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31/08/2016

Brasile: destituita Dilma, America Latina sempre più a destra

Alla fine il Senato del Brasile ha approvato oggi la mozione di destituzione della presidente Dilma Rousseff, ponendo così termine a 13 anni di governo del Partito dei Lavoratori – alleato con numerose formazioni di centrodestra e centrosinistra, la maggior parte dei quali gli hanno voltato le spalle negli ultimi mesi – nel paese sudamericano. I senatori hanno votato 61 a 20 a favore dell'impeachment in base all'accusa che la presidente avrebbe manipolato il bilancio dello stato per garantirsi la rielezione.

Ora Michel Temer, 75 anni, ex vice presidente di Rousseff della quale ha accelerato la caduta, assumerà pienamente la presidenza. Impopolare come la rivale e coinvolto in numerosi scandali per corruzione, Michel Temer giurerà in Parlamento in giornata nel corso di una breve cerimonia, prima di volare in Cina per partecipare al G20. Temer esercita già la presidenza ad interim dopo la sospensione, il 12 maggio scorso da parte del Senato, della prima donna eletta, nel 2010, alla guida del quinto Paese più popoloso del pianeta. Sprofondato in una crisi economica e politica di storiche dimensioni (anche a causa del rallentamento di tutto i Brics e del crollo del prezzo del petrolio e del gas), sullo sfondo di un mega-scandalo di corruzione, il Brasile torna in mano alle destre e alle oligarchie che guardano a Washington e mirano a cancellare la maggior parte delle riforme sociali varate dai governi guidati dal PT a partire dal 2003, anno dell’elezione di Luiz Inacio Lula da Silva, che hanno permesso a circa 40 milioni di brasiliani di uscire dalla miseria.

Intanto ieri davanti al Senato brasiliano dove era in corso il dibattito sull’impeachment manifestanti di sinistra e polizia si sono scontrati; le forze dell’ordine hanno usato i gas lacrimogeni nel tentativo di disperdere la folla che gridava al golpe in riferimento al complotto delle destre che ha portato alla rimozione di Dilma Rousseff dalla presidenza. Gli strali dei sostenitori delle forze di sinistra – che non risparmiano critiche ad un Pt che negli ultimi anni ha perso ogni spinta al cambiamento sociale e si è limitato a governare insieme a quelle forze politiche di destra che poi gli hanno teso una trappola mortale – puntano il dito in particolare contro Temer, leader del Partito Movimento Democratico Brasiliano (Pmdb), ex alleato della presidente destituita e che ora potrà governare fino al 2018 defraudando più di 50 milioni di elettori brasiliani che alle presidenziali avevano scelto la candidata del Pt. Appena designato alla presidenza, Temer ha formato un governo di destra e liberista, tutto di bianchi e di esponenti dell’oligarchia che come primo provvedimento hanno varato un mega piano di privatizzazioni, in particolare ai danni dell’azienda petrolifera di stato, la Petrobras, saccheggiata negli ultimi anni da quegli stessi esponenti politici reazionari che ora sono riusciti a destituire Dilma Rousseff accusata non di corruzione ma di aver ‘alterato’ il bilancio dello Stato per evitare che la crisi economica che investe il paese apparisse in tutta la sua gravità di fronte all’opinione pubblica. Mentre la magistratura ha chiesto le dimissioni e l’arresto di Renan Calheiros, presidente del Senato accusato di corruzione e il presidente della Camera, Eduardo Cunha, è stato a sua volta destituito, dal 12 maggio numerosi sono stati i nuovi ministri che si sono dovuti dimettere per lo stesso motivo o per evidenti conflitti di interesse.

Ora, dopo l’ennesima sconfitta, probabilmente Dilma Rousseff ricorrerà alla Corte Suprema, come ha già annunciato nei giorni scorsi. Mentre scriviamo i senatori devono ancora votare sulla possibilità che Rousseff sia inabilitata da ogni incarico pubblico per i prossimi otto anni. Secondo la Costituzione brasiliana, un presidente destituito dovrebbe perdere i diritti politici per otto anni e non poter ricoprire alcun incarico governativo, né ruoli di insegnamento in università pubbliche. Il PT ha però chiesto e ottenuto che si tenessero due voti distinti, ottenendo l'assenso del presidente del Supremo tribunale federale, Ricardo Lewandowski.

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