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30/07/2016

Terrore islamista e gasdotti: chi fornisce le armi?

Le forniture di armi ucraine allo Stato Islamico, dirette o indirette, sono un dato di fatto. Contropiano ha scritto più volte dei rapporti d’affari, in armi e petrolio, tra Kiev e Ankara (con la partecipazione di stati baltici e Polonia), con cui il contrabbando del greggio consente ai terroristi di acquistare armi e continuare nella scia di sangue che sta sommergendo il Medio Oriente.

Di acquisti diretti, le agenzie internazionali avevano scritto – per citarne solo una: la Reuters – già a fine 2015, allorché in Kuwait era stato arrestato, per contrabbando di lanciarazzi contraerei individuali, un cittadino libanese membro dello Stato Islamico, che aveva ammesso l’acquisto di armi in Ucraina; armi che erano poi giunte in Siria attraverso la Turchia.

Anche del dilagare di armi, soprattutto leggere, in Ucraina, vendute al mercato nero dagli “eroi” della cosiddetta Operazione AntiTerrorismo nel Donbasss, è stato scritto a più riprese. Sono di questi giorni, ulteriori notizie – ancora della Reuters – circa la diffusione di armi, anche pesanti, dall’Ucraina verso paesi dell’Est europeo e della Russia, fino al Medio Oriente. L’ipotesi più probabile è che lo smercio passi attraverso il porto di Odessa (era ovvio che le pastorali di Mikhail Saakašvili circa la “lotta alla corruzione” nascondessero, neanche tanto bene, conflitti oligarchici per il controllo di quello scalo) quindi, i Balcani e anche il Caucaso settentrionale russo. Secondo la Reuters, nessuno dei depositi a disposizione dei battaglioni neonazisti viene registrato, non viene condotto alcun inventario delle armi e i comandanti di quei reparti “volontari” sono i primi a trarne profitto. Tuttavia, ogni tanto, per motivare il proprio lavoro, il Servizio di sicurezza “scopre” qualcuno di quegli arsenali segreti, da cui ogni neonazista è libero di portarsi a casa le armi che preferisce: se prima “si trattava di pistole e fucili, ora si è passati ai lanciagranate e a intere partite di tritolo”, come quelle rinvenute un paio di settimane fa in un deposito nascosto dei neonazisti di “Dnepr-1”. E’ risaputo come anche comandanti dell’esercito “regolare” ucraino vendano addirittura veicoli blindati, denunciandone poi il furto: è accaduto un anno fa ed è accaduto di nuovo nei giorni scorsi.

A inizio giugno era stata la volta del francese Grégoire M., arrestato alla frontiera ucraino-polacca per contrabbando di armi ed esplosivi: 5 Kalashnikov, 2 lanciagranate anticarro RPG- 7 e relativo munizionamento, 125 kg di tritolo e 100 detonatori. Questo, a opera di una sola persona che, tranquillamente, con la propria auto, se ne era andata a far shopping in Ucraina; figuriamoci di cosa possano rifornirsi organizzazioni appena appena più dotate di uomini e auto, quali, ad esempio “funzionari statali e regionali, generali e non solo comandanti dei “battaglioni volontari”, come sostiene la Reuters”, afferma il direttore del Centro di ricerche euroasiatiche Vladimir Kornilov. Senza contare tutte le famiglie malavitose ucraine che, perdurante la guerra nel Donbass, fanno milioni approfittando della facile diffusione di armi che accompagna ogni conflitto, come era accaduto all’epoca dell’aggressione alla Jugoslavia. Secondo le stime dell’esponente del partito “Patria”, Fëdor Birjukov, tutte le forze ucraine impegnate nel Donbass, “regolari” e non, riescono a smerciare almeno il 20% delle armi a disposizione.

