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17/06/2016

La ‘rivoluzione’ di Podemos? Governare con i socialisti

Sembra che l’operazione Unidos Podemos, che riunisce in un’unica lista il partito di Iglesias, Izquierda Unida, Equo e varie formazioni di centrosinistra catalane, galiziane e del Pais Valencia, stia funzionando. Alle elezioni del 26 giugno, convocate dopo il fallimento del parlamento eletto il 20 dicembre scorso, incapace di trovare una maggioranza di governo, la creatura “viola” allargata ad altre formazioni politiche progressiste dovrebbe ottenere una quota significativa di seggi in più, e forse anche un aumento percentuale rispetto al risultato delle ultime elezioni.

Niente male per una formazione che fino ad un mese fa era data in consistente discesa, a causa della sensazione che il voto a Podemos fosse poco utile alla cacciata dal potere dei popolari responsabili di anni di politiche autoritarie e liberiste. Podemos infatti continua ad essere accusata, tanto dai socialisti quanto dalla nuova destra liberal e modernista di Ciudadanos di essersi messa di traverso rispetto ad un governo di cambiamento e di aver di fatto costretto il paese a tornare alle urne. Ma la scelta di andare alle elezioni del 26 giugno in coalizione non solo con le ‘confluencias’ locali già andate in porto la volta scorsa, ma anche con la Sinistra Unita di Alberto Garzon, ha reso di nuovo appetibili i viola al di là del bacino degli ‘scontenti’ e degli ‘antisistema’, al quale Iglesias ha attinto finora.

Secondo le analisi delle intenzioni di voto, infatti, per Unidos Podemos potrebbero votare anche molti elettori socialisti o della sinistra moderata catalana, convinti così di rafforzare non solo e non tanto i viola, ma attraverso di loro la possibilità di una coalizione di centrosinistra alle Cortes in grado di fornire una maggioranza ad un eventuale governo tra Unidos Podemos, i socialisti del Psoe e varie formazioni regionaliste e indipendentiste locali di centrosinistra e sinistra.

E’ d’altronde proprio a questo che ormai esplicitamente mira lo stato maggiore di Podemos. Un ‘governo del cambio’, assicurano Iglesias e i suoi, non può fare a meno del Partito Socialista Operaio Spagnolo.

Una scelta che naturalmente fa storcere il naso a molti podemisti della prima ora e ai movimenti politici e sociali della sinistra radicale che proprio non ci stanno a resuscitare e a sdoganare un partito che è stato e continua ad essere un pilastro fondamentale di un sistema bipartitico – insieme al PP, ovviamente – fondato sulla corruzione, il centralismo e la repressione di ogni forma di dissidenza, il liberismo sfrenato e una subalternità totale ai diktat dell’Unione Europea. Ma si tratta, almeno per ora, di una fronda più che minoritaria, non solo dentro Podemos ma anche dentro Izquierda Unida, formazione in crisi nera dopo la sconfitta elettorale del 20 dicembre scorso. Ed addirittura gli indipendentisti baschi di EH Bildu, tradizionalmente ostili e refrattari ad ogni quadro politico statuale, si sono detti disponibili a sommari i loro 2 o 3 seggi ad una coalizione che sbatta il PP all’opposizione.

Per ora la strategia di Iglesias – ‘sorpassare il Psoe per governarci insieme” – sembra vincente, anche se bisognerà vedere quanto i sondaggi della vigilia si tradurranno in voti effettivi il prossimo 26 di giugno. Secondo una rilevazione resa pubblica da Metroscopia/El Pais, il 13% degli elettori potenziali del partito socialista potrebbe aver deciso di cambiare voto a favore di Unidos Podemos dopo il dibattito in tv di lunedì scorso fra i quattro candidati premier più quotati. Il segretario di Podemos Pablo Iglesias sarebbe stato il più convincente dei candidati per il 22% degli intervistati, davanti al premier uscente della destra Mariano Rajoy (18%) e al presidente di Ciudadanos Albert Rivera (14%). La rilevazione conferma invece che il socialista Pedro Sanchez (6%) è stato il grande sconfitto del confronto.

