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27/05/2016

Yemen: tra stragi e mercenari, quale futuro per il paese?

L’ottimismo dell’Onu è disarmante. Nonostante scontri, raid contro i civili, mercenari in arrivo, negoziati regolarmente sospesi, le Nazioni Unite ieri hanno parlato di accordo vicino tra il movimento ribelle Houthi e la coalizione a guida saudita.

La notizia fa da contraltare a quella in arrivo dagli Emirati Arabi Uniti, tra i paesi in prima linea nella guerra yemenita a sostegno del presidente Hadi e del suo governo: Abu Dhabi ha firmato un contratto da 529 milioni di dollari con una compagnia di sicurezza privata, la Reflex Responses Management, per contractor da inviare in Yemen a sostegno delle forze aeree saudite. Mercenari che non fanno immaginare che la guerra sia agli sgoccioli e che si aggiungono a migliaia di subcontractor che arrivano da tutto il mondo per combattere questa guerra: africani e arabi sì, ma anche latinoamericani che hanno visto nel massacro del paese più povero della Penisola Arabica un succulento business.

La notizia fa il paio con i continui raid che piovono sullo Yemen, nonostante la tregua: gli scontri proseguono, seppur in tono minore, ma i massacri sono gli stessi. Tre giorni fa un’intera famiglia è stata uccisa da un bombardamento della coalizione (si sarebbe trattato di jet emiratini) nella città di el-Mahala, nella provincia meridionale di Lahj: 11 persone sono state uccise, tra loro quattro bambini, quando due missili hanno centrato la loro abitazione. La giustificazione è la solita: accanto a quella casa si sospettava ci fosse un edificio abitato da miliziani islamisti. Il bilancio totale è ancora difficilmente definibile: l’Onu è rimasta ferma a 6.400 vittime, ma fonti locali alzano i numeri e parlano di almeno 9.400 vittime.

In tale contesto il negoziato in Kuwait appare come uno specchietto per le allodole: seppure Riyadh sia consapevole della necessità di giungere prima o poi alla fine di un conflitto che non riesce a vincere, vuole arrivarci con un movimento Houthi che sia il più debole possibile. Così, accanto al dialogo e allo scambio di prigionieri, prosegue con i raid.

Eppure dopo l’ennesima sospensione, ieri le Nazioni Unite hanno fatto sapere che le due parti stanno discutendo i dettagli di un possibile accordo comprensivo: “La situazione sul terreno è complessa ma dal Kuwait arriva speranza”, ha detto l’inviato Onu per lo Yemen, Ismail Ould Cheikh Ahmed, che nei giorni scorsi aveva incontrato separamene le due delegazioni per individuare insieme i meccanismi della consegna delle armi, della ristrutturazione delle istituzioni statali e del dialogo politico interno. L’inviato Onu ha poi proposto la creazione di una task force economica che si occupi della ricostruzione del paese, sia dal punto di vista infrastrutturale che dello sviluppo economico.

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