Il secondo, arricchitosi con i fondi per la ricostruzione versati nell’Istituto di credito di famiglia, la Banca Popolare dell’Irpinia.

Grazie ai recenti governi turbo – liberisti le vecchie leggi, sulle quali inciampavano troppo spesso i boss del pentapartito che governavano durante la prima Repubblica, sono state progressivamente cancellate.

Durante il breve e devastante esecutivo Monti sono state riscritte le regole della Protezione Civile. Il 16 maggio 2012 la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato il famigerato decreto legge n. 59, con il quale si formalizza la fine dell’intervento pubblico in caso di calamità naturali, in termini di risarcimenti, aprendo la strada alle assicurazioni private.

L’unica possibilità è quella demandata alle Regioni attraverso la cosiddetta “tassa sulle disgrazie”. Gli Enti regionali potranno trovare risorse dedicate solo attraverso l’aumento delle accise della benzina, sino a un massimo di 5 centesimi al litro (il comma 5-quater recita: A seguito della dichiarazione dello stato di emergenza, la Regione può elevare la misura dell'imposta regionale di cui all'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398, fino a un massimo di cinque centesimi per litro, ulteriori rispetto alla misura massima consentita )

Contributi statali per la ricostruzione non sono più previsti.

La norma, specificamente all’art. 2 comma 2, prevede che in caso di calamità naturali (terremoti, alluvioni, frane etc.) lo Stato non debba più intervenire economicamente, neanche parzialmente, alla ricostruzione e riparazione dei fabbricati danneggiati.
Con regolamento emanato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri... sono definiti modalità e termini per l'attuazione del comma 1 senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, anche sulla base dei seguenti criteri:
a) estensione della copertura assicurativa del rischio calamità naturali nelle polizze che garantiscono i fabbricati privati contro qualsiasi danno;
b) esclusione, anche parziale, dell'intervento statale per i danni subiti da fabbricati;
I cittadini che vorranno vedere ricostruita la propria abitazione o la propria industria dovranno perciò fare da sé, stipulando preventivamente una polizza assicurativa (con detrazioni fiscali...), come esplicitato nel primo comma dell’art.2, che recita:
Al fine di consentire l'avvio di un regime assicurativo per la copertura dei rischi derivanti da calamità naturali sui fabbricati, a qualunque uso destinati, ed al fine di garantire adeguati, tempestivi ed uniformi livelli di soddisfacimento delle esigenze di riparazione e ricostruzione di beni immobili privati destinati ad uso abitativo, danneggiati o distrutti da calamità naturali, possono essere estese ai rischi derivanti da calamità naturali le polizze assicurative contro qualsiasi tipo di danno a fabbricati di proprietà di privati.
Oltre a queste disposizioni, il decreto contiene anche un altro micidiale comma (art .1 comma1, lettera c, numero 2) che riduce la durata dello stato d’emergenza a 60 giorni, prorogabili in altri 40.

Dopo il comma 1 è inserito il seguente:
1-bis. La durata della dichiarazione dello stato di emergenza non può, di regola, superare i sessanta giorni. Uno stato di emergenza già dichiarato, previa ulteriore deliberazione del Consiglio dei Ministri, può essere prorogato ovvero rinnovato, di regola, per non più di quaranta giorni.
Questo significa che lo Stato si accollerà le spese per l’emergenza per un massimo di cento giorni. Dopo i quali i cittadini saranno abbandonati a se stessi.

Il motivo addotto per far approvare questa legge infame è stato lo stesso che caratterizza la retorica e la pratica dei governi a guida UE: imposizione di politiche di austerità, obbligo del pareggio di bilancio, scarsità di fondi nelle casse del Tesoro, ripianamento del debito “pubblico”...

Oggi dobbiamo, ognuno con i propri strumenti e possibilità, stare al fianco dei superstiti al devastante terremoto che ha colpito l’aretino.

Ma se vogliamo evitare che il genuino e salutare moto di solidarietà si spenga con il passare del tempo, relegando queste come altre centinaia di migliaia di vittime di terremoti e calamità “naturali” nel cono di silenzio e ombra che rischia di lasciarli di nuovo da soli, occorre chiedere con forza l’abolizione del decreto legge n. 59, che i successivi governi Letta e Renzi hanno lasciato intatto, peggiorandolo ulteriormente, attraverso la privatizzazione della CRI e l’attacco sistematico alle condizioni di lavoro dei Vigili del Fuoco.

Lo Stato centrale deve tornare a intervenire in caso di calamità naturali di ogni genere, accollandosi tutti gli oneri di una ricostruzione completa delle zone devastate e del risarcimento per le vittime e i familiari. Le risorse ci sono, basta stornarle dai finanziamenti a pioggia per le banche e per le spese militari.

Questa è la migliore risposta alla retorica del contafrottole di Rignano, che in queste ore si batte ipocritamente il petto raccontando l’ennesima bugia: “I terremotati non saranno lasciati soli”.

Valter Lorenzi – Rete dei Comunisti

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Il testo integrale del DL 15 maggio 2012, n.59

Articolo di approfondimento de Il Sole 24 ORE sull’argomento

Fonte

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