D’altronde dopo aver concentrato l’artiglieria contro i socialisti fino a qualche mese fa, ora la propaganda di UP si concentra esclusivamente contro il Partito Popolare e in parte contro Ciudadanos, dimenticando il Psoe. I cui argomenti sono assai spuntati visto che di fatto Podemos mira esplicitamente ad accreditarsi presso le classi dirigenti e i think tank economici, e anche presso l’elettorato di centrosinistra, come la “nuova socialdemocrazia”. Il tentativo di Podemos è quello di sostituire il Psoe nello spazio politico spagnolo, e di apparire una forza di “cambiamento nella continuità”, per non spaventare i potenziali votanti in arrivo dal centrosinistra. Ovviamente per ottenere il risultato la propaganda è stata fortemente depurata dagli slogan più forti e dal programma sono stati espunti molti dei propositi più bellicosi e di rottura che caratterizzavano il messaggio della formazione fino alle elezioni del 20 dicembre (programma a sua volta già edulcorato rispetto alla versione precedente).

L’altro ieri il leader di Podemos ha apertamente strizzato l’occhio agli elettori socialisti quando ha detto che è solito chiedere consigli e pareri a Josè Luis Rodriguez Zapatero, l’ultimo primo ministro del Psoe prima di Rajoy, perché lo considera “umile e prezioso” e in definitiva “il miglior presidente del consiglio” che la Spagna abbia avuto negli ultimi decenni. Ancora più esplicitamente, ad un intervistatore di El Pais (quotidiano di osservanza socialista) che lo interrogava sulle prospettive del post-elezioni Iglesias, dopo aver fatto autocritica sulle bordate lanciate in passato contro il Psoe considerate ora eccessive, ha risposto candidamente: “Senza il Partito socialista non ce la faremo. Stiamo già governando le principali città spagnole grazie a loro”.

Stando alle rilevazioni (anche se un elettore su tre non ha ancora deciso quale scheda mettere nell’urna) tra due domeniche la destra di Rajoy dovrebbe comunque piazzarsi in testa con il 28-29% dei voti, e in seconda posizione dovrebbe arrivare proprio Unidos Podemos con il 24-25%, davanti ad un partito socialista dato al 21 e a Ciudadanos che perdendo voti e smalto si fermerebbe al 13-14%. Per la prima volta, esultano i podemisti, i voti ‘per il cambiamento’ – la parola sinistra è bandita dal vocabolario viola – superano quelli della conservazione, includendo ovviamente quelli in dote al Partito Socialista di Pedro Sanchez.

Ma non è detto che l’astruso e antidemocratico sistema elettorale di Madrid trasformi una eventuale maggioranza di voti in una maggioranza di seggi, e neanche che una eventuale coalizione tra socialisti e podemisti possa contare su un numero sufficiente di seggi per governare. E non è neanche scontato che una coalizione di governo tra Psoe e Unidos Podemos sia così facile da formare dopo il voto. Paradossalmente le resistenze maggiori arrivano dai settori più reazionari del Partito Socialista, spaccato tra un’ala possibilista e un’ala invece finora risolutamente contraria ma che pur di tornare al governo e di bruciare i competitori di Podemos potrebbe accantonare il proprio ‘no’.

Un altro scoglio, anche questo potenzialmente insormontabile, potrebbe essere rappresentato dall’assai diverso orientamento dei due schieramenti rispetto alla questione catalana. Mentre Podemos continua a considerare il diritto all’autodeterminazione della Catalogna un punto centrale del suo programma, altrettanto non si può dire dei socialisti che, al pari del PP e di Ciudadanos, non vogliono neanche sentir parlare di “autodeterminazione”. Podemos, che pure difende l’unità dello stato e si definisce “movimento patriottico”, da tempo agita il tema del referendum sull’autodeterminazione della Catalogna da Madrid, posizione che al movimento è valsa un’ondata di simpatie a Barcellona e dintorni. Ma i partiti indipendentisti catalani accusano Iglesias e i suoi di agitare il tema strumentalmente, e che alla propaganda, ammesso che i viola siano coerenti e in buona fede, non potrà comunque seguire alcun atto concreto, visto che la Costituzione proibisce che a pronunciarsi sulla questione siano soltanto i catalani e che per cambiare il dettato costituzionale – frutto dell’autoriforma del franchismo, dettata dalle necessità di integrazione del regime fascista nell’Unione Europea – serve una maggioranza parlamentare qualificata impossibile da raggiungere anche imbarcando i socialisti (tra l’altro indisponibili).

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