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26/05/2016

Su mali minori e altre facezie

Da qualche anno, in prossimità delle elezioni, rinfocola la polemica attorno alla questione del “male minore”. Complice il discredito assoluto delle politiche centrosinistre, sembra essere stato bandito dalla politica il concetto stesso di “male minore”, o “meno peggio”, a seconda delle definizioni. Visto che negli anni abbiamo contribuito alla demolizione del tic elettoralistico fondato sull’ideologia “maleminorista”, occorre a questo punto fare delle precisazioni.



Il ventennio berlusconiano ci ha lasciato in dote una pericolosa deriva ideologica, per fortuna in questi ultimi tempi in via di superamento, che vedeva in ogni opzione politica avversa al blocco di potere forzaleghista un vero e proprio male minore rispetto al degrado morale, etico, economico, culturale che Berlusconi aveva impresso alle vicende del paese. Questa dinamica perversa aveva portato ad abbandonare ogni prospettiva legata all’emancipazione – anche parziale – delle classi subalterne, abbracciando il liberismo riformista centrosinistro in nome della sacra unità anti-berlusconiana. Riproponendo in sedicesimi fantasiosi “fronti popolari” contro forme aggiornate di “fascismo”, la sinistra di classe aveva completamente abdicato al suo ruolo storico e alla sua funzione sociale, quella di rappresentare le ragioni e i bisogni del mondo del lavoro.

Il problema era e rimane, in questo senso, interpretativo. Si andava assumendo pigramente (e comodamente) la lettura legalitario-giustizialista, dopo tangentopoli divenuta culturalmente egemone, come prospettiva attraverso cui svelare le contraddizioni della società. Lo scontro tra legalità e illegalità, onestà contro corruzione, prendeva il sopravvento sul conflitto tra capitale e lavoro e sulla difesa delle ragioni del lavoro contro quelle del capitale. Di conseguenza, dagli inizi degli anni Novanta, anche per la sinistra “dei movimenti”, la differenza fondamentale non veniva più rintracciata nella diversità di classe, ma nel rispetto delle regole, delle leggi, della decenza etica, nell’onestà dei rappresentanti politici nelle istituzioni, tutte questioni – sia chiaro – calpestate dalla banda berlusconiana al potere.

Abbiamo sempre rifiutato la riproposizione folcloristica di politiche da “fronte popolare” contro il berlusconismo o, più in generale, contro il centrodestra. Attraverso questo conflitto mediaticamente simulato, si celava la sovrapposizione completa di centrosinistra e centrodestra alle politiche liberiste. In questo senso – e solo in questo senso – la vulgata comune per cui “destra” e “sinistra” “non esisterebbero più” trovava un suo significato, almeno per il cittadino comune. Sono i concetti di “centrodestra” e “centrosinistra” a sovrapporsi, dileguando ogni differenza sostanziale in nome del programma unico liberista. Cedere alle retoriche mediatiche politicamente (ed economicamente) interessate aveva portato pezzi di movimento ad appoggiare, esplicitamente o meno, le più truci controriforme sociali votate ed approvate, in questo ventennio, tutte inderogabilmente dal riformismo centrosinistro.

Rispetto a questa dinamica storica che ha abbracciato un ventennio abbondante di politica italiana, coinvolgendo tutti i livelli del confronto pubblico, abbiamo sempre detto: non esiste un male minore tra centrosinistra e centrodestra, sono due facce della stessa medaglia liberista. Cadere nel tranello retorico significa legittimare una visione del mondo avversa degli interessi di classe: in altre parole, scavarsi la fossa con le proprie mani. Votare il centrosinistra – qualsiasi forma questo assumesse – significava votare il male peggiore, il liberal-liberismo che accomuna le due fazioni politiche principali. Questo punto di vista, teso a smascherare presunte diversità tra la “sinistra” e la “destra” parlamentari, non ha mai significato, al contrario, che in politica non esista in assoluto un “male minore”, cioè forme della rappresentanza politica che, sebbene non sovrapponibili alle nostre o non completamente condivisibili, lavorassero però oggettivamente in opposizione alla marea liberista di questi anni (o, al di là del liberismo, in opposizione al nemico politico principale del momento).

A pensarci bene è un discorso tutto sommato ovvio. Lo spettro delle differenze politiche ci pone tutti quanti su di un continuum che prevede ipotesi più vicine alle nostre e ipotesi più lontane. Dipende da che forma diamo a questo spettro di differenze, e che tipo di partita abbiamo in mente di giocare. Se destra e sinistra sono concetti intrinseci alle forme che assume il conflitto nella società, oggi questo conflitto passa per la contrapposizione alla visione del mondo liberista, che è la nuova (?) sostanza che assume oggi il concetto di “destra” politica, al di là che questa assuma le sembianze del ceto centrosinistro o centrodestro. La sinistra, in questo senso, dovrebbe opporsi al centrodestra tanto quanto al centrosinistra. E’ per questo che in politica esiste un male minore, solo che questo non è rappresentato dalle varie forme che assume oggi la sinistra riformista liberista. Pensare che in politica lo scontro sia sempre tra il “tutto” e il “niente”, tra una purezza e una corruzione ideologica, significa abdicare alla dialettica come strumento per intervenire nelle contraddizioni del presente, in favore di una rigidità ideologica parolaia da sempre caratteristica del settarismo residuale.

E qui si torna alla questione originaria: che partita abbiamo in mente di giocare e quale terreno favorisce o penalizza le nostre istanze. Se la partita è salvaguardare la propria identità politico-ideologica, di conseguenza ogni discorso su presunti “mali minori” viene automaticamente meno. Se invece la questione è come intervenire nel presente, individuando quelle condizioni che facilitano un’agibilità e una recettività potenziale, allora la questione del “male minore” ritrova una sua attualità. Come detto, però, bisogna intendersi sul significato concreto che la formula “male minore” acquista oggi. E fermo restando un dato di partenza concreto: l’irrilevanza della sinistra nella società, ragione originaria delle odierne diatribe su presunti “mali minori”.

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