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30/05/2016

Siria, tutti contro tutti: Qatar e Turchia contro Arabia Saudita

Dopo l’annuncio della sospensione per almeno tre settimane dei negoziati tra le grandi potenze sul futuro della Siria, un’altra tegola è arrivata dal gruppo jihadista Jaish al Islam, sostenuto dall’Arabia Saudita, il cui portavoce Mohammad Alloush ha annunciato il ritiro. Secondo Alloush i colloqui di pace promossi dalle Nazioni Unite a Ginevra sarebbero falliti perché non sono serviti a raggiungere un accordo politico con il regime né ad alleviare le sofferenze dei siriani che vivono nelle aree del paese controllate dai ribelli né ad assicurare il rilascio dei prigionieri politici. Ovviamente Alloush, che parla per bocca del regime saudita, incolpa “l’intestardimento del regime di Bashar al-Assad” e la “continuazione dei bombardamenti e dell’aggressione contro il popolo siriano”. In realtà l’accordo tra le varie parti, con la mediazione dell’inviato dell’Onu Staffan de Mistura e le pressioni concomitanti di Stati Uniti e Russia, era riuscito a ottenere un cessate il fuoco a partire dal 27 febbraio, che ha retto sostanzialmente per un mese per poi svanire di fronte agli attacchi sempre più consistenti condotti proprio dalle formazioni jihadiste di varia obbedienza. Nel frattempo sia Washington sia Mosca sia il fronte lealista siriano-sciita continuavano a colpire le milizie considerate di natura terroristica come lo Stato Islamico e Al Nusra in varie zone del paese mentre le Forze Democratiche Siriane egemonizzate dalle Ypg curde premevano da nord-est contro le roccaforti ribelli. Mosca e Damasco hanno però continuato a martellare anche alcune delle milizie jihadiste – come appunto Jaysh al-Islam – che grazie alle pressioni delle petromonarchie del Golfo erano state ammesse ai negoziati con il preciso obiettivo di farli saltare. O Ahrar al Sham (finanziata da Qatar e Turchia), alleata e affine ad Al Qaeda, che invece al negoziato non ha voluto partecipare.

Della tregua ormai è rimasto ben poco. I combattimenti coinvolgono anche migliaia di miliziani curdi e arabi inquadrati nelle Forze Democratiche Siriane, che oltre a scontrarsi con i jihadisti di Daesh a nord di Raqqa, combattono in alcuni casi anche contro alcune brigate fondamentaliste dell’Esercito Siriano Libero alleate con Al Qaeda a nord di Aleppo. I miliziani di Daesh stanno conquistando posizioni nel distretto curdo di Afrin e sono ormai ad un passo dalla conquista della città di Marea; le forze governative si scontrano invece a sud della grande città con Al-Nusra e Ahrar al-Sham, mentre vicino Damasco continua l’offensiva dell’esercito nell’area di Ghouta.

In Siria di fatto si assiste ad un “tutti contro tutti” con gli schieramenti, in particolare all’interno del mutevole fronte dei cosiddetti ribelli, che cambiano repentinamente sulla base degli interessi e delle spinte delle potenze che sponsorizzano le varie milizie. Ad esempio negli ultimi mesi è aumentata la conflittualità tra Jaish al Islam ed altre fazioni, sostenute dall’Arabia Saudita e da altre petromonarchie, e Ahrar al-Sham, manovrata invece da Turchia e Qatar, con i secondi che accusavano i primi di ‘tradimento’ per aver accettato di partecipare alle trattative di Ginevra sotto l’ombrello del cosiddetto “Alto Comando per i Negoziati”, formato da Riad per sostenere i suoi interessi nella trattativa tra le potenze mondiali e regionali sul futuro dell’area. Nelle scorse settimane la rivalità è sfociata in scontri armati nell’area di Ghouta, roccaforte dei ribelli ad est di Damasco, e la faida tra Jaish al Islam (o Esercito dell’Islam) e “Feilaq al Rahman” (“Legione della Misericordia”, alleanza di recente costituzione tra gruppi che si richiamano alla Fratellanza Musulmana ma anche ad Al Nusra) è costata, secondo il quotidiano libanese Assafir, alcune centinaia di vittime. Ovviamente a vantaggio dell’offensiva dei militari siriani e dei loro alleati – Hezbollah e le milizie sciite – che sono riusciti a penetrare nell’area incontrando scarsa resistenza. Lo scontro “fratricida” ha impensierito a tal punto le potenze che sponsorizzano la cosiddetta ‘rivoluzione siriana’ da spingere il Qatar a convocare una riunione urgente tra i rappresentanti dei gruppi rivali che però non sono riusciti a ricomporre la frattura, nonostante l’intervento pacificatore del noto predicatore egiziano, lo sceicco e leader della Fratellanza Musulmana Yusuf al Qaradawi. In un’intervista alla tv saudita “al Hadath”, il leader dell’Esercito dell’Islam, Mohammed Allush, ha denunciato gli avversari di essersi alleati con al Nusra (cioè al Qaeda) “per sradicarci dal Nord della Siria”.

Nella provincia di Aleppo le cose non vanno molto meglio all’interno dell’arcipelago fondamentalista e jihadista. Nell’area è stato ricostituito di recente “Jaish al Fath” (“Esercito della Conquista”), un’alleanza composta da sette importanti gruppi ribelli di matrice jihadista – tra i quali i salafiti di “Ahrar al-Sham” (“Uomini liberi della Grande Siria’) – guidati però dai qaedisti del “Fronte al Nusra”. Anche qui i filo-sauditi dell’Esercito dell’Islam sono rimasti fuori dall’alleanza sponsorizzata da Qatar e Turchia, e non sono mancati i contrasti, anche armati, tra le due fazioni.

Questo mentre gli Stati Uniti puntano ad ottenere, grazie all’offensiva curda su Raqqa e Aleppo, risultati evidenti nel contrasto allo Stato Islamico. Washington vuole accreditarsi come soggetto fondamentale nella lotta al jihadismo dell’Isis attraverso un contributo incontestabile alla liberazione di Raqqa, per bilanciare gli innegabili successi ottenuti dalla Russia dopo l’intervento militare diretto in Siria iniziato da Mosca a fine settembre. I successi ottenuti grazie alle Forze Democratiche Siriane, che godono del sostegno aereo dei caccia di Washington, dei continui rifornimenti e dello schieramento in prima linea di centinaia di membri delle Forze Speciali statunitensi, servono a rafforzare la posizione di Obama nel caso in cui riprenda una trattativa che ormai sembra mirare ad una spartizione di fatto della Siria. Forse, visto il relativo equilibrio delle forze in campo, lo scontro non porterà ad una divisione formale del paese mediorientale in regioni autonome, ma comunque ognuna delle potenze in campo mira esplicitamente a ritagliarsi una zona d’influenza che sia la più omogenea ed ampia possibile, sfruttando le faglie etniche o religiose tra alawiti e sunniti, tra curdi e arabi, tra turcomanni e assiri.

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