Ma si tratta comunque di mercato nero “al minuto”. Le triangolazioni su più vasta scala permettono invece uno smercio organizzato e all’ingrosso. Ne è un esempio quello diffuso da Livejournal, circa i rapporti d’affari tra l’impresa polacca “Level 11” e il Qatar – una cui delegazione militare aveva partecipato nel settembre 2015 all’esposizione “Armi e sicurezza” (!) a Kiev – con l’intermediazione del Consigliere commerciale dell’ambasciata ucraina a Doha, per la fornitura di sistemi razzo antiaerei S-125-2D dell’ucraina “Ukroboronprom”. E, come non è mistero il proficuo rapporto tra “Ukroboronprom” e “Level 11”, altrettanto non lo è il fatto che il Qatar, insieme all’Arabia Saudita, gli Emirati, la Turchia, sia uno dei finanziatori e rifornitori di armi dello Stato Islamico, attraverso cosiddetti Fondi di beneficenza islamica quali “Jamiat Qatar al-Khair”, “Sheikh Eid al-Khairiah” o “Qatari Red Crescent Society”. Del resto, Doha ne ha di esperienza nel settore: i finanziamenti ai terroristi ceceni a inizio anni ’90 ne sono un esempio.

Inoltre, nelle immediate vicinanze dell’aeroporto di Abū Nakhlah, è dislocatala la Al Udeid Air Base, con il 609° Centro operativo delle operazioni aeree e spaziali del Comando centrale USA (uno dei quattro centri esteri statunitensi) e ieri l’ex vice Presidente dell’Assemblea parlamentare Osce, Willy Wimmer, dichiarava a Sputnik.de che gli F-16 turchi che lo scorso novembre abbatterono il Su-24 russo operarono sulla base di coordinate fornite da velivoli USA e sauditi per la localizzazione elettronica.

Per quanto riguarda i rapporti Qatar-Turchia, scrive Livejournal, si prevedono lucrosi contratti per imprese turche in Qatar, in vista dei mondiali di calcio del 2022; ma, soprattutto, si punta alla realizzazione del gasdotto Qatar-Iraq-Turchia, che potrebbe arrivare fino in Europa: con i sunniti al potere in Siria, il gasdotto Qatar-Arabia Saudita-Giordania-Siria-Turchia sarebbe realizzato in tempi brevi. Questo recherebbe non poco danno economico a Mosca; ma, per il buon esito del progetto, è fondamentale il controllo del territorio da parte dello Stato Islamico: obiettivi ambedue in cui un ruolo importante può essere giocato anche da Kiev. E’ così che ieri, il vice premier della Crimea Ruslan Balbek, incontrando una delegazione parlamentare francese in visita nella penisola, ha parlato di campi di addestramento per terroristi dello Stato Islamico, allestiti nel sud della regione ucraina di Kherson, al confine con la Crimea.

Ma, nell’affare del gas, attori non certo di secondo piano sono gli Stati Uniti e, se negli ultimi mesi e soprattutto nelle ultime settimane i rapporti Washington-Ankara hanno preso una piega diversa, non per questo la Casa Bianca ha smesso di far perno sui propri picciotti a Kiev. Secondo l’intelligence della DNR, nelle ultime settimane le forniture militari USA all’Ucraina hanno fatto un “salto di qualità”: da non letali (giubbetti antiproiettile, visori notturni, equipaggiamento) a letali. Lo scorso 13 luglio, con volo charter RCH920 proveniente dalla base USAF di Spangdahlem, in Germania, sono giunte a L’vov 16 tonnellate di munizionamento per varie armi, tra cui 2 milioni di proiettili di vario calibro, insieme ad alcune centinaia di pezzi tra carabine, pistole, fucili a ripetizione, mitragliatrici, lanciagranate e fucili di precisione per cecchini.

Ulteriore merce per i traffici di armamenti con cui, anche attraverso Kiev, si rimpinguano le formazioni terroristiche. Un tassello in più nel puzzle degli interessi energetici e dei gasdotti internazionali che fanno del Medio Oriente un centro di scontro planetario, in cui il “paravento” dell’Islam serve a coprire la turpitudine dei profitti, sia occidentali che delle monarchie del petrolio.

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