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23/08/2016

Come si rimastica la questione meridionale


Venerdì 19 Agosto Ernesto Galli della Loggia ci ha ancora una volta deliziati con quei corsivi superficiali che non hanno mai lasciato alcuna memoria di sé.

In tale scritto – dopo essersi accorto a tempo scaduto che il Mezzogiorno si trova in gravi condizioni economico/sociali – si è subito affrettato a richiudere quell’apertura mentale che l’incontro con la realtà riserva ad ognuno di noi, affastellando una serie di improbabili ragioni che spiegherebbero tale disgraziata situazione.

Galli della Loggia ha addirittura individuato nella svolta regionale degli anni Settanta l’inizio di un vortice localista favorito dalla ricerca demagogica del consenso e incrementato da un perverso decentramento culturale, che a suo dire renderà il Mezzogiorno prigioniero di se stesso e di una sorta di autarchia antropologica. Tradotto in soldoni, il fatto che alcune istituzioni locali meridionali, abbandonate dal governo centrale in nome del vincolo di bilancio, siano costrette a pensare da sole al proprio futuro e a quello del territorio che amministrano, è qualcosa di pericoloso per la gestione del consenso di lor signori e dunque va subito censurato e deprecato.

Se il povero lettore avesse buttato il giornale di venerdì 19 Agosto nel cestino, l’articolo di Della Loggia forse sarebbe stato dimenticato molto più velocemente. Invece il professor Giuseppe Galasso, forse per una malintesa e mal applicata sensibilità storica, ha recuperato il pezzo dal cestino cui era naturalmente destinato e lo ha commentato con osservazioni molto più degne di riflessione.

In primo luogo ha detto che il vortice localista forse è da attribuirsi all’ascesa del leghismo degli anni Novanta (noi aggiungiamo: assecondata e tradotta in legge dal buon Bassanini), grazie alla quale il Mezzogiorno è scomparso dall’agenda politica nazionale per più di vent’anni.

In secondo luogo, ha detto che il destino del Mezzogiorno non è staccato da quello dell’Italia e dalla difficoltà che stanno avendo un po’ tutti gli Stati nazionali. Su questa premessa possiamo “essere d’accordo”. Non siamo d’accordo sul fatto che la questione culturale sia prioritaria rispetto a quella di portafoglio.

Quale ruolo possa avere la cosiddetta “cultura” (sempre che abbiamo definizioni omogenee del termine e soprattutto una visione condivisa di quale debba essere la cultura da promuovere), lo si può stabilire solo quando si è effettivamente affrontato il problema del portafoglio e non prima. Inoltre crediamo che sia opportuno aggiungere che i cosiddetti "vortici localisti" – che in Italia hanno visto il trionfo culturale e politico della Lega – hanno la loro origine nell’accelerazione del processo di unificazione europea, innescata dai fatti dell’Ottantanove e dall’unificazione tedesca nell’ambito di una permanente crisi strutturale del capitalismo.

Queste dinamiche hanno rispecchiato e implementato processi di concentrazione e centralizzazione del capitale che non sono stati irrilevanti nella geografia politica del continente: la deflagrazione jugoslava, la separazione della Cecoslovacchia, le istanze secessioniste catalane, fino alla recente Brexit in Gran Bretagna, sono stati altrettanti effetti di queste dinamiche. Alcune, tra l’altro, ancora in corso.

Per questo diciamo che la Questione del Mezzogiorno – come è legata a quella dell’Italia – lo è anche a quella dell’Europa ed alla sua attuale forma.

Nel contempo una risposta a questa ulteriore marginalizzazione, particolarmente delle condizioni di vita e di lavoro dei settori popolari della società, può venire dal legare la questione europea a quella mediterranea, ridando ai popoli ed ai lavoratori la possibilità di decidere concretamente del proprio futuro.

Ed in questa dimensione che va la nostra proposta politica di Rottura della U.E. e di costruzione di una prospettiva euro/mediterranea.

Link dell’articolo del Professore Giuseppe Galasso in cui polemizza con l’editoriale pubblicato del Corriere della Sera a firma di Ernesto Galli della Loggia.